Si Cobas, Aldo Milani «Sono vittima di un tranello»
su Piccinini «Lui si era fatto dare 10mila euro e li aveva messi nella sua azienda»
MODENA. Nello spiazzo antistante al carcere Aldo Milani riesce a “sopravvivere” all’assalto dei suoi fans e, con un microfono di fortuna, spiega la sua vicenda.«Non so se sono i padroni di questa azienda che mi hanno tirato un tranello o quello che faceva l’intermediario per loro. In pratica l’accusa è che avrei tenuto fermi i lavoratori in cambio di soldi. Intanto se li prendeva lui, quel Piccinini che io ho conosciuto tramite la lotta da un'altra parte. Lui è stato dentro prima a trattare per la sua azienda, io pensavo che gli dessero quella busta lì per l’azienda precedente e sono andato avanti a parlare per le cose che avevamo in ballo, ovvero sui 55 licenziati che dovevano dargli una buonuscita» "Chiarito tutto, Aldo è innocente" L'avvocato Marina Prosperi all'uscita dell'udienza di convalida in carcere per l'arresto di Aldo Milani, spiega la posizione del suo assistiti manifestando fiducia sul felice esito dell'indagine a suo carico spostando l'attenzione su Piccinini. Ad attenderla oltre alla stampa, i sostenitori del sindacalisti totalmente convinti dell'innocenza del loro sindacalista. Tant’è che nelle dichiarazioni dei Levoni non sanno se io ero informato. Piccinini è un consulente dei Levoni anzi nella prima fase a dicembre, si è fatto dare 10mila euro e li ha messi nella sua azienda, è un fatto documentato che li ha presi, come consulente loro».Milani parla dell’incontro all’Alcar Uno. «Quel giorno dovevo andare a Parma, gli ho detto che veniva un altro ma lui ha insistito, voleva me. Mi ha fatto andare apposta per poter incastrare me, Piccinini cosa ha detto nell’interrogatorio? Può darsi che abbia detto che i soldi li dava nella cassa di resistenza.Mi ha chiesto: “Voi ce l’avete questa cassa?”, “Mettiamo 200 euro al mese per i lavoratori”. Mi ha detto “allora va beh, gli chiederò un aiuto”. Ma immaginatevi se noi ci facciamo dare i soldi della cassa di resistenza dai padroni!!! Io gli avevo detto della cassa, dei 200 euro per i lavoratori, e allora lui si è inventato questo “voglio 100mila euro per chiudere la vertenza”.Questo lui. Io non ho mai parlato di queste cose. Ha venduto di essere l’intermediario tra me e loro. Io non lo conoscevo neanche, era stato presentato dai lavoratori della Bellentani come uno che voleva ottenere un appalto, ma l’hanno dato a della gente di Roma e lui è stato tagliato fuori e in quanto conosceva Levoni mi ha detto che poteva parlare con Levoni visto che c’erano 55 licenziati. Questa esperienza? «Non ci fermiamo, altri sindacalisti continueranno la lotta
dal comunicato SI COBAS
Il teorema della Questura, assunto come solenne da tutti gli organi di
stampa è: due dirigenti del SI Cobas hanno ricattato un povero
imprenditore estorcendo e ricevendo soldi dietro la minaccia di
scioperi.Analizziamo per punto per punto questo teorema, e vedremo che la verità è non solo diversa, ma per certi versi l'opposto di quanto sostenuto dai media.
1) Chi ha ricevuto i soldi? Come evidenziato nel precedente comunicato e come si vede dallo stesso video della Questura, non è stato Aldo Milani (coordinatore nazionale SI Cobas) a ricevere la busta coi soldi, bensì Danilo Piccinini, presentato dalla stampa come SI Cobas ma, lo ripetiamo e lo ribadiremo con forza in tutte le sedi competenti, non solo del tutto estraneo all'organizzazione ma presentatosi al SI Cobas in qualità di consulente del gruppo Levoni con lo scopo di avere un ruolo nella trattativa.
Di quanto affermiamo abbiamo prove certe ed incontrovertibili, che al momento sono al vaglio delle autorità inquirenti e che appena possibile renderemo pubbliche!
A ulteriore conferma di quanto scriviamo vi è lo stesso andamento dell'udienza tuttora in corso per la convalida degli arresti: mentre Aldo Milani ha risposto in maniera chiara e circostanziata a ogni domanda del giudice e del PM, Piccinini si è avvalso della facoltà di non rispondere!!!
2) Cosa chiedeva il SI Cobas a quell'incontro? La discussione con Levoni, come anche in questo caso abbiamo ampiamente chiarito nel precedente comunicato, era il frutto di mesi di lotte dei lavoratori sfociate in 52 licenziamenti. Si parlava di soldi? Chiaramente si, come in ogni trattativa sindacale, che per definizione ha ad oggetto richieste e rivendicazioni di natura economica.
E cosa chiedeva Aldo Milani per conto del SI Cobas? Chiedeva, con la forza e la determinazione che caratterizzano il nostro sindacato, nient'altro che il rispetto delle leggi vigenti in materia di CCNL. Nello specifico, dato che i 52 licenziati di Alcar Uno, all'atto di fare richiesta di accesso alla NASPI (assegno di disoccupazione erogato dall'INPS), avevano scoperto che le cooperativa Alcar Uno in appalto per Levoni non aveva versato i contributi INPS utili a maturare l'assegno di disoccupazione, Milani aveva chiesto che Levoni saldase quest'ammanco, ovviamente non certo consegnando del denaro liquido bensì versando le somme contributive mancanti attraverso le modalità previste dalla legge così come risultanti dai modelli F24!
3) Una volta chiarita la strumentalità dell'accusa di estorsione e l'estraneità di Milani alla consegna di denaro (quindi gli aspetti di natura strettamente giudiziaria) resta il nocciolo politico della questione, ossia l'accusa di minacciare la controparte con l'arma dello sciopero.
Chi pensi di muoverci questa accusa sappia che come SI Cobas non abbiamo alcun problema a rivendicare appieno questo metodo, che si è articolato in migliaia di lotte e vertenza che hanno consentito a decine di migliaia di lavoratori di passare dalla condizione di schiavi di cooperative e padron i senza scrupoli, a titolari di diritti e soprattutto di un salario non da fame!
Chiunque ci muova una simile accusa, sia che lo faccia in maniera esplicita sia che lo lasci trasparire attraverso allusioni o stucchevoli "prese di distanza", non solo avvalora il teorema accusatorio, ma si assume, tantopiù se si tratta di organizzazioni sindacali o di "movimento" a legittimare l'unico obbiettivo reale di questa inchiesta: legittimare l'attacco al diritto di sciopero, già attaccato pesantemente dalla miriade di riforme del mercato del lavoro (in ultimo il Jobs Act) e dalle normative antisciopero inasprite dai governi a guida PD e dall'attuale ministro del lavoro Poletti.
Contro quest'attacco risponderemo colpo su colpo non solo nelle aule giudiziarie, ma, come abbiamo sempre fatto, innanzitutto nei luoghi di lavoro e nelle piazze!
28/01/2017
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