I tempi cambiano, ma non al Cremlino
Putin prepara il dopo Putin, ma allo stesso tempo dimostra di avere più potere che mai, non solo sul piano delle relazioni internazionali quanto sul versante interno. Non prepara una futura successione individuando un Delfino, ma abbozzando un modello di riorganizzazione dello Stato in cui avrà comunque un ruolo di influenza sulle strategie internazionali, anche dopo il 2024, quando arriverà a scadenza l’incarico di Presidente della Federazione Russa.
Le riforme costituzionali abbozzate nel discorso tenuto il 15 gennaio scorso davanti all’Assemblea Federale non comportano dunque una riduzione dei poteri dei futuri Presidenti, ancorché il ruolo del Parlamento sarà più incisivo rispetto al potere attuale di accettazione o meno, in blocco, del governo designato dal Presidente. Non c’è dunque all’orizzonte una Russia deputinizzata, una Russia i cui Presidenti saranno privati dei vasti
poteri di cui Putin ha fatto ampiamente uso, ma una Russia in cui Putin manterrà la propria influenza sulle scelte di politica estera e di difesa.
Aver tracciato questa prospettiva ellittica non significa affatto che Putin abbia iniziato un processo di affievolimento nella sua gestione del potere. Al contrario, ha messo sotto accusa la inefficacia della azione governativa in materia di politiche sociali, costringendo il Primo ministro Dmitry Medvedev alle dimissioni immediate.
E’ dunque sempre Putin che comanda, che dirige il Paese. In Russia ci sono cambiamenti al potere, in questo caso drastici e assolutamente inattesi, ma nella continuità del potere della Russia.
Nel discorso di Putin ci sono contemporaneamente un prima ed un dopo; aspetti formali e dati sostanziali, problemi cui fornisce una risposta contingente fin nei dettagli mentre lascia in sospeso le strategie a lungo termine. Si affrontano contemporaneamente le questioni che attengono alla gestione del potere ed altre che corrispondono alla viva attesa sociale. Da queste occorre partire.
Putin ha affrontato direttamente il problema degli aiuti alle famiglie con figli, annunciando misure concrete per dare seguito alle promesse fatte da tanto tempo: vitto gratuito agli studenti più giovani, sussidi per le famiglie più povere che hanno bambini di età inferiore ai sette anni, premi di maternità per il primo figlio. La famiglia è dunque, per Putin, la prima rete sociale che ora occorre rinsaldare: sul piano esistenziale, la popolazione russa ha subito dapprima gli effetti devastanti del crollo dell’Urss e più di recente quelli della crisi economica del 2008-2014 che non sono stati compensati con le alchimie finanziarie e monetarie consuete in Occidente, attraverso l’aumento dei debiti pubblici e privati.
In Russia, il problema demografico è tornato a farsi drammatico: non solo il movimento naturale della popolazione ha registrato nel 2019 il peggior dato da undici anni a questa parte, con un calo di centomila persone rispetto all’anno precedente, ma la previsione mediana al 2035 considera una riduzione degli abitanti a 142,9 milioni rispetto agli attuali 146,7 milioni. Lo scenario peggiore ne pronostica un crollo, a 134,2 milioni: 12 milioni di persone in meno nell’arco di quindici anni.
C’è poi da considerare il numero elevato di espatri, soprattutto di giovani, di cui le statistiche ufficiali non riescono a dare piena contezza, dacché si considerano solo coloro che trasferiscono formalmente la propria residenza all’estero: nel 2017, ne risultarono ben 377 mila. Le discrepanze statistiche con le rilevazione degli immigrati nei Paesi aderenti all’OCSE mostrano flussi assai superiori. E le principali destinazioni sono, nell’ordine, Giappone, Italia, Israele e Germania.
La comunità di russi all’estero sarebbe ormai la terza al mondo, con 10,6 milioni, dopo quelle dei cinesi e dei messicani. La propensione a lasciare la Russia è tre volte più alta tra i giovani rispetto agli anziani, assai superiore tra coloro che risiedono a Mosca rispetto alle aree rurali, e tra quelli che hanno una istruzione più elevata o che appartengono ad una classe economicamente abbiente. Anche i viaggi di istruzione negli Usa, nonostante ogni controindicazione, proseguono.
La sconfessione dell’operato della componente ministeriale che in questi anni si è occupata delle problematiche sociali, giovanili e culturali è stata chiara.
Putin ha affidato la guida del nuovo governo a Mikhail Mishustin, un tecnico di alto livello che in questi anni si è occupato della riorganizzazione del sistema fiscale. Mentre è rimasta inalterata la squadra dei ministri di Esteri, Difesa, Interni ed Economia, gli altri sono stati sostituiti: continuità e discontinuità si appaiano, ancora una volta.
Anche Medvedev non sparirà dalla scena politica: rimarrà, ma con un ruolo diverso. Andrà a ricoprire l’incarico di Vice Presidente del Consiglio di Stato, un organo consultivo del Presidente che attualmente non prevede un tale incarico. Questo organismo, che oggi non è contemplato dalla Costituzione, avrà in futuro un ruolo forte, di indirizzo sulle questioni strategiche di politica estera e di difesa. Potrebbe dunque essere Putin a guidarlo, alla scadenza del suo mandato. Discontinuità e continuità si appaiano, ancora una volta.
Le mosse di Putin in queste ultime settimane, nei confronti della Turchia ed alla Conferenza di Berlino sulla Libia, sono andate a completare la strategia che ha portato la Russia ad uscire dalla marginalizzazione regionale cui era stata ridotta con la dissoluzione dell’URSS. E’ stato colto lo storico obiettivo di essere presenti nel Mediterraneo, con il sostegno dato alla Siria del Presidente Assad e l’appoggio fornito in Libia alla componente cirenaica guidata dal generale Haftar. Ora, si preannuncia anche il riconoscimento ufficiale da parte della Russia della zona dell’isola di Cipro che è occupata dai Turchi, in cambio di una base navale da tempo richiesta senza successo.
Prosegue dunque la strumentalizzazione delle ambizioni neo-ottomane del Presidente turco Tayyip Erdogan: in Siria, Putin ne ha sostenuto l’idiosincrasia nei confronti della minoranza curda, evitando così la formazione di uno Stato indipendente che avrebbe consentito all’America di avere basi militari proprie in grado di controllare da settentrione l’Iraq e l’Iran, svincolandosi da un alleato turco quanto mai incontrollabile.
Allo stesso modo, non ostacola né l’ambizione turca di usare l’area occupata nella zona settentrionale di Cipro per procedere allo sfruttamento delle risorse energetiche circostanti, a danno dei diritti legittimi della Grecia e di Cipro stessa, né l’asse con il Presidente libico al Serraj che si fonda su un accordo che crea due zone economiche esclusive contigue, che tagliano il Mediterraneo per meridiani.
L’intesa turco-libica non ha solo lo scopo di sfruttare le risorse minerarie sottomarine quanto quello di condizionare il passaggio del gasdotto EastMed, che ha origine dai giacimenti al largo di Israele e che dovrebbe alimentare il mercato europeo. Il piede che Erdogan ha messo di traverso sulla costruzione di questo gasdotto è utile alla Russia per difendere in modo indiretto le potenzialità della sua produzione energetica. il raddoppio del Nord Stream, che arriverà in Germania, rappresenta per Putin un successo strategico da difendere comunque, anche supportando Berlino nella sua ambizione di svolgere un ruolo di mediazione sulla vicenda libica.
La Germania ha invero un altro ed altrettanto consistente terreno di trattativa con Mosca: arrivare ad un appeasement sulla Ucraina, dividendola in due aree di rispettiva influenza. Diversamente dalla Russia, la Germania ha due punti di debolezza nei confronti di Ankara: ospita una consistente minoranza di origine turca e subisce il continuo ricatto della chiusura dei campi in cui vivono oltre due milioni di profughi provenienti dalla Siria.
Putin continua a manifestare un atteggiamento proteiforme: mentre si preoccupa delle condizioni delle famiglie povere e della denatalità, immedesimandosi nei valori tradizionali della Russia religiosa e contadina, continua a dar prova di grande spregiudicatezza sul piano delle alleanze politiche, di inflessibilità nei confronti dei nemici, e di insaziabile orgoglio nazionale. Non per caso, nel numero di ottobre scorso, Foreign Affairs ne ha ricostruito la carriera titolando “Putin il Grande. L’Impostore Imperiale della Russia”: solo corrosiva, e pure malcelata, ammirazione.
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