«…prima
c’era una persona che faceva tutta questa postazione, poi l’hanno
rivista e hanno dato le operazioni alle altre postazioni eliminando
quella. Nella mia Ute hanno tolto due persone ».
(Addetto linea, Montaggio: Melfi)
Lo scandalo sulle tangenti pagate da Fca al sindacato americano Uaw
per indebolire General Motors all’epoca Marchionne non hanno fatto
desistere la famiglia Agnelli dalle operazioni finanziarie di acquisto della Gedi
( gruppo De Benedetti). In ritardo rispetto alle concorrenti del
settore automobilistico nella corsa che oggi si chiama « riconversione
ecologica », ma attenta e competitiva nel trovare modelli e metodi che
garantiscano standard di produttività durante i cambiamenti strategici.
È su questo sfondo che a ottobre 2019 un operaio è morto nello stabilimento di Cassino
mentre lavorava su una pressa e il 3 gennaio scorso si è consumato
l’ennesimo infortunio mortale nello stabilimento Sevel del gruppo Fca di
Atessa (CH). Cristian Terilli, 28 anni
manutentore della ditta Sinergie srl, che stava effettuando lavori in
subappalto per conto della Comau, del Gruppo Fca, un’azienda integrata,
con 20 società controllate, che sviluppa e realizza processi di
automazione, soluzioni e servizi di produzione ed è
specializzata in robot di saldatura e in macchine per magazzini automatizzati. Sul sito della Comau si può leggere, nella sezione «I nostri valori»: il cliente al primo posto, soluzioni di valore, pensiero innovativo, semplicità ed efficienza.
specializzata in robot di saldatura e in macchine per magazzini automatizzati. Sul sito della Comau si può leggere, nella sezione «I nostri valori»: il cliente al primo posto, soluzioni di valore, pensiero innovativo, semplicità ed efficienza.
Ad
Atessa (CH) giungono ogni giorno decine e decine di pullman dalle
province e regioni limitrofe con a bordo lavoratori e lavoratrici
pendolari (con mezzi di aziende di trasporti poco attente alla
manutenzione del parco mezzi), come i «metal mezzadri» dell’Ilva di
Taranto, e in passato si sono verificati altri infortuni gravi ed
episodi indegni, come quello dell’operaio costretto a subire l’umiliazione di farsela addosso per un divieto di abbandono della postazione.
Negli
stabilimenti del gruppo Fca sparsi in tutto il centro-sud, nati
dall’eterno Piano per il Mezzogiorno, succedono spesso fatti indegni e
extralegali che non sempre finiscono nel sistema dell’informazione
ufficiale. Il potere dispotico unito al ricatto semina controllo e
paura. La politica controlla le assunzioni, la fabbrica la produttività.
Le notizie informali circolano e la fabbrica virtuosa che condiziona
governi e l’economia del mercato del lavoro, non ha mai perso,
nonostante l’aurea virtuosa nei temi che riguardano la salute (vedi la
campagna Salute al maschile – Difendi ciò che ami, scegli la prevenzione), l’impronta tipica delle istituzioni totali.
Ciclicamente
ogni ristrutturazione Fiat ha una linea di fondo: rompere la
socializzazione tra lavoratori e lavoratrici, assorbire adeguamenti
informali messi in atto dagli operai e strutturarli in organizzazione
della produzione e procedure formali. Per dirlo con le parole di Romano
Alquati in «Quaderni Rossi» (Sulla Fiat e altri scritti – Quaderni Rossi, 1961) «E’
stato necessario rompere la forza lavoro in quanto proletariato
cosciente, frantumarla fino all’isolamento di ogni singolo operaio dagli
altri, in tutti i suoi aspetti del rapporto di lavoro e degli interi
processi di produzione: si persegue scientificamente l’atomizzazione
della classe operaia che viene polverizzata ( con la stessa mediazione
dello sviluppo quantitativo e qualitativo del capitale costante) in
miriade isolate “appendici della macchina”».
Cinquant’anni
fa una giovane generazione operaia maturata dalle vecchie sconfitte si
fondeva con l’esplosività dell’operaio immigrato dal sud e metteva in
crisi il sistema organizzativo e disciplinare Fiat. Ce l’ha raccontato
bene Nanni Balestrini in Vogliamo tutto. L’operaio Fiat era un soggetto
centrale nell’attacco al capitalismo italiano delle forze della sinistra
rivoluzionaria. Quella istituzionale, invece, provava a coccolarlo nel
suo progetto di sviluppo del Paese.
L’intento
era la costruzione percorsi politici e sindacali con questa
soggettività operaia. Ristrutturazioni, licenziamenti di massa,
tradimenti politici, hanno continuamente ridato forza all’ingegno
dell’azienda per pensare e introdurre continuamente modelli
organizzativi e produttivi che minassero la compattezza della forza
lavoro e intensificassero il lavoro, ottimizzando al massimo
l’estrazione di valore.
Nell’economia
mondiale oggi il settore manifatturiero non è più egemonico seppure
conserva la maggior quantità di forza lavoro impiegata e le strategie
delle aziende dell’automotive seguono l’andamento. L’attenzione politica
e mediatica dopo il referendum del 2011, l’uscita del gruppo da Confindustria, le proteste e le relative punizioni per chi ha denunciato reparti confino e suicidi prima, e trasferimenti forzati da Pomigliano a Cassino poi, si è notevolmente ridotta.
L’indebolimento
progressivo nel potere contrattuale, introduzione di tecniche di
controllo, disciplinamento e distruzione delle socializzazione,
frammentazione e concertazione sindacale hanno portato a questa
situazione di quiescenza. Le forze politiche e sindacali si sono
allontanati da uno studio politico e non meramente accademico
dell’organizzazione aziendale e produttiva, rinunciando così a costruire
gli strumenti in grado di generare forme di azione rivendicativa e
politica antagoniste e simmetriche rispetto a quelle della direzione.
Oggi le avanguardie di lotta sono in settori in forte crescita come la
logistica.
L’operaio
Fiat non interessa più, forse in parte è un po’ odiato perché
nell’epoca della precarietà come condizione dominante, sembra essere un
garantito, assistito.
Ma
chi resta in catena e nei reparti della fabbrica totale integrata in
che condizioni vive e lavora? E chi non accetta le condizioni di ricatto
e sofferenza e si organizza, come può rilanciare la lotta?
«Sono i carichi di lavoro a minare la sicurezza»,
dice davanti ai cancelli della Fiat di Termoli (CB) Stefania Fantauzzi,
sindacalista USB, dopo l’infortunio mortale di Atessa. Lo stabilimento
molisano ha visto negli una riduzione notevole di forza lavoro e un
aumento dei ritmi e dei carichi. Il sabato è diventato giornata di
lavoro ordinaria, nonostante i tentativi di impedirlo da parte dei
coordinamenti operai (vedi indesiderati Fiom).
Il
futuro prevede una ristrutturazione di alcune aree, ma nel frattempo si
parla di contratti di solidarietà e cassa integrazione. A dicembre 2019
si contano 200 dimissioni volontarie e pensioni anticipate incentivate.
I giovani assunti con il Jobs Act vengono tenuti distanti dagli operai e
operaie più anziani. Rompere la trasmissione generazionale del sapere
di fabbrica.
Nel
controllo totale, le patologie muscoscheletriche sono in aumento (oltre
alla manifestazione classica dopo anni di catena di montaggio,
preoccupante appare la rapidità con cui compaiono tra i giovani questi
disturbi, rispetto al lasso di tempo di esposizione previsto a livello
di letteratura), ma questo non viene riconosciuto dall’azienda. È una
delle verità sommerse. È un «Io so…» pasoliniano.
Il 13 dicembre 2016 MoliseWeb scriveva: «Muore
un operaio termolese di 52 anni, Massimo Lombardi. Il decesso è stato
causato da un arresto cardiaco. Secondo indiscrezioni sarebbe nota a
tutti, anche ai dirigenti della fabbrica, la sua salute malferma:
problemi di pressione e in precedenza qualche scompenso cardiaco. Sempre
secondo indiscrezioni sembra che sia stato chiesto un incontro con
l’azienda per verificare le dinamiche del tragico accaduto, in
particolare se l’operaio, visti i suoi problemi di salute, fosse idoneo
ad effettuare i turni di notte».
Come
sono collegati tutti gli citati con l’aumento dei carichi di lavoro,
dei disturbi e degli infortuni? Cerchiamo di comprendere che scelte ha
fatto l’azienda in tutti i suoi stabilimenti.
La
Fabbrica già negli anni ‘90 ha cambiato volto, ha integrato gli aspetti
tayloristici, delle human relations, per soddisfare il piano di Total
Quality intrapreso. Lo spirito toyotiano non ha però rinunciato
all’intensificazione del lavoro umano. Automazione, robotica,
digitalizzazione, integrandosi, hanno aumentato l’estrazione di valore
dalla facoltà della forza lavoro, il lavoro. Il capitalismo italico non
ha mai perso la sua fame e nel rapporto uomo – macchina ha continuato a
far adattare il primo ai ritmi della seconda, aggiungendo la
diversificazione e interfunzionalità delle mansioni.
Benassi, nel suo lavoro «Le modificazioni organizzative delle grandi imprese: il caso Fiat», ci dice «In
una organizzazione tradizionale, ad esempio, le unità che presidiano le
fasi più critiche del processo (ad es. l’assemblaggio) richiedono
interventi particolari alle unità specialistiche. Queste ultime cedono i
loro servizi e vengono attivate in sequenza. La separazione delle
diverse unità e la reciproca lontananza organizzativa ha spesso effetti
negativi sull’efficienza, sulla rapidità del processo decisionale e
sulla tempestività degli interventi».
Dalla
centralità delle funzioni a quella dei processi. La logica operativa
rigida e sequenziale della vecchia Fiat, ha lasciato il posto alla
parola « flessibilità » (la parola chiave della generazione della
crisi). Vengono ricondotte all’interno della produzione diretta,
dell’officina, tutta una serie di funzioni di servizio/supporto alla
produzione stessa che prima erano separate: i precedenti comportamenti
legati al modello tayloristico gerarchico-funzionale prevedevano di
portare i problemi operativi, lungo la gerarchia dell’organizzazione,
strutturata per funzioni.
La
nuova logica è quasi opposta: prevede che i problemi siano risolti dove
hanno origine e da chi li ha visti nascere e ha la competenza
professionale per risolverli. Le decisioni interfunzionali che prima
erano prese dalle direzioni di stabilimento vengono decentrate a livello
di officina. Le diverse funzioni di fabbricazione, qualità,
manutenzione e gestione materiali vengono riaggregate e coordinate
all’interno di Unità Operative a “tecnologie omogenee” (stampaggio,
lastratura, verniciatura, meccanica, montaggio), ciascuna delle quali
gestisce compiutamente una delle diverse fasi in cui si articola il
processo produttivo.
Garantire
la realizzazione del programma di produzione al minimo costo. L’unità
elementare di questo nuovo organismo è l’UTE a cui vengono affiancate le
squadre di manutenzione ordinaria durante la produzione e il team
tecnologico ( un gruppo di problem solving: si riunisce nel momento in
cui insorgono specifiche emergenze o problemi tecnici e organizzativi
nelle Ute) al fine di ricercare soluzioni ed innovazioni per
miglioramenti complessivi dei processi. Il processo non va interrotto!
Il
nucleo istituzionale del team è composto dal capo Ute (nella veste di
team leader), dal tecnologo di Ute e dal responsabile della
manutenzione. A questo nucleo di base si possono però aggiungere, su
richiesta, altre persone o ruoli, come il conduttore di processi
integrati, il manutentore, il tecnologo specialista, il rifornitore: «Il
Team leader ha la responsabilità del processo decisionale, gli altri
componenti portano le loro specifiche competenze professionali per la
soluzione dei problemi».
Attraverso
la scomposizione cellulare del processo di fabbricazione complessivo,
il management aziendale opera in direzione della delega e del
decentramento decisionale, così che le scelte operative, inclusa la
gestione del personale, vengano prese nel luogo – e nel momento – in cui
sorgono i problemi, le disfunzioni produttive (determinate da cause sia
tecniche sia umane).
Il
criterio con cui si definiscono le Ute rompe l’omogeneità delle
lavorazioni e delle vecchie squadre e introduce l’omogeneità del
prodotto che passa attraverso vari trattamenti.
Macchinari
dedicati a differenti tipi di lavorazioni vengono pertanto assegnati a
una sola Ute perché a questa spetta la responsabilità dell’intera fase
in cui operano quei macchinari. E’ proprio attraverso la cellula
produttiva di base che vengono governati i fattori fondamentali della
produzione: prodotto e processo; mezzi di produzione (tecnologie);
risorse umane; flusso dei materiali (cioè la logistica); costi di
trasformazione.
La
figura professionale del manutentore oggi è collocata in apposite aree
dedicate (in modo tale che, in caso di necessità, possa comunque
intervenire in tempi rapidi per effettuare operazioni manutentive di
pronto intervento. Naturalmente, l’importanza della manutenzione risulta
essere decisiva nelle aree ad alta automazione (lastratura, stampaggio,
verniciatura. La manutenzione ordinaria programmata viene solitamente
effettuata da apposite squadre di manutentori durante la pausa
intercorrente tra un turno di lavoro e l’altro, nonché nei giorni
festivi che sono anche riservati per le operazioni di manutenzione
straordinaria.
Qui,
si è consumata la morte di Cristian Terilli, nei giorni di chiusura per
le festività natalizie, con dei tempi di consegna rigidi e scorciatoie
rispetto alle procedure di sicurezza. Nessun processo sommario. Si
riflette. La catena degli appalti si ripropone ovunque senza escludere
alcun settore produttivo.
E gli operai di linea?
Oltre
a svolgere operazioni manuali rigidamente parcellizzate e
proceduralizzate, devono partecipare attivamente alle attività di
produzione. Ossia, prestare una costante attenzione a quel che devono
fare e essere polivalenti e flessibili (è formalmente previsto un
frequente interscambio dei lavoratori tra le diverse postazioni); sono
inoltre responsabili di parte delle mansioni in passato assegnate a
lavoratori indiretti (manutenzione ordinaria, responsabilità del
controllo di qualità, pulizia del posto di lavoro e degli attrezzi;
infine, vengono investiti della responsabilità di assorbire quanto più
possibile le micro- varianze, passibili di alterare la continuità del
flusso produttivo che si verificano a livello del posto di lavoro, come
un compagno di lavoro che si assenta per andare al bagno, aiutare chi si
“imbarca”, svolgere contemporaneamente due postazioni, attivarsi per
sopperire ad un’anomalia generata dall’operaio posto a monte, compensare
la disfunzione di uno strumento di lavoro svolgendo l’operazione
manualmente, lavorare qualche minuto in più rispetto alla fine del turno
per raggiungere la quantità programmata.
Si
è parlato altre volte e in diverse iniziative negli ultimi anni della
metodologia Ergo-Uas, utilizzata da Fca per il calcolo del coefficiente
di riposo nelle postazioni di lavoro della catena di montaggio, che
risulta sottostimare i carichi di lavoro.
Tutti
questi eventi e lo scontro a bassa intensità tra gli strumenti che
l’azienda adotta e la condizione di lavoro e di qualità di vita di
lavoro, ci mostrano come anche se fuori dalla centralità delle lotte, la
salute e la sicurezza restano delle istanze che tengono accesso il
motore della lotta di classe. Ma è necessario che si rilanci la messa in
discussione degli ultimi accordi
tra sindacati e Fca (2012, 2015, 2019) che limitano sempre di più
l’azione dei rappresentanti dei sindacati di base e la reale elezione
dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, come libera
espressione dei lavoratori e lavoratrici.
Passando
dalla rappresentanza sindacale unitaria a quella aziendale, restano
esclusi da molte agibilità sindacali tutti i sindacati di base che non
hanno sottoscritto gli accordi con l’azienda e questo, ostacola spesso
anche l’accesso alla rappresentanza e il suo svolgimento, come per
esempio può essere l’accesso alla documentazione aziendale che riguarda
la salute e la sicurezza. Diverso è stato il caso della Fiom, riammessa
dopo aver dimostrato in Tribunale la sua effettiva rappresentatività.
Chissà se questo pensiero inonderà tra le linee di produzione: «Adesso
finiva anche questo mito della Fiat. Cioè avevo visto che il lavoro
Fiat era un lavoro come quello edile come il lavapiatti. E avevo
scoperto che non c’era nessuna differenza tra l’edile e il
metalmeccanico tra il metalmeccanico e il facchino tra il facchino e lo
studente. Le regole che usavano i professori in quella scuola
professionale e le regole usate dai capi reparto in tutte le fabbriche
dove ero stato erano la stessa cosa. E allora si poneva un grosso
problema per me. Cioè pensavo che faccio adesso. Cosa faccio cosa devo
fare […] E lí finalmente ebbi la soddisfazione di scoprire che le cose
che pensavo io da anni da quando lavoravo le cose che credevo essere
solo io a pensarle le pensavano tutti […] E le lotte che fino allora
facevo per cazzi miei contro il lavoro avevo visto che erano lotte che
tutti noi potevamo farle insieme e cosí vincerle» (da Vogliamo Tutto – N. Balestrini).
*
Ho preso molti spunti da questo lavoro di tesi (link in basso), da
altre letture e racconti verbali di operai e operaie che conosco.
LINK COLLEGAMENTI IPERTESTUALI
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