Questo signore è responsabile - insieme ad altri - ma lui in particolare di aver amplificato una grande quantità di bufale storiche e leggende d’odio antipartigiane che a lungo erano rimaste confinate nelle cerchie neofasciste.
da infoaut - su cui si possono leggere anche i testi in pdf citati
La
legittimazione e l’imprimatur da parte dei grandi media e della
politica hanno incoraggiato i neofascisti a inventare sempre nuove
bufale, ancora e ancora. Dalla fine degli anni Novanta, li abbiamo visti
coniare storie di «eccidi partigiani» dei quali mai si era parlato, o
aggiungere a storie vecchie dettagli sempre più macabri assenti dalle
precedenti ricostruzioni. Inutile dire che tali
aggiunte erano prive di pezze d’appoggio documentali: in queste storie, le fonti latitano e ci si affida alla «storiografia del nonno»: «Mio nonno raccontava che…»
aggiunte erano prive di pezze d’appoggio documentali: in queste storie, le fonti latitano e ci si affida alla «storiografia del nonno»: «Mio nonno raccontava che…»
L’avvento
dei social media ha impresso a questo processo un’accelerazione
fortissima: oggi una bufala storica antipartigiana può nascere e
diffondersi in poche ore.
Su Facebook, ad esempio, prosperano pagine dove si sparano a casaccio cifre iperboliche — ovviamente prive del benché minimo riscontro — su presunti stupri compiuti da partigiani. Cifre implausibilmente precise, per farle sembrare basate su ricerche in realtà inesistenti: 3245, oppure 4768. Ebbene, la diffamazione dei partigiani fondata su accuse di violenza sessuale è un fenomeno divenuto popolare tra i neofascisti soltanto di recente, queste presunte «migliaia» di stupri sono assenti dalla stessa memorialistica e pseudo-storiografia di estrema destra pubblicata nel XX secolo.
Su Facebook, ad esempio, prosperano pagine dove si sparano a casaccio cifre iperboliche — ovviamente prive del benché minimo riscontro — su presunti stupri compiuti da partigiani. Cifre implausibilmente precise, per farle sembrare basate su ricerche in realtà inesistenti: 3245, oppure 4768. Ebbene, la diffamazione dei partigiani fondata su accuse di violenza sessuale è un fenomeno divenuto popolare tra i neofascisti soltanto di recente, queste presunte «migliaia» di stupri sono assenti dalla stessa memorialistica e pseudo-storiografia di estrema destra pubblicata nel XX secolo.
La
manipolazione di Wikipedia da parte di milieux neofascisti — o comunque
anti-antifascisti — organizzati ha fornito pezze d’appoggio per queste
operazioni: centinaia di pagine della Wikipedia italiana dedicate a
fascismo, seconda guerra mondiale e Resistenza sono inquinate dalla
propaganda di cui sopra. Ce ne siamo occupate molte volte.
Giampaolo Pansa nel 2003, il suo bestseller Il sangue dei vinti — che, come ha fatto notare Wu Ming 1 in Predappio Toxic Waste Blues,
conteneva una menzogna già nel titolo — inaugurò una produzione di
«oggetti narrativi male identificati» che usavano come fonti la
memorialistica repubblichina sulla guerra civile, ne accettavano le
ricostruzioni piene di buchi e aporie, e riempivano i buchi ricorrendo a
tecniche letterarie ed espedienti vari.
Tecniche ed espedienti prese più volte in esame: ne hanno scritto Ilenia Rossini nel suo L’uso pubblico della Resistenza: il «caso Pansa» tra vecchie e nuove polemiche e Gino Candreva nel suo La storiografia à la carte di Giampaolo Pansa .
Al
principio, la fama dell’autore, il suo essere «di sinistra» e l’uso
strumentale e ambiguo di certi caveat e disclaimer — della serie «Io
sono antifascista ma», «la Resistenza fu un fenomeno nobile ma» — ha
reso subdola l’operazione. Oggi, certi caveat non c’è più bisogno di
usarli: i romanzi-spacciati-per-inchieste che si inseriscono nel solco
scavato da Pansa, come quelli di Gianfranco Stella, stanno platealmente, sguaiatamente, dalla parte di Salò (cioè, ricordiamolo sempre, di Hitler).
Chi
si occupa di questo revisionismo non può che imbattersi in Pansa
girando ogni angolo. È capitato più volte anche a noi, mentre smontavamo
bufale di estrema destra alla cui circolazione l’ex-vicedirettore di
Repubblica aveva dato un contributo fondamentale. In quelle occcasioni,
abbiamo mostrato come Pansa avesse dato dignità di fonti ai libri di
pubblicisti di estrema destra come Pisanò, Pirina o Serena, o di
improvvisati “storici” locali, “abbellendo” quelle storie con ulteriori
dettagli e svolazzi.
Qui
si possono trovare le inchieste dove abbiamo parlato (anche) di lui,
unitamente ad alcuni scritti di Wu Ming, come il già citato Predappio Toxic Waste Blues, dove si smontano le retoriche pansiane.
Oggi
che la morte di Pansa suscita uno scontato cordoglio bipartisan e il
suo nome sta per essere accolto nel canone della «memoria condivisa»,
noi vogliamo ricordare i danni gravissimi che i suoi libri e i polveroni
mediatici che si compiaceva di suscitare hanno arrecato alla cultura
storica e alla memoria pubblica in Italia.
Pansa è morto, ma il pansismo resterà con noi a lungo, purtroppo.
Di Nicoletta Bourbaki su medium
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