Torino, richiedenti asilo come schiavi: 150 euro al mese per impacchettare pennarelli
Dieci
ore al giorno, pausa di pochi minuti per pranzo, sorvegliati a vista da
sfruttatori cinesi. Chi non aveva nulla da mangiare beveva l'acqua del
bagno
Impacchettavano
pennarelli di marchi famosi in condizioni massacranti in un capannone
senza riscaldamento di San Mauro Torinese. Dalle 8 alle 18 tutti i
giorni, sette giorni su sette, una pausa di pochi minuti per pranzo,
sorvegliati a vista. Chi non aveva nulla da mangiare beveva l'acqua del
bagno e basta. Ogni giorno dovevano confezionare almeno mille scatole
per prendere un compenso giornaliero di 18 euro. L'elenco delle buste
paga è un pugno nello stomaco: 150 euro, 400 euro, 58 euro, 300euro.
Quando in tre su 45 si sono lamentati, pretendendo che la paga
salisse almeno a 25 euro, sono stati
licenziati in tronco. Licenziati, non semplicemente lasciati a casa, perché l'unica cosa in regola era il contratto part time e la busta paga che a loro - tutti richiedenti asilo di origine africana - serviva come documento per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ma ricevere quel foglio stampato era un lusso che costava 50 euro ogni mese.
licenziati in tronco. Licenziati, non semplicemente lasciati a casa, perché l'unica cosa in regola era il contratto part time e la busta paga che a loro - tutti richiedenti asilo di origine africana - serviva come documento per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ma ricevere quel foglio stampato era un lusso che costava 50 euro ogni mese.
Ieri mattina davanti al giudice del lavoro si sono presentati i tre
migranti che avevano trovato il coraggio di ribellarsi, assistiti
dall'avvocato Simone Bisacca. Non c'era invece il padrone cinese che,
secondo quanto raccontato ai magistrati, li teneva come in schiavitù.
"Ci aveva tolto la dignità" , hanno detto al presidio che la Cub, che li
segue nella causa, ha organizzato davanti al palazzo di giustizia.
"Quando usciva ci chiudeva dentro a chiave, avremmo potuto morire se
fosse scoppiato un incendio" . A molti, poi, il rumore delle chiavi che
giravano nella serratura del portone ricordava quello delle porte delle
prigioni libiche in cui erano stati detenuti. Un trauma che si rinnovava
ogni giorno.
Oltre alla causa di lavoro per ottenere i documenti per le pratiche
dell'immigrazione, l'avvocato Bisacca ha presentato in procura anche un
esposto per sfruttamento del lavoro, che ha fatto partire un'indagine
penale. "Occorre risalire la catena dei committenti per accertare
eventuali responsabilità negli appalti", precisa il legale. Ma è
possibile che si riescano a dimostrare anche forme di caporalato. "E la
cosa che lascia perplessi è che la società per cui lavoravano è ancora
operativa e continua a sfruttare altri migranti che hanno bisogno di
lavorare", spiega la Cub.
La condizione di difficoltà a ottenere i documenti di soggiorno era
quello su cui facevano leva i titolari dell'azienda, che prendeva
appalti da diversi produttori, anche molto noti, per tenere sotto
ricatto la manovalanza. "In qualità di richiedenti asilo - si legge
nell'esposto - si trovavano in evidente stato di soggezione rispetto al
datore di lavoro, data l'importanza per loro di poter provare di avere
un'attività lavorativa utile al riconoscimento del permesso di soggiorno
per motivi umanitari. Il datore di lavoro non perdeva occasione di
ricordare loro che se volevano continuare a lavorare e sperare di
ottenere il permesso di soggiorno, dovevano accettare le condizioni di
lavoro da lui dettate".
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