sabato 18 gennaio 2020

pc 18 gennaio - Lottare senza tregua contro lo schiavismo padronale

Torino, richiedenti asilo come schiavi: 150 euro al mese per impacchettare pennarelli

Dieci ore al giorno, pausa di pochi minuti per pranzo, sorvegliati a vista da sfruttatori cinesi. Chi non aveva nulla da mangiare beveva l'acqua del bagno
Impacchettavano pennarelli di marchi famosi in condizioni massacranti in un capannone senza riscaldamento di San Mauro Torinese. Dalle 8 alle 18 tutti i giorni, sette giorni su sette, una pausa di pochi minuti per pranzo, sorvegliati a vista. Chi non aveva nulla da mangiare beveva l'acqua del bagno e basta. Ogni giorno dovevano confezionare almeno mille scatole per prendere un compenso giornaliero di 18 euro. L'elenco delle buste paga è un pugno nello stomaco: 150 euro, 400 euro, 58 euro, 300euro.
Quando in tre su 45 si sono lamentati, pretendendo che la paga salisse almeno a 25 euro, sono stati
licenziati in tronco. Licenziati, non semplicemente lasciati a casa, perché l'unica cosa in regola era il contratto part time e la busta paga che a loro - tutti richiedenti asilo di origine africana - serviva come documento per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ma ricevere quel foglio stampato era un lusso che costava 50 euro ogni mese.
 
Ieri mattina davanti al giudice del lavoro si sono presentati i tre migranti che avevano trovato il coraggio di ribellarsi, assistiti dall'avvocato Simone Bisacca. Non c'era invece il padrone cinese che, secondo quanto raccontato ai magistrati, li teneva come in schiavitù. "Ci aveva tolto la dignità" , hanno detto al presidio che la Cub, che li segue nella causa, ha organizzato davanti al palazzo di giustizia. "Quando usciva ci chiudeva dentro a chiave, avremmo potuto morire se fosse scoppiato un incendio" . A molti, poi, il rumore delle chiavi che giravano nella serratura del portone ricordava quello delle porte delle prigioni libiche in cui erano stati detenuti. Un trauma che si rinnovava ogni giorno.
 
Oltre alla causa di lavoro per ottenere i documenti per le pratiche dell'immigrazione, l'avvocato Bisacca ha presentato in procura anche un esposto per sfruttamento del lavoro, che ha fatto partire un'indagine penale. "Occorre risalire la catena dei committenti per accertare eventuali responsabilità negli appalti", precisa il legale. Ma è possibile che si riescano a dimostrare anche forme di caporalato. "E la cosa che lascia perplessi è che la società per cui lavoravano è ancora operativa e continua a sfruttare altri migranti che hanno bisogno di lavorare", spiega la Cub.

La condizione di difficoltà a ottenere i documenti di soggiorno era quello su cui facevano leva i titolari dell'azienda, che prendeva appalti da diversi produttori, anche molto noti, per tenere sotto ricatto la manovalanza. "In qualità di richiedenti asilo - si legge nell'esposto - si trovavano in evidente stato di soggezione rispetto al datore di lavoro, data l'importanza per loro di poter provare di avere un'attività lavorativa utile al riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il datore di lavoro non perdeva occasione di ricordare loro che se volevano continuare a lavorare e sperare di ottenere il permesso di soggiorno, dovevano accettare le condizioni di lavoro da lui dettate".    

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