mercoledì 15 gennaio 2020

pc 15 gennaio - Ancora un processo Eternit ora a Vercelli - info a cura Rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e sul territorio bastamortesullavoro@gmail.com

Eternit, comincia un altro processo: l’accusa stavolta è omicidio volontario

Al via oggi l’udienza preliminare per 392 vittime. Il maxi processo, iniziato nel 2009, era stato prescritto
Si è aperto oggi a Vercelli il processo del cosiddetto Eternit bis per i morti di amianto nel Casalese a 11 anni dall’apertura del primo maxi processo di Torino per disastro ambientale.

Chi sono le vittime del nuovo processo?
Le vittime indicate nella richiesta di rinvio a giudizio firmata dai pm Roberta Brera (che però non sosterrà più l’accusa, perché ha assunto un nuovo incarico ad Alessandria), Fabrizio Alvino e Gianfranco Colace (di Torino, e applicato per questo processo) sono 392 casalesi morti a causa di malattie provocate dall’amianto, principalmente il mesotelioma.

Chi sono gli imputati?
C’è un unico imputato: l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, l’ultimo patron in vita di Eternit Italia. Eternit era una multinazionale che produceva manufatti di amianto, principalmente lastre per fare tetti (le cosiddette “onduline”) e tubi, ampiamente impiegati per condotte. A Casale c’era il più vecchio e imponente stabilimento italiano; aveva avviato l’attività nel 1907, al quartiere
del Ronzone e aveva anche un vasto deposito nella zona di piazza d’Armi, per la vicinanza alla stazione ferroviaria, dove arrivavano i sacchi di amianto (estratto dalle cave, ad esempio quella di Balangero) e da dove partivano i manufatti realizzati nella fabbrica e destinati a ogni parte del Paese.

Qual è l’accusa?
I pm vercellesi chiedono che Schmidheiny sia rinviato a giudizio per l’omicidio doloso delle 392 vittime casalesi elencate nel capo d’accusa.

È un’accusa diversa da quelle contestate in passato?
L’imprenditore svizzero era già stato imputato in un precedente procedimento penale, il cosiddetto «maxiprocesso Eternit», con una diversa contestazione: disastro doloso ambientale permanente.
Dopo indagini avviate a metà degli anni Duemila dal pool della procura torinese composto da Raffaele Guariniello, Gianfranco Colace e Sara Panelli, nel 2009 era iniziato il processo in Corte d’Assise. Coimputato, il belga ultranovantenne, Louis de Cartier, deceduto prima che il processo arrivasse all’ultimo grado di giudizio. In primo e in secondo grado l’imputato svizzero era stato riconosciuto colpevole e condannato (18 anni), ma la Suprema Corte, a novembre 2014, aveva azzerato tutto, dichiarando la prescrizione, di cui aveva individuato la decorrenza dal 1986, anno in cui lo stabilimento del Ronzone era stato chiuso.

Come partirono le indagini?
Le indagini erano già partite, a metà anni Duemila, prendendo in considerazione gli effetti che la diffusione della fibra di amianto aveva causato sia sull’ambiente sia sulle persone. Per snellire il procedimento, la procura torinese aveva deciso di cominciare a chiudere l’inchiesta riguardante il disastro ambientale. Erano seguiti i tre gradi di giudizio. All’indomani della sentenza di Cassazione che azzerava il maxiprocesso per prescrizione, la procura aveva tirato fuori il troncone riguardant i morti (a Casale, Cavagnolo, Bagnoli di Napoli e Rubiera dell’Emilia) contestando l’omicidio doloso. E’, appunto, l’«Eternit Bis».
Inizialmente era un unico fascicolo, ma il gup torinese Federica Bompieri ha riqualificato il reato da omicidio doloso a colposo (colpa cosciente). Pertanto, il fascicolo è stato frazionato in 4 parti, assegnate alle magistrature competenti per territorio: al tribunale di Torino è rimasto il processo per omicidio colposo per 2 vittime di Cavagnolo (Schmidheiny condannato in primo grado a 4 anni), alla procura di Vercelli il troncone per 392 vittime casalesi, a Napoli per 8 di Bagnoli, a Reggio Emilia per i casi di Rubiera.

L’imputato è libero?
Sì e vive in Svizzera.

Qual è la sua difesa?
I difensori Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva sostengono che l’imputato, da quando ha ereditato le aziende Eternit in diversi Paesi, aveva investito in accorgimenti di sicurezza per limitare la diffusione della fibra. La difesa ritiene inoltre che, negli anni ’70/’80, non ci fosse ancora una certezza scientifica circa la correlazione tra amianto e mesotelioma. L’accusa, invece, insiste sulla consapevolezza di Schmidheiny sulla pericolosità mortale, già dimostrata dagli anni ’50.

Ci sono altre vittime?
Le 392 vittime del capo di imputazione di Eternit Bis sono solo un campione. Ma dal 2014, quando è stato chiuso questo filone di indagine a Torino, molti altri (una cinquantina di nuovi casi all’anno) si sono ammalati per gli effetti della fibra diffusa decenni fa, non soltanto proveniente dallo stabilimento, ma anche impiegata per i cosiddetti «usi impropri» (livellamento di campi sportivi, cortili, strade, coibentazione di sottotetti). inoltre, purtroppo, non è ancora stata individuata una terapia risolutiva per il mesotelioma.

Ci saranno altri processi?
Sì, perché nel frattempo, appunto, ci sono state, e ci saranno, altre vittime.

Il problema amianto a Casale è stato risolto?
Casale è sicuramente la città più bonificata forse al mondo: non c’è più un solo edificio pubblico con tetto di amianto; ce ne sono ancora privati, ma si procede, grazie agli incentivi. Poi c’è l’insidia pericolosissima del «polverino»: non si sa dove sia nascosto fino a che, ad esempio nelle ristrutturazioni, se ne scopra la presenza.

Perché il processo si celebra a Vercelli?
Perché il territorio di Casale dal 2013 è stato assorbito dal circondario giudiziario di Vercelli. Se l’imputato, al termine dell’udienza preliminare che comincia oggi (14 gennaio; altre date già fissate: 17, 20 e 24) dovesse essere rinviato a giudizio per omicidio doloso, il processo in Assise si svolgerebbe a Novara; se fosse incriminato di omicidio colposo, sarebbe giudicato a Vercelli.       

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