Eternit, comincia un altro processo: l’accusa stavolta è omicidio volontario
Al via oggi l’udienza preliminare per 392 vittime. Il maxi processo, iniziato nel 2009, era stato prescritto
Si è aperto oggi a Vercelli il processo del cosiddetto Eternit
bis per i morti di amianto nel Casalese a 11 anni dall’apertura del
primo maxi processo di Torino per disastro ambientale.
Chi sono le vittime del nuovo processo?
Le vittime indicate nella richiesta di rinvio a giudizio firmata
dai pm Roberta Brera (che però non sosterrà più l’accusa, perché ha
assunto un nuovo incarico ad Alessandria), Fabrizio Alvino e Gianfranco
Colace (di Torino, e applicato per questo processo) sono 392 casalesi
morti a causa di malattie provocate dall’amianto, principalmente il
mesotelioma.
Chi sono gli imputati?
C’è un unico imputato: l’imprenditore svizzero Stephan
Schmidheiny, l’ultimo patron in vita di Eternit Italia. Eternit era una
multinazionale che produceva manufatti di amianto, principalmente lastre
per fare tetti (le cosiddette “onduline”) e tubi, ampiamente impiegati
per condotte. A Casale c’era il più vecchio e imponente stabilimento
italiano; aveva avviato l’attività nel 1907, al quartiere
del Ronzone e aveva anche un vasto deposito nella zona di piazza d’Armi, per la vicinanza alla stazione ferroviaria, dove arrivavano i sacchi di amianto (estratto dalle cave, ad esempio quella di Balangero) e da dove partivano i manufatti realizzati nella fabbrica e destinati a ogni parte del Paese.
del Ronzone e aveva anche un vasto deposito nella zona di piazza d’Armi, per la vicinanza alla stazione ferroviaria, dove arrivavano i sacchi di amianto (estratto dalle cave, ad esempio quella di Balangero) e da dove partivano i manufatti realizzati nella fabbrica e destinati a ogni parte del Paese.
Qual è l’accusa?
I pm vercellesi chiedono che Schmidheiny sia rinviato a giudizio
per l’omicidio doloso delle 392 vittime casalesi elencate nel capo
d’accusa.
È un’accusa diversa da quelle contestate in passato?
L’imprenditore svizzero era già stato imputato in un precedente
procedimento penale, il cosiddetto «maxiprocesso Eternit», con una
diversa contestazione: disastro doloso ambientale permanente.
Dopo indagini avviate a metà degli anni Duemila dal pool della
procura torinese composto da Raffaele Guariniello, Gianfranco Colace e
Sara Panelli, nel 2009 era iniziato il processo in Corte d’Assise.
Coimputato, il belga ultranovantenne, Louis de Cartier, deceduto prima
che il processo arrivasse all’ultimo grado di giudizio. In primo e in
secondo grado l’imputato svizzero era stato riconosciuto colpevole e
condannato (18 anni), ma la Suprema Corte, a novembre 2014, aveva
azzerato tutto, dichiarando la prescrizione, di cui aveva individuato la
decorrenza dal 1986, anno in cui lo stabilimento del Ronzone era stato
chiuso.
Come partirono le indagini?
Le indagini erano già partite, a metà anni Duemila, prendendo in
considerazione gli effetti che la diffusione della fibra di amianto
aveva causato sia sull’ambiente sia sulle persone. Per snellire il
procedimento, la procura torinese aveva deciso di cominciare a chiudere
l’inchiesta riguardante il disastro ambientale. Erano seguiti i tre
gradi di giudizio. All’indomani della sentenza di Cassazione che
azzerava il maxiprocesso per prescrizione, la procura aveva tirato fuori
il troncone riguardant i morti (a Casale, Cavagnolo, Bagnoli di Napoli e
Rubiera dell’Emilia) contestando l’omicidio doloso. E’, appunto,
l’«Eternit Bis».
Inizialmente era un unico fascicolo, ma il gup torinese Federica
Bompieri ha riqualificato il reato da omicidio doloso a colposo (colpa
cosciente). Pertanto, il fascicolo è stato frazionato in 4 parti,
assegnate alle magistrature competenti per territorio: al tribunale di
Torino è rimasto il processo per omicidio colposo per 2 vittime di
Cavagnolo (Schmidheiny condannato in primo grado a 4 anni), alla procura
di Vercelli il troncone per 392 vittime casalesi, a Napoli per 8 di
Bagnoli, a Reggio Emilia per i casi di Rubiera.
L’imputato è libero?
Sì e vive in Svizzera.
Qual è la sua difesa?
I difensori Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva sostengono che
l’imputato, da quando ha ereditato le aziende Eternit in diversi Paesi,
aveva investito in accorgimenti di sicurezza per limitare la diffusione
della fibra. La difesa ritiene inoltre che, negli anni ’70/’80, non ci
fosse ancora una certezza scientifica circa la correlazione tra amianto e
mesotelioma. L’accusa, invece, insiste sulla consapevolezza di
Schmidheiny sulla pericolosità mortale, già dimostrata dagli anni ’50.
Ci sono altre vittime?
Le 392 vittime del capo di imputazione di Eternit Bis sono solo
un campione. Ma dal 2014, quando è stato chiuso questo filone di
indagine a Torino, molti altri (una cinquantina di nuovi casi all’anno)
si sono ammalati per gli effetti della fibra diffusa decenni fa, non
soltanto proveniente dallo stabilimento, ma anche impiegata per i
cosiddetti «usi impropri» (livellamento di campi sportivi, cortili,
strade, coibentazione di sottotetti). inoltre, purtroppo, non è ancora
stata individuata una terapia risolutiva per il mesotelioma.
Ci saranno altri processi?
Sì, perché nel frattempo, appunto, ci sono state, e ci saranno, altre vittime.
Il problema amianto a Casale è stato risolto?
Casale è sicuramente la città più bonificata forse al mondo: non
c’è più un solo edificio pubblico con tetto di amianto; ce ne sono
ancora privati, ma si procede, grazie agli incentivi. Poi c’è l’insidia
pericolosissima del «polverino»: non si sa dove sia nascosto fino a che,
ad esempio nelle ristrutturazioni, se ne scopra la presenza.
Perché il processo si celebra a Vercelli?
Perché il territorio di Casale dal 2013 è stato assorbito dal
circondario giudiziario di Vercelli. Se l’imputato, al termine
dell’udienza preliminare che comincia oggi (14 gennaio; altre date già
fissate: 17, 20 e 24) dovesse essere rinviato a giudizio per omicidio
doloso, il processo in Assise si svolgerebbe a Novara; se fosse
incriminato di omicidio colposo, sarebbe giudicato a Vercelli.
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