L'uccisione
del gen. Soleimani da parte del Pentagono non è rivolta solo contro
un uomo e un regime politico che negli ultimi anni avevano saputo
abilmente erodere spazi, in Iraq, Siria, in Yemen, agli Stati Uniti
di Obama e di Trump e ai loro alleati. È
un monito terroristico rivolto alle masse del mondo arabo e
dell'intera area medio-orientale in ebollizione in Sudan, in Algeria,
in Libano, in Iraq e altrove affinché abbiano ben presente chi
comanda in quella regione, e tengano bene a mente che gli interessi
statunitensi sono intoccabili. Questo monito va insieme al tentativo
di rilanciare la falsa divisione tra “sunniti” e “sciiti” che
tanto ha giovato agli interessi delle classi dominanti, globali e
locali.
Non
a caso Trump si è immediatamente precipitato a chiarire due cose:
1)”non
vogliamo un regime
change in
Iran, non vogliamo buttare giù il regime islamico” - l'obiettivo è
di limitare la sua sfera di influenza e renderlo più malleabile al
tavolo dei negoziati;
2)se
ci sarà una risposta iraniana forte, la contro-risposta statunitense
sarà “sproporzionata”. Il terrorismo imperialista degli Stati
Uniti e della NATO – dello stesso genere di quello che Israele
attua contro le masse palestinesi – mira oltre che a dare un avviso
ai governanti di Teheran e delle altre capitali dell'area amiche
della Russia, a
generare paura tra i rivoltosi che da due anni riempiono le piazze di questa area per cambiare radicalmente la propria condizione attraverso l'abbattimento dei rispettivi regimi. Perché questo cambiamento radicale si può realizzare solo tagliando le unghie, le ali e infine la testa alla dominazione imperialista sull'area.
generare paura tra i rivoltosi che da due anni riempiono le piazze di questa area per cambiare radicalmente la propria condizione attraverso l'abbattimento dei rispettivi regimi. Perché questo cambiamento radicale si può realizzare solo tagliando le unghie, le ali e infine la testa alla dominazione imperialista sull'area.
L'America
di Obama fu contro la caduta dei vari Mubarak, Ben Ali, Saleh nel
2011. Allo stesso modo l'America di Trump è oggi contro la caduta
degli attuali regimi arabi (incluso quello di Assad) e
medio-orientali – non a caso ha subito riconosciuto Tebbouni come
nuovo presidente dell'Algeria, nonostante la diserzione di massa
dalle urne e l'Hirak
algerino in atto da un anno. Washington non coltiva più, forse, il
folle sogno di avere regimi costruiti a totale immagine e somiglianza
dei propri interessi. Sa che questo non è più possibile per l'odio
e il discredito che ha accumulato nella regione e nel mondo. Ma usa
tutti i mezzi a propria disposizione – guerre, servizi segreti,
sanzioni, diplomazia, eserciti privati, mass media, tangenti – per
condizionare e costringere questi governi a non danneggiare gli
interessi statunitensi. E se in questa sua azione si erge a
“protettrice” degli interessi di una minoranza “etnica”, lo
fa solo per il cinico gioco “Li amiamo, li usiamo, e alla fine li
scarichiamo”. Il caso dei curdi siriani dovrebbe averlo
definitivamente chiarito.
Da
parte loro il regime di Teheran e i suoi alleati in Iraq, in Libano,
in Siria, in Palestina hanno colto al volo l'occasione dell'uccisione
di Soleimani per rivitalizzare i loro proclami “anti-imperialisti”,
e da ora in poi useranno l'emozione che questo assassinio ha
suscitato per scagliare contro i grandi movimenti popolari in atto da
mesi in Libano, in Iraq, in Algeria, in Sudan, il brutale ricatto:
chiunque si ribella contro i propri governi fa il gioco dell'America
e degli imperialisti. Per regimi ovunque traballanti, quale occasione
d'oro per riprendere in questo modo fiato e consensi!
Noi
siamo con le piazze di Teheran e di Baghdad che bruciano di
sentimenti anti-americani e anti-occidentali, perché vediamo in esse
un potenziale rivoluzionario oggi sequestrato da abili mestatori. Ma
siamo altrettanto risolutamente contro le oligarchie borghesi,
abbiano o no vesti religiose, che a Teheran, a Baghdad, a Beirut, ad
Algeri, strumentalizzano questi sentimenti per consolidare i propri
regimi dispotici e corrotti e, inneggiando all'Islam, continuare a
curare interessi molto terreni di arricchimento, accaparramento di
fondi statali e privilegi di classe e di clan. Regimi che hanno
schiacciato sistematicamente nel sangue ogni tentativo della classe
operaia e degli sfruttati di liberarsi da una condizione
generalizzata di povertà e di super-sfruttamento. Regimi che, in un
modo o nell'altro, hanno applicato le ricette di politica economica
del FMI, imponendo anche di recente pesantissimi sacrifici
supplementari alle proprie popolazioni già stremate.
Questi
poteri cercheranno di contrapporre il sacrosanto odio di massa contro
l'imperialismo e la rabbia maturata ed esplosa contro di loro nel
2011-2012 e di nuovo nel 2018-2019. Noi li vediamo invece come forze
complementari, da saldare in un solo fronte di lotta internazionale e
internazionalista al tempo stesso anti-imperialista e
anti-capitalista. Nessuna contrapposizione tra la piazza Tahrir di
Baghdad che si rifiuta, giustamente, di considerare il repressore
Soleimani un proprio eroe (e come potrebbe?), e la massa degli altri
dimostranti che gridano in altre piazze “morte all'America”.
Trump e gli ayatollah, i super-gangster del Pentagono e i Soleimani
sono due facce della stessa medaglia.
Quanto
all'Italia, il governo Conte-bis ha coperto l'azione avventurista e
guerrafondaia di Trump, della cui furiosa islamofobia è totalmente
complice. Il suo invito alla “cautela”, alla “responsabilità”,
alla “moderazione” non nasce certo da amore per la “pace”, di
cui nell'area medio-orientale non c'è traccia (chiedere ai
palestinesi, agli iracheni, ai curdi). Esprime il faticosissimo
tentativo di barcamenarsi nella concorrenza tra Stati Uniti e Unione
Europea per assicurarsi una propria fetta di bottino in Nord Africa e
Medio Oriente, e non compromettere le proprie buone relazioni
commerciali con l'Iran e molti paesi arabi. Ma questo posizionamento
non riesce a nascondere la totale complicità dello stato italiano e
di tutti i governi italiani, di qualsiasi colore, con la guerra
infinita che l'imperialismo occidentale ha scatenato da decenni ai
popoli arabi e “islamici” e sta riempiendo questa vasta area del
mondo di lutti, distruzioni, emigrazioni forzate, ricacciandola
indietro, anzitutto in Iraq come promise Baker, “all'età della
pietra”.
Altrettanto
impossibile è nascondere che, Salvini o non Salvini, l'Italia di
Mattarella, dei Cinquestalle, del Pd, etc. è schierata dalla parte
dei regimi borghesi dipendenti che al Cairo come a Tunisi, ad Algeri
come a Khartum, opprimono le proprie classi lavoratrici e usano il
pugno di ferro contro le loro ritornanti sollevazioni. L'Italia
dell'ENI, della Federmeccanica e delle altre centinaia di imprese che
lucrano immensi profitti in questa area, è anche l'Italia delle
truppe schierate in Iraq, in Libano, in Niger, per preparare altre
guerre e addestrare polizie e truppe speciali anti-sommossa.
È
impossibile prevedere se l'uccisione di Soleimani e quello che ne
seguirà come risposta ad essa innescherà una reazione a catena
incontrollabile, generando in Medio Oriente una guerra generale tra
Stati Uniti, Israele, UE, petrol-monarchie da un lato, Russia, Iran e
loro alleati dall'altro - banco di prova per la formazione di due
schieramenti capitalistici contrapposti in vista di un nuovo macello
mondiale di inimmaginabile capacità distruttiva per l'umanità e la
natura. Il rilancio del militarismo ad Ovest come a Est, nel Nord
come nel Sud del mondo, della guerra per lo spazio, la decisione
esplicita della NATO di mettere nel suo mirino la Cina, non lasciano
dubbi sul fatto che nei circoli dominanti si pensa concretamente a
questa possibilità per risolvere una crisi economica nonostante
tutto irrisolta, e rispondere con sperimentate ricette reazionarie ad
una crisi di legittimità e di egemonia del sistema capitalistico di
portata sempre più ampia.
Siamo
già su questo piano inclinato. E sarebbe infantile immaginare che ci
si possa fare scudo di un art. 11 della Costituzione che per i
governanti italiani è stato fin dall'inizio carta straccia. La
parola deve passare alle piazze, ad una lotta ampia e determinata
contro le nuove guerre capitaliste-imperialiste in gestazione e
quelle già in corso. Basta con le esitazioni! Basta anche con
l'idea, detta e non detta, che il fronte in formazione
Russia-Cina-Iran sia tutto sommato preferibile all'odioso
schieramento Usa-Nato-UE. Per quanto diviso da conflitti di interessi
con quello occidentale, Il fronte Russia-Cina-Iran non ha nulla di
preferibile per la classe lavoratrice, non promette altro di diverso
da quello che già fa oggi, quotidianamente, sui “propri”
lavoratori: sfruttamento, sfruttamento, sfruttamento.
Torniamo
quindi a manifestare con lo slogan dei manifestanti di san Francisco
e di altre città degli Stati Uniti: “No
war, but class war”.
No alla guerra tra capitalisti e regimi capitalistici, per fini
capitalistici di oppressione del lavoro e di saccheggio della natura;
si alla guerra di classe globale tra sfruttati e sfruttatori.
Naturalmente
non mettiamo gli Stati Uniti (o l'UE) e l'Iran sullo stesso piano.
Gli Stati Uniti, per quanto in declino, sono sempre e comunque il
paese imperialista n. 1 nel mondo. L'Iran degli ayatollah è una
semplice potenza di area - giustamente odiata per la sua azione
anti-operaia da tanti proletari in Iran (dove appena poco più di un
mese fa ci sono state diffuse proteste popolari schiacciate nel
sangue), in Iraq (dove le milizie che facevano capo a Soleimani
sparavano da ottobre contro le dimostrazioni di strada) e in Siria
(dove pure si sono distinte per simili azioni “umanitarie”).
Quindi:
ora e sempre contro l'imperialismo USA, in quanto guida e
coordinatore, fin che potrà, del capitalismo globale. E anzitutto
ora e sempre contro il "nostro" imperialismo e il governo
Conte,
i suoi maneggi di "pace" e di guerra, subdoli ma non per
questo meno efficaci all'interno dello schieramento della NATO e
dell'UE, che ricadranno inevitabilmente sulle spalle della classe
lavoratrice. Mai, però, con l'Iran capitalista degli ayatollah, che
ha confiscato e schiacciato nel sangue la grandiosa sollevazione
popolare e proletaria del 1979, ed è schierato oggi con le sue
milizie e la sua influenza politico-ideologica contro le sollevazioni
popolari in atto nel mondo arabo.
Gli
internazionalisti rivoluzionari stanno
i–n–c–o–n–d–i–z-i-o-n-a-t-a-m-e-n-t-e
dalla parte delle sollevazioni delle masse oppresse e sfruttate del
mondo arabo, del Medio Oriente e dell'Iran contro l'imperialismo e
contro i loro regimi, in un grado o nell'altro integrati al
capitalismo globale e al fronte della controrivoluzione globale.
Abbasso
il militarismo capitalistico e le guerre capitaliste e imperialiste!
No
all'aggressione yankee e occidentale agli sfruttati iraniani, arabi e
“islamici”!
Nessuna
apertura di credito a Iran, Russia, Cina, regimi capitalistici e
oppressori dei lavoratori quanto i regimi democratici occidentali!
Solidarietà
incondizionata alle masse oppresse e sfruttate arabe e iraniane in
rivolta!
Internazionalismo
proletario militante! Socialismo internazionale!
6
gennaio 2019
Il
cuneo rosso – com.internazionalista@gmail.com
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