domenica 12 gennaio 2020

pc 12 gennaio - Sulla recente rivolta popolare in Cile un articolo apparso sull'ultimo numero di 'proletari comunisti'

La recente rivolta popolare in Cile è parte del vasto incendio che le masse oppresse stanno appiccando in varie parti del mondo, dall'America Latina all'Africa, all'Asia. Masse non più disposte ad accettare le politiche di austerità dei governi reazionari-comitati d'affari della borghesia- che scaricano la crisi del sistema imperialista sui lavoratori e le masse popolari.
In America Latina la rabbia popolare è esplosa in Ecuador, Perù, Bolivia, Brasile, Venezuela, Haiti, in Argentina l'anno scorso e adesso, in ottobre, in Cile.
Se l'impoverimento delle masse è l'elemento comune, le rivolte spontanee hanno le loro specificità in ogni paese semicoloniale e semi-feudale su cui si sviluppa il capitalismo burocratico al servizio della contesa interimperialistica tra Usa/Russia/Cina in America Latina.
E dimostrano tutte che questo sistema imperialista è irriformabile e che l'unica soluzione è la Rivoluzione proletaria.

Il modello di sviluppo cileno, la “democrazia” post-dittatura, “l'isola felice”, sono state tutte le menzogne che sono cadute giù velocemente non appena il governo ha deciso l'aumento del biglietto della metropolitana. E' stato l'innesco alla rivolta delle masse.
"Non sono 30 pesos, sono 30 anni" è stato uno slogan della protesta: a pesare sulle masse non è stato l'aumento di 2 centesimi del biglietto ma 30 anni di cosiddetta “democrazia” gattopardesca (cambiare
tutto per non cambiare niente), che ha ancora la stessa Costituzione del tempo della dittatura, che ha arricchito ancora di più la borghesia burocratica e compradora del Cile.
Come nel periodo della dittatura di Pinochet (1973-1990), la borghesia, questa classe di parassiti, ha preteso la "libertà" (di mercato) per sé stessa, cioè per i padroni e per i banchieri, e dittatura (aperta o mascherata che sia) invece per gli operai e le masse che non dovevano avere, ieri come oggi, nessun accesso alla ricchezza di questo paese (il Cile possiede il 28 per cento del rame mondiale).
30 anni in cui i vari governi post-dittatura hanno permesso la privatizzazione di tutto, dalla salute, all’istruzione, all’acqua. Nessuna discontinuità con la "politica shock" dei cosiddetti economisti, pagati dalla CIA, formati all'Università di Chicago da Milton Friedman, i cosiddetti Chicago Boys che negli anni '70 hanno imposto le politiche di “lacrime e sangue” in America Latina, e in Cile in particolare, con il terrore di Stato delle dittature militari, per conto dell'imperialismo USA.
Il governo e l’esercito pensavano di riportare indietro l’orologio della storia a trent’anni fa, quando anche in quel momento storico i lavoratori e le masse popolari hanno voluto decidere da sè il futuro politico del Cile, seppure con l'illusione della costruzione del socialismo per via elettorale, ma avevano "votato in modo sbagliato" secondo l'imperialismo USA (Nixon), che li ha subito "corretti" con un golpe fascista e circa un ventennio di dittatura feroce.
Oggi la "democrazia", sempre comunque al servizio della borghesia, mette in campo i suoi arnesi repressivi ereditati dal regime di Pinochet, armato e sostenuto dallo Stato d'Israele.
La rivolta delle masse ha strappato molti veli, uno su tutte è quello che nascondeva l'estrema polarizzazione di ricchezza e miseria. La lotta inconciliabile delle classi è rappresentata dalla telefonata intercettata della primera dama Cecilia Morel: “È come se ci fosse una invasione di alieni”. Per la borghesia parassita è inconcepibile la violenza/resistenza di un popolo che non ce la fa più a campare con un salario di 375 euro lordi (301.000 pesos) e con una pensione media che si aggira intorno ai 260 dollari grazie alla legge sui fondi assicurativi privati che abolisce la previdenza pubblica, voluta da Pinochet e confermata dai governi della “democrazia” a favore delle compagnie assicurative (la legge obbliga i lavoratori a versare ogni mese il 12 percento dello stipendio su un fondo pensione privato), pensione minima comunque, vista l'estensione dei rapporti di lavoro precari. Le pensioni di polizia ed esercito, invece, sono molto più alte e seguono un sistema a parte.
Salari dei lavoratori che non bastano a fronte degli aumenti delle case, delle tariffe. Non a caso nella prima notte di rivolta a Santiago i manifestanti hanno dato fuoco alla sede di Enel Cile, simbolo della furia popolare, colpevole di aver alzato i prezzi del 10 percento.
La scuola classista spinge all'indebitamento dei lavoratori per mantenere i propri figli. Dilagano corruzione, oligopoli commerciali (numerosi scandali hanno colpito prodotti di uso comune: dal mercato del pollo a quello di fazzoletti e carta igienica, fino alle farmacie), liberalizzazioni, mentre sempre più cari diventavano i prezzi dei beni di per le masse. Non è un caso quindi che la rabbia dei manifestanti si sia rivolta proprio contro un centinaio di supermercati dell’americana Walmart, protagonista dello scandalo sul pollo insieme ad altre due catene oligopolistiche, Smu e Cencosud.
Soltanto pochi giorni prima della rivolta, ai cileni che protestavano per le lunghe attese ai consultori pubblici, il ministro delle Finanze Felipe Larraín rispondeva che non si lamentassero, perché era “un modo per stringere amicizie”.
Ma per la ricca borghesia cilena le masse sono “alieni”!
Tutto è privato, tutto costa e tanto. Per questo sono divampate proteste spontanee, barricate a Santiago, con 79 stazioni della metro danneggiate, per un totale di trecento milioni di dollari di danni. “Ci hanno portato via così tanto che ci hanno portato via la paura”, è stato un altro slogan della protesta.
Racconta Javier Godoy Fajardo, fotografo che sta documentando la protesta e la descrive come una cosa mai vista, mai vista tanta gente così decisa e coraggiosa, tanti ragazzi e soprattutto ragazze che affrontano gli uniformados senza paura. “Io che ho 54 anni e ho vissuto la dittatura mi sono spaventato quando hanno decretato il coprifuoco, ma loro no, non hanno paura di niente, avanzavano senza arretrare verso i militari che sparavano pallottole di gomma a distanza ravvicinata. Erano semmai i militari a essere spaventati: ragazzini senza esperienza e non c'è niente di più pericoloso di una persona armata e spaventata, specialmente se ha diciotto anni”.
Contro di essi ha scatenato il terrore di Stato il governo del miliardario di destra, uno dei cinque imprenditori più ricchi del Cile, Piñera/Piranha, il Berlusconi cileno, il cui fratello, José, fu ministro dell’Economia durante la dittatura di Pinochet, che ha chiamato “delinquenti” i manifestanti e che ha dichiarato che lo Stato era “in guerra contro un nemico potente, che è disposto a usare la violenza senza alcun limite” e che ha proclamato lo stato d’emergenza e imposto il coprifuoco dalle 19 alle 6 di mattina, con 19.461 tra poliziotti, militari in attività e riservisti, investigatori. Nel giro di 48 ore c’era già l’esercito per le strade – cosa che non si vedeva dalla fine della dittatura nel 1990 -, con restrizioni alla libertà di movimento e di riunione, con 23 morti e con più di 4.000 persone arrestate di cui 404 adolescenti e 160 che hanno subito gravi lesioni agli occhi. La Croce rossa cilena ha contato in più di 2500 feriti. In totale, sono state presentate 138 cause legali dalle associazioni in difesa dei diritti umani, di cui cinque per omicidio, 18 per violenza sessuale e 92 per tortura. Tra lo scorso 20 e 21 ottobre, in 24 ore, l’esercito cileno ha speso 50 milioni di dollari per acquistare 56.275 cartucce antisommosse.
I carabineros hanno sparato sui feriti, hanno violentano le detenute. Il centro clandestino di tortura nei sotterranei è stata la fermata di metro Baquedano, in Plaza Italia, fulcro delle manifestazioni a Santiago.
Con la scusa del coprifuoco hanno arrestato chiunque, a qualsiasi ora. Sbirri incappucciati hanno rapito i manifestanti dalle strade. Il governo cileno ha fatto di tutto per non far trapelare le immagini delle violenze contro la popolazione civile.
Gabriella Saba della rivista culturale online "doppiozero" nel suo articolo “Cile, anatomia di una protesta”: "Le vittime di queste ultime sono soprattutto donne: raccontano di essere state costrette a spogliarsi nei commissariati e toccate, una di loro l'hanno minacciata di penetrarla con il fucile, mentre a un fermato è stato imposto di fare flessioni nudo davanti al nipote. Lo studente Nicolás Luer, 22anni, ha denunciato di essere stato picchiato fino a perdere conoscenza nella caserma all'interno della stazione sotterranea della metro di Baquedano, un altro ha raccontato qualche giorno fa alla radio Bio Bio che alcuni agenti lo hanno non solo pestato ferocemente ma penetrato con la punta del manganello quando hanno capito che era omosessuale e costretto a urlare “soy maricon”. Di quell'ufficio nella stazione Baquedano, Luer ha parlato come di un centro di torture, con detenuti appesi al soffitto che gridavano. I giudici Darwin Bratti e Daniel Urrutia che vi si sono recati insieme a personale dell’INDH non hanno trovato tracce di tortura né “indizi che esistesse una struttura alla quale si potessero appendere le persone”, ma due fascette in plastica di cui i carabinieri non hanno giustificato la provenienza li hanno convinti ad avviare le indagini."
Quello che gli sbirri hanno commesso durante il coprifuoco è del tutto illegale, come affermato dal costituzionalista Jaime Bassa dinanzi al Senato: "Di fatto", ha detto l'avvocato, "quello che stiamo vedendo è che l'autorità militare agisce come se fossimo in uno stato di assedio, senza alcuna autorizzazione normativa e senza alcun controllo."
Dopo 5 giorni di proteste e 4 di coprifuoco, il giorno 23 ottobre è indetto lo sciopero generale.
Il 25 ottobre una nuova grande manifestazione contro il governo di oltre un milione di persone scese in piazza a Santiago. Il 28 ottobre ci sono stati scontri davanti al Parlamento e i parlamentari sono stati costretti a tornarsene a casa loro.
Piñera ha annunciato anche un rimpasto di governo (il terzo in 15 mesi) e la sospensione del coprifuoco. La rivolta lo ha costretto a fare marcia indietro e annunciare alcune misure di stampo "populista", come la sospensione della legge sull’aumento del biglietto della metropolitana e alcune riforme – tra cui un aumento della pensione minima e del salario minimo, un disegno di legge che fissa la giornata lavorativa a 40 ore - attualmente è di 45 ore – con il licenziamento di otto ministri, sostituendo alcuni di quelli più ostili ai manifestanti. Solo un “cambiamento cosmetico” come ammette la stessa stampa borghese.
Il nuovo ministro dell’Interno è l’avvocato Gonzalo Blumel che ha preso il posto di Andrés Chadwick, cugino e stretto collaboratore di Piñera, ex di Pinochet, che aveva definito “criminali” i manifestanti. Tra i ministri sostituiti c’è anche l’ex ministro dell’Economia Andres Fontaine, che aveva invitato i lavoratori che protestavano contro l’aumento del prezzo dei biglietti (che riguardava solo le ore di punta) ad “alzarsi prima” la mattina. Sono rimasti al loro posto il ministro della Difesa, che ha dato l’ordine di uccidere, e il ministro della Sanità, sul quale incombe il peso dei morti, e quello della Giustizia, che ha giustificato repressione e violazioni, così come quello dei Trasporti e dell'Istruzione.
Il rimpasto non è riuscito a frenare la protesta. Così come non è piaciuto ai manifestanti l’aumento retributivo tra il 20 e il 30% in favore di carabinieri e forze armate. Aver confermato questo ‘premio’ è stato accolto dalla società civile cilena come un “gesto insolito, una provocazione, un riconoscimento per aver lavorato bene durante le proteste”.
La rivolta popolare ha costretto il governo affamapopolo di Piñera a cancellare 2 forum internazionali previsti: l’organizzazione della conferenza mondiale sul clima Cop 25 – in agenda dal 2 al 13 dicembre – e il vertice dell’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation), che doveva svolgersi a Santiago il 16 e il 17 novembre.
Tra i governi imperialisti che sostengono la cosiddetta “democrazia” cilena c'è il governo italiano con la Vice Ministra agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale, Marina Sereni (Pd), che nell'audizione alla commissione Esteri ha espresso la posizione del governo: “Il Cile di oggi non è quello di Pinochet. Vorrei essere da subito molto chiara su questo, perché vedo in talune ricostruzioni giornalistiche la tentazione di fare parallelismi che sono fuori luogo, e dai quali il Governo prende le distanze. Il Cile è una democrazia ormai consolidata che ha visto un’esemplare alternanza tra governi di orientamento diverso dopo la fine della dittatura. È un Paese con il quale abbiamo sviluppato intensi rapporti in tutti i settori, sia a livello bilaterale che come Unione Europea. È un attore che svolge un ruolo crescente a livello internazionale. Siamo quindi stati tutti presi di sorpresa, dentro e fuori dal Paese, perché abituati a vedere il Cile come “oasi di stabilità”, un’economia che cresce a ritmi sostenuti, in cui il livello di povertà relativa dopo la fine della dittatura è sceso dal 40% del 1990 all’8% del 2018 e che da allora non è stato colpito dalle turbolenze che hanno caratterizzato altri Paesi del continente”.
Il 12 novembre un altro sciopero generale ha paralizzato il paese con barricate e blocchi in tutto il paese, con manifestazioni a Santiago (300 mila), Valparaíso e in altre città. Hanno scioperato dai portuali ai minatori, dai lavoratori dei trasporti, delle scuole, a quelli degli ospedali e degli uffici pubblici. Le forze politiche e sindacali della conciliazione non volevano questo sciopero e cominciano a perdere consenso tra le masse. Le masse non vogliono nessun dialogo, nessuna “assemblea costituente” (il prossimo aprile il Cile voterà in un referendum sulla revisione della Costituzione), nessun "nuovo patto sociale". I giovani e gli operai stanno indicando la direzione di marcia. Farla finita con la dittatura della borghesia significa liberarsi dalle catene del riformismo e dell'opportunismo e passare dalla rivolta alla Rivoluzione, che richiede Partito comunista di tipo nuovo, Fronte Unito e forza combattente.

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