La recente rivolta popolare in Cile è parte del vasto incendio che
le masse oppresse stanno appiccando in varie parti del mondo,
dall'America Latina all'Africa, all'Asia. Masse non più disposte ad
accettare le politiche di austerità dei governi reazionari-comitati
d'affari della borghesia- che scaricano la crisi del sistema
imperialista sui lavoratori e le masse popolari.
In America Latina la
rabbia popolare è esplosa in Ecuador, Perù, Bolivia, Brasile,
Venezuela, Haiti, in Argentina l'anno scorso e adesso, in ottobre, in
Cile.
Se l'impoverimento
delle masse è l'elemento comune, le rivolte spontanee hanno le loro
specificità in ogni paese semicoloniale e semi-feudale su cui si
sviluppa il capitalismo burocratico al servizio della contesa
interimperialistica tra Usa/Russia/Cina in America Latina.
E dimostrano tutte
che questo sistema imperialista è irriformabile e che l'unica
soluzione è la Rivoluzione proletaria.
Il modello di sviluppo cileno, la
“democrazia” post-dittatura, “l'isola felice”, sono state
tutte le menzogne che sono cadute giù velocemente non appena il
governo ha deciso l'aumento del biglietto della metropolitana. E'
stato l'innesco alla rivolta delle masse.
"Non sono 30 pesos, sono 30 anni"
è stato uno slogan della protesta: a pesare sulle masse non è stato
l'aumento di 2 centesimi del biglietto ma 30 anni di cosiddetta
“democrazia” gattopardesca (cambiare
tutto per non cambiare niente), che ha ancora la stessa Costituzione del tempo della dittatura, che ha arricchito ancora di più la borghesia burocratica e compradora del Cile.
tutto per non cambiare niente), che ha ancora la stessa Costituzione del tempo della dittatura, che ha arricchito ancora di più la borghesia burocratica e compradora del Cile.
Come nel periodo della dittatura di
Pinochet (1973-1990), la borghesia, questa classe di parassiti, ha
preteso la "libertà" (di mercato) per sé stessa, cioè
per i padroni e per i banchieri, e dittatura (aperta o mascherata che
sia) invece per gli operai e le masse che non dovevano avere, ieri
come oggi, nessun accesso alla ricchezza di questo paese (il Cile
possiede il 28 per cento del rame mondiale).
30 anni in cui i vari governi
post-dittatura hanno permesso la privatizzazione di tutto, dalla
salute, all’istruzione, all’acqua. Nessuna discontinuità con la
"politica shock" dei cosiddetti economisti, pagati dalla
CIA, formati all'Università di Chicago da Milton Friedman, i
cosiddetti Chicago Boys che negli anni '70 hanno imposto le
politiche di “lacrime e sangue” in America Latina, e in Cile in
particolare, con il terrore di Stato delle dittature militari, per
conto dell'imperialismo USA.
Il governo e l’esercito pensavano di
riportare indietro l’orologio della storia a trent’anni fa,
quando anche in quel momento storico i lavoratori e le masse popolari
hanno voluto decidere da sè il futuro politico del Cile, seppure con
l'illusione della costruzione del socialismo per via elettorale, ma
avevano "votato in modo sbagliato" secondo l'imperialismo
USA (Nixon), che li ha subito "corretti" con un golpe
fascista e circa un ventennio di dittatura feroce.
Oggi la "democrazia", sempre
comunque al servizio della borghesia, mette in campo i suoi arnesi
repressivi ereditati dal regime di Pinochet, armato e sostenuto dallo
Stato d'Israele.
La rivolta delle masse ha strappato
molti veli, uno su tutte è quello che nascondeva l'estrema
polarizzazione di ricchezza e miseria. La lotta inconciliabile delle
classi è rappresentata dalla telefonata intercettata della primera
dama Cecilia Morel: “È come se ci fosse una invasione di
alieni”. Per la borghesia parassita è inconcepibile la
violenza/resistenza di un popolo che non ce la fa più a campare con
un salario di 375 euro lordi (301.000 pesos) e con una pensione media
che si aggira intorno ai 260 dollari grazie alla legge sui fondi
assicurativi privati che abolisce la previdenza pubblica, voluta da
Pinochet e confermata dai governi della “democrazia” a favore
delle compagnie assicurative (la legge obbliga i lavoratori a versare
ogni mese il 12 percento dello stipendio su un fondo pensione
privato), pensione minima comunque, vista l'estensione dei rapporti
di lavoro precari. Le pensioni di polizia ed esercito, invece, sono
molto più alte e seguono un sistema a parte.
Salari dei lavoratori che non bastano a
fronte degli aumenti delle case, delle tariffe. Non a caso nella
prima notte di rivolta a Santiago i manifestanti hanno dato fuoco
alla sede di Enel Cile, simbolo della furia popolare, colpevole di
aver alzato i prezzi del 10 percento.
La scuola classista spinge
all'indebitamento dei lavoratori per mantenere i propri figli.
Dilagano corruzione, oligopoli commerciali (numerosi scandali hanno
colpito prodotti di uso comune: dal mercato del pollo a quello di
fazzoletti e carta igienica, fino alle farmacie), liberalizzazioni,
mentre sempre più cari diventavano i prezzi dei beni di per le
masse. Non è un caso quindi che la rabbia dei manifestanti si sia
rivolta proprio contro un centinaio di supermercati dell’americana
Walmart, protagonista dello scandalo sul pollo insieme ad altre due
catene oligopolistiche, Smu e Cencosud.
Soltanto pochi giorni prima della
rivolta, ai cileni che protestavano per le lunghe attese ai
consultori pubblici, il ministro delle Finanze Felipe Larraín
rispondeva che non si lamentassero, perché era “un modo per
stringere amicizie”.
Ma per la ricca borghesia cilena le
masse sono “alieni”!
Tutto è privato, tutto costa e tanto.
Per questo sono divampate proteste spontanee, barricate a Santiago,
con 79 stazioni della metro danneggiate, per un totale di trecento
milioni di dollari di danni. “Ci hanno portato via così tanto
che ci hanno portato via la paura”, è stato un altro slogan
della protesta.
Racconta Javier Godoy Fajardo,
fotografo che sta documentando la protesta e la descrive come una
cosa mai vista, mai vista tanta gente così decisa e coraggiosa,
tanti ragazzi e soprattutto ragazze che affrontano gli uniformados
senza paura. “Io che ho 54 anni e ho vissuto la dittatura mi
sono spaventato quando hanno decretato il coprifuoco, ma loro no, non
hanno paura di niente, avanzavano senza arretrare verso i militari
che sparavano pallottole di gomma a distanza ravvicinata. Erano
semmai i militari a essere spaventati: ragazzini senza esperienza e
non c'è niente di più pericoloso di una persona armata e
spaventata, specialmente se ha diciotto anni”.
Contro di essi ha scatenato il terrore
di Stato il governo del miliardario di destra, uno dei cinque
imprenditori più ricchi del Cile, Piñera/Piranha, il Berlusconi
cileno, il cui fratello, José, fu ministro dell’Economia durante
la dittatura di Pinochet, che ha chiamato “delinquenti” i
manifestanti e che ha dichiarato che lo Stato era “in guerra contro
un nemico potente, che è disposto a usare la violenza senza alcun
limite” e che ha proclamato lo stato d’emergenza e imposto il
coprifuoco dalle 19 alle 6 di mattina, con 19.461 tra poliziotti,
militari in attività e riservisti, investigatori. Nel giro di 48 ore
c’era già l’esercito per le strade – cosa che non si vedeva
dalla fine della dittatura nel 1990 -, con restrizioni alla libertà
di movimento e di riunione, con 23 morti e con più di 4.000 persone
arrestate di cui 404 adolescenti e 160 che hanno subito gravi lesioni
agli occhi. La Croce rossa cilena ha contato in più di 2500 feriti.
In totale, sono state presentate 138 cause legali dalle associazioni
in difesa dei diritti umani, di cui cinque per omicidio, 18 per
violenza sessuale e 92 per tortura. Tra lo scorso 20 e 21 ottobre, in
24 ore, l’esercito cileno ha speso 50 milioni di dollari per
acquistare 56.275 cartucce antisommosse.
I carabineros hanno sparato sui feriti,
hanno violentano le detenute. Il centro clandestino di tortura nei
sotterranei è stata la fermata di metro Baquedano, in Plaza Italia,
fulcro delle manifestazioni a Santiago.
Con la
scusa del coprifuoco hanno arrestato chiunque, a qualsiasi ora.
Sbirri incappucciati hanno rapito i manifestanti dalle strade. Il
governo cileno ha fatto di tutto per non far trapelare le immagini
delle violenze contro la popolazione civile.
Gabriella Saba della rivista culturale
online "doppiozero" nel suo articolo “Cile, anatomia di
una protesta”: "Le vittime di queste ultime sono
soprattutto donne: raccontano di essere state costrette a spogliarsi
nei commissariati e toccate, una di loro l'hanno minacciata di
penetrarla con il fucile, mentre a un fermato è stato imposto di
fare flessioni nudo davanti al nipote. Lo studente Nicolás Luer,
22anni, ha denunciato di essere stato picchiato fino a perdere
conoscenza nella caserma all'interno della stazione sotterranea della
metro di Baquedano, un altro ha raccontato qualche giorno fa alla
radio Bio Bio che alcuni agenti lo hanno non solo pestato ferocemente
ma penetrato con la punta del manganello quando hanno capito che era
omosessuale e costretto a urlare “soy maricon”. Di quell'ufficio
nella stazione Baquedano, Luer ha parlato come di un centro di
torture, con detenuti appesi al soffitto che gridavano. I giudici
Darwin Bratti e Daniel Urrutia che vi si sono recati insieme a
personale dell’INDH non hanno trovato tracce di tortura né “indizi
che esistesse una struttura alla quale si potessero appendere le
persone”, ma due fascette in plastica di cui i carabinieri non
hanno giustificato la provenienza li hanno convinti ad avviare le
indagini."
Quello che gli sbirri hanno commesso
durante il coprifuoco è del tutto illegale, come affermato dal
costituzionalista Jaime Bassa dinanzi al Senato: "Di fatto",
ha detto l'avvocato, "quello che stiamo vedendo è che
l'autorità militare agisce come se fossimo in uno stato di assedio,
senza alcuna autorizzazione normativa e senza alcun controllo."
Dopo 5 giorni di proteste e 4 di
coprifuoco, il giorno 23 ottobre è indetto lo sciopero generale.
Il 25 ottobre una nuova grande
manifestazione contro il governo di oltre un milione di persone scese
in piazza a Santiago. Il 28 ottobre ci sono stati scontri davanti al
Parlamento e i parlamentari sono stati costretti a tornarsene a casa
loro.
Piñera ha annunciato anche un rimpasto
di governo (il terzo in 15 mesi) e la sospensione del coprifuoco. La
rivolta lo ha costretto a fare marcia indietro e annunciare alcune
misure di stampo "populista", come la sospensione della
legge sull’aumento del biglietto della metropolitana e alcune
riforme – tra cui un aumento della pensione minima e del salario
minimo, un disegno di legge che fissa la giornata lavorativa a 40 ore
- attualmente è di 45 ore – con il licenziamento di otto
ministri, sostituendo alcuni di quelli più ostili ai manifestanti.
Solo un “cambiamento cosmetico” come ammette la stessa stampa
borghese.
Il nuovo ministro dell’Interno è
l’avvocato Gonzalo Blumel che ha preso il posto di Andrés
Chadwick, cugino e stretto collaboratore di Piñera, ex di Pinochet,
che aveva definito “criminali” i manifestanti. Tra i ministri
sostituiti c’è anche l’ex ministro dell’Economia Andres
Fontaine, che aveva invitato i lavoratori che protestavano contro
l’aumento del prezzo dei biglietti (che riguardava solo le ore di
punta) ad “alzarsi prima” la mattina. Sono rimasti al loro posto
il ministro della Difesa, che ha dato l’ordine di uccidere, e il
ministro della Sanità, sul quale incombe il peso dei morti, e quello
della Giustizia, che ha giustificato repressione e violazioni, così
come quello dei Trasporti e dell'Istruzione.
Il rimpasto non è riuscito a frenare
la protesta. Così come non è piaciuto ai manifestanti l’aumento
retributivo tra il 20 e il 30% in favore di carabinieri e forze
armate. Aver confermato questo ‘premio’ è stato accolto dalla
società civile cilena come un “gesto insolito, una provocazione,
un riconoscimento per aver lavorato bene durante le proteste”.
La rivolta popolare ha costretto il
governo affamapopolo di Piñera a cancellare 2 forum internazionali
previsti: l’organizzazione della conferenza mondiale sul clima Cop
25 – in agenda dal 2 al 13 dicembre – e il vertice dell’Apec
(Asia-Pacific Economic Cooperation), che doveva svolgersi a Santiago
il 16 e il 17 novembre.
Tra i governi imperialisti che
sostengono la cosiddetta “democrazia” cilena c'è il governo
italiano con la Vice Ministra agli Affari Esteri e alla Cooperazione
Internazionale, Marina Sereni (Pd), che nell'audizione alla
commissione Esteri ha espresso la posizione del governo: “Il
Cile di oggi non è quello di Pinochet. Vorrei essere da subito molto
chiara su questo, perché vedo in talune ricostruzioni giornalistiche
la tentazione di fare parallelismi che sono fuori luogo, e dai quali
il Governo prende le distanze. Il Cile è una democrazia ormai
consolidata che ha visto un’esemplare alternanza tra governi di
orientamento diverso dopo la fine della dittatura. È un Paese con il
quale abbiamo sviluppato intensi rapporti in tutti i settori, sia a
livello bilaterale che come Unione Europea. È un attore che svolge
un ruolo crescente a livello internazionale. Siamo quindi stati tutti
presi di sorpresa, dentro e fuori dal Paese, perché abituati a
vedere il Cile come “oasi di stabilità”, un’economia che
cresce a ritmi sostenuti, in cui il livello di povertà relativa dopo
la fine della dittatura è sceso dal 40% del 1990 all’8% del 2018 e
che da allora non è stato colpito dalle turbolenze che hanno
caratterizzato altri Paesi del continente”.
Il 12
novembre un altro sciopero generale ha paralizzato il paese con
barricate e blocchi in tutto il paese, con manifestazioni a
Santiago (300 mila), Valparaíso e in altre
città. Hanno scioperato dai portuali ai minatori, dai lavoratori dei
trasporti, delle scuole, a quelli degli ospedali e degli uffici
pubblici. Le forze politiche e sindacali della conciliazione non
volevano questo sciopero e cominciano a perdere consenso tra le
masse. Le masse non vogliono nessun dialogo, nessuna “assemblea
costituente” (il prossimo aprile il Cile voterà in un referendum
sulla revisione della Costituzione), nessun "nuovo patto
sociale". I giovani e gli operai stanno indicando la direzione
di marcia. Farla finita con la dittatura della borghesia significa
liberarsi dalle catene del riformismo e dell'opportunismo e passare
dalla rivolta alla Rivoluzione, che richiede Partito comunista di
tipo nuovo, Fronte Unito e forza combattente.
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