abbiamo già da tempo lanciato un serio allarme sull’impatto potenzialmente devastante dei Decreti-Salvini nei confronti delle lotte sociali e sindacali nel nostro paese.
Mentre la quasi totalità dei media, della “società civile” e delle opposizioni parlamentari hanno finora puntato i riflettori unicamente sulla stretta repressiva prevista dalle leggi-Salvini sui flussi migratori, una lettura attenta di questi provvedimenti e del contesto da cui sono scaturiti metteva in luce fin dal primo momento come ci trovassimo di fronte a un disegno politico organico, teso ad abbattere a colpi di codice penale ogni residuo spazio di agibilità democratica al conflitto sociale.
La realtà dei fatti, purtroppo, ci sta dando ragione: l’inasprimento delle pene previste dai decreti-
Salvini per il reato di blocco stradale sta producendo quotidianamente i suoi nefasti effetti per centinaia di lavoratori in sciopero, militanti sindacali e attivisti solidali.
L’ormai noto caso delle studentesse colpite da pesanti multe a seguito degli scioperi alla tintoria Superlativa di Prato rappresenta solo la punta dell’iceberg di un’offensiva a tutto campo che procede quotidianamente a colpi di Daspo, fogli di via, obblighi di dimora e provvedimenti amministrativi emessi a pioggia in tutta Italia contro chiunque osa alzare la testa e mettere in discussione le miriadi forme di supersfruttamento sui luoghi di lavoro o le politiche del governo e delle amministrazioni locali.
Queste dinamiche sono la riprova di quanto abbiamo affermato già all’atto del varo di questi decreti, ovvero che essi hanno tra i loro principali obiettivi quello di cancellare una volta e per tutte l’esercizio del diritto di sciopero (non è un caso che tra i principali sponsor dei DL sicurezza vi fossero i vertici dell’organizzazione padronale della logistica Confetra): ciò in perfetta continuità col clima di “caccia alle streghe” che già da anni ha come bersaglio le lotte dei lavoratori della logistica e che ha portato, tra l’altro, al teorema giudiziario della procura di Modena contro Aldo Milani con un processo che è ancora in corso parallelamente ad una lista di processi ed accuse che trasformano gli scioperi in accuse di estorsione.
Al di la delle singole norme di legge, ci troviamo di fronte ad un escalation generalizzata delle misure repressive, la quale si traduce in un suo utilizzo arbitrario e sommario, e spesso in una sua interpretazione esasperatamente estensiva da parte di Questure e Tribunali, e viaggia di pari passo col clima generale che si respira da anni sui luoghi di lavoro, caratterizzato quasi ovunque dallo strapotere padronale, da forme di precarizzazione estrema, dall’attacco incessante alle tutele e ai livelli salariali e dall’uso sistematico delle misure ritorsive e dei licenziamenti politici contro delegati e lavoratori combattivi, spesso legittimati dai Tribunali con l’alibi del “vincolo di fedeltà aziendale”: i casi dei 5 licenziati FCA e dell’insegnante di Torino fanno scuola in tal senso.
Analoga è la stretta repressiva a cui assistiamo sui territori e nelle metropoli: gli arresti e il carcere inflitto a Nicoletta Dosio e agli attivisti No-Tav per episodi di conflitto lontani nel tempo e di rilevanza penale pressochè nulla, sono la prova più evidente della tendenza in atto su scala nazionale: una tendenza che affonda le sue radici nelle leggi Minniti-Orlando a firma PD, e che i decreti Salvini non hanno fatto altro che rafforzare; una tendenza che, non a caso, è stata tutt’altro che invertita dall’attuale governo, il quale, a dispetto degli iniziali proclami di Zingaretti e soci, non solo non ha modificato un solo articolo delle leggi-Salvini, ma anzi continua quotidianamente ad applicarle con zelo su migliaia di lavoratori, disoccupati, immigrati, occupanti casa, studenti e attivisti: lo si evince chiaramente dalle recenti condotte persecutorie da parte delle procure nei confronti del movimento dei disoccupati napoletani con decine di processi aperti e condanne già emesse, del movimento dei braccianti agricoli in Puglia e in Calabria con fogli di via e denunce, degli attivisti antimilitaristi, dei movimenti contro i CPR e, più in generale, dalle innumerevoli minacce di ritiro del permesso di soggiorno nei confronti di lavoratori e cittadini stranieri ritenuti colpevoli di “turbare l’ordine pubblico”
Gli episodi di queste settimane hanno finalmente prodotto qualche breccia nel muro di silenzio registrato sinora, e hanno riaperto il dibattito sulla necessità di cancellare queste leggi e depenalizzare i reati collegati alle lotte sociali e sindacali.
La posta in gioco è alta: in ballo ci sono le vite di numerose compagne e compagni, lavoratrici e lavoratori, e perciò non possiamo permetterci il lusso di delegare questo tema agli ambiti istituzionali e parlamentari, cioè a chi ha tutto l’interesse a richiudere quello spiraglio e mantenere inalterato lo status-quo.
Proprio per questo, riteniamo non più prorogabile un confronto franco e trasparente tra tutte le forze dell’opposizione di classe sociale e politica e del sindacalismo conflittuale che sia tesa a sviluppare, ove possibile, una larga unità d’azione sul tema dei decreti-sicurezza e della repressione attraverso una campagna nazionale di informazione, di denuncia e di lotta.
Rispondere in maniera unitaria all’escalation repressiva è a nostro avviso una necessaria (e quantomai urgente) base di partenza per la costruzione di ampio e unitario fronte di lotta che sappia legare il tema della cancellazione dei decreti-sicurezza alle questioni generali su cui ci troviamo quotidianamente a fare i conti (difesa dei salari, rinnovi contrattuali, difesa dell’ambiente, democrazia sindacale, opposizione alla guerra e al militarismo, diritti delle donne, ecc).
Vi proponiamo a tal fine un primo incontro
per il giorno sabato 8 febbraio alle ore 11,00 a Roma presso la sede SI
Cobas in via Stefano Infessura 12/A
SI Cobas nazionale
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