una recensione
“Basta salari da fame!”
E’ questo il bel titolo del libro scritto da due giovani ricercatori di scienze sociali, Marta e Simone Fana, e pubblicato dalla casa editrice Laterza. Marta Fana è membro della redazione di “Jacobin Italia” e, due anni fa, scrisse un altro interessante libro dal titolo “Non è lavoro, è sfruttamento”. Suo fratello Simone, scrive articoli per “Left” e “Internazionale” e si muove nello stesso campo di ricerca della sorella.
E’ questo il bel titolo del libro scritto da due giovani ricercatori di scienze sociali, Marta e Simone Fana, e pubblicato dalla casa editrice Laterza. Marta Fana è membro della redazione di “Jacobin Italia” e, due anni fa, scrisse un altro interessante libro dal titolo “Non è lavoro, è sfruttamento”. Suo fratello Simone, scrive articoli per “Left” e “Internazionale” e si muove nello stesso campo di ricerca della sorella.
Un titolo, quello del libro, che racchiude un chiaro messaggio
politico: per affrontare seriamente il problema delle diseguaglianze
sociali nel nostro Paese, è necessario partire dalla questione
salariale. E’ quello, il cuore del problema. “Oggi in Italia si guadagna
meno di trent’anni fa, a parità di professione, a parità di livello di
istruzione, a parità di carriera. Vale per tutti, tranne per quella
minoranza che sta in alto”, scrivono gli autori. Oggi, proprio come un
secolo fa, il divario tra i salari
dei lavoratori e i profitti aziendali rappresenta la vera e propria cartina di tornasole dei rapporti di forza tra le classi e i gruppi sociali. Rapporti di forza che, in questi ultimi trent’anni dominati dal modello neoliberista, si sono nettamente spostati a vantaggio della classe imprenditoriale, del “capitale”, per usare un linguaggio novecentesco ormai abbandonato (rifiutato…) anche da quelli che si considerano come eredi della tradizione del movimento operaio del secolo scorso.
dei lavoratori e i profitti aziendali rappresenta la vera e propria cartina di tornasole dei rapporti di forza tra le classi e i gruppi sociali. Rapporti di forza che, in questi ultimi trent’anni dominati dal modello neoliberista, si sono nettamente spostati a vantaggio della classe imprenditoriale, del “capitale”, per usare un linguaggio novecentesco ormai abbandonato (rifiutato…) anche da quelli che si considerano come eredi della tradizione del movimento operaio del secolo scorso.
E’ proprio lo squilibrio tra Capitale e Lavoro ad essere al centro
del libro. Che si presta a due letture differenti: un testo di
“denuncia”, che intende smascherare la condizione di palese sfruttamento
a cui viene sottoposto, oggi, il lavoro dipendente; ma anche un manuale
di analisi storica, per riflettere sul passato. Ed è quest’ultimo, a
mio avviso, il più grande merito dell’opera. I due autori infatti non si
limitano a porre in evidenza gli aspetti più odiosi di un modello
capitalista sempre più ingiusto e colmo di contraddizioni, come avrebbe
detto Marx. Ma svolgono anche una attenta e dettagliata analisi
storiografica. Dimostrando, peraltro, di avere delle ottime doti di
storici dell’economia. Nella prima parte dell’opera, in maniera assai
precisa e puntuale, viene narrata la parabola dei diritti del lavoro in
Italia, dal secondo dopoguerra ad oggi. “Il nostro punto di partenza è
il dopoguerra, quando la frantumazione del lavoro e le condizioni di
sfruttamento intensivo, dentro e fuori i settori privilegiati della
nuova industrializzazione, erano la norma”, scrivono ancora i due
autori. Che riconoscono la grande importanza delle lotte operaie e
contadine, tra gli anni Cinquanta e Sessanta. “Per due decenni uomini e
donne, dalle campagne alle città, tornarono a unirsi in organizzazioni
politiche e sindacali, a fare inchieste, a denunciare, a lottare per un
salario minimo dignitoso”.
Poi, agli inizi degli anni Settanta, si verifica il punto di
rottura. Il momento di svolta è costiutito dallo shock petrolifero del
’73 e dalla cosiddetta stagflazione. Due elementi che danno inizio alla
controffensiva capitalistica. Automazione, delocalizzazione e
finanziarizzazione diventano le parole d’ordine di un capitalismo
globale sempre più aggressivo. Che sembra avere un unico scopo: piegare
il mondo del lavoro agli interessi del capitale. Fare profitti sempre
più alti, a discapito dei diritti e dei salari dei lavoratori. “La crisi
internazionale di metà anni Settanta fu colta come momento propizio per
sferrare un duro colpo a quella maggioranza che pareva indomita,
accerchiandola con una retorica che attribuiva agli aumenti salariali la
causa della galoppante inflazione e la perdita di competitività e, di
fatto, decretando la sconfitta di quel movimento. Su queste basi
ideologiche furono portate avanti le politiche di austerità sia
monetaria che fiscale, permettendo alle imprese di procedere alle
proprie ristrutturazioni fatte di esternalizzazione e frantumazione dei
processi produttivi”.
Marta e Simone Fana ci spiegano che il modello neoliberista che
abbiamo sotto gli occhi, non è altro che la risposta del capitale alle
lotte operaie degli anni Sessanta e Settanta. Un libro da leggere,
quindi , perchè ci parla di noi. Della nostra storia. Di quell’assalto
al cielo, tentato dal movimento operaio e poi fallito. E delle
conseguenze di quel fallimento.
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