da L'Espresso
Una società il cui capo è finito in carcere, un gruppo energetico che sfrutta incentivi statali. E non solo: vi raccontiamo per chi ha lavorato il presidente del Consiglio
DI VITTORIO MALAGUTTI E ANDREA PALLADINO
14 giugno 2018
Lo aspetta un futuro da «avvocato del popolo italiano», come ha promesso in diretta tivù. Finora però il nuovo premier Giuseppe Conte si è distinto soprattutto per aver difeso gli interessi milionari di grandi aziende. E in almeno un caso Conte è diventato il professionista di fiducia di un uomo d’affari come Giuseppe Saggese, arrestato con l’accusa di essersi arricchito facendo la cresta sulle tasse, quelle pagate dai cittadini ai loro comuni di residenza.
Nel 2009, il futuro presidente del Consiglio ha rappresentato Saggese in alcuni collegi arbitrali. Tempo pochi mesi e l’imprenditore viene travolto dalle perdite e nel 2012 finisce la sua carriera in
carcere. Le accuse sono pesanti: decine di milioni di euro spariti, intascati da chi si è tenuto le tasse reclamate da centinaia di amministrazioni locali. Tributi Italia, la società di Saggese, offriva un servizio chiavi in mano per riscuotere le imposte comunali, dall’Imu alla tassa per i rifiuti, fino alle concessioni per l’occupazione dello spazio pubblico.
Un successone, da principio. Per quasi un ventennio, come hanno ricostruito le indagini, Tributi Italia ha goduto di ottimi appoggi anche a Roma, al vertice dell’amministrazione fiscale. Il castello di carte cade miseramente nel 2012, quando l’imprenditore viene arrestato con l’accusa di peculato e appropriazione indebita. Prima del crack, tra il 2009 e il 2010, Saggese era già finito in rotta di collisione con alcuni comuni, a cui chiedeva un aumento dell’aggio cioè dei compensi per la riscossione. La controversia venne affidata a un collegio arbitrale e in almeno tre casi, ad Alghero, a Partinico (Palermo) e Acate (Ragusa) il professionista chiamato a rappresentare Tributi Italia fu proprio Conte. Nel 2009, quando il futuro presidente del Consiglio prese le parti di Saggese, il suo cliente aveva già alle spalle più di un incidente con la giustizia. Nel 2000 e poi ancora nel 2009, due diverse procure della Repubblica, prima Roma e poi a Velletri, avevano chiesto e ottenuto il suo arresto, in entrambi i casi poi revocato dal Gip.
Con l’inchiesta penale del 2012, nata a in Liguria, a Chiavari, e in seguito trasferita a Roma, si chiude la parabola di Tributi Italia, che va in fallimento, mentre il presidente e fondatore dell’azienda, a oltre sei anni di distanza dal crack, risulta ancora in attesa di giudizio.
Navigano invece con il vento in poppa le società della famiglia pugliese Marseglia, con cui il presidente del Consiglio vanta stretti rapporti personali e professionali. Partito come produttore di olio, Leonardo Marseglia, 72 anni, salentino di Ostuni, adesso tira le fila di un gruppo con quasi un miliardo di euro di attivo che viaggia al ritmo di 50 milioni di euro l’anno di profitti. Non solo oleifici, quindi, ma alberghi, centri turistici, immobili di pregio in diverse città italiane, comprese Roma e Milano. Gran parte degli utili provengono dalla produzione di energia, grazie a numerose centrali elettriche, alcune delle quali alimentate a biomasse, soprattutto oli vegetali.
La rincorsa dei Marseglia ha preso velocità nel 2010 quando la famiglia pugliese, grazie a una complessa operazione finanziaria, ha riportato in patria il controllo di attività per un valore di circa 190 milioni. Si parte ad aprile 2010: la Kirkwall Corporation, con base nel paradiso fiscale delle Antille olandesi, trasferisce la propria sede in Lussemburgo per poi scomparire dopo la fusione con la propria controllata Ludvika immobiliers di Amsterdam. Il cerchio si chiude a fine 2010 quando quest’ultima società olandese viene assorbita dalla holding dell’imprenditore di Ostuni.
Più di recente, nel 2015, i Marseglia (insieme a Leonardo c’è il figlio Pietro) si sono conquistati un posto al sole a livello nazionale. Le cronache finanziarie si sono accorte di loro grazie all’acquisto del Molino Stucky di Venezia, il lussuoso hotel sull’isola della Giudecca rilevato tre anni fa dal fallimento del gruppo Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone. A novembre del 2015 Marseglia ha nominato Conte, pure lui di origini pugliesi, nel consiglio di amministrazione della Ghms (Grand Hotel Molino Stucky), la società che gestisce l’albergo veneziano. È un consiglio extra small, solo tre membri: insieme al premier e allo stesso Marseglia troviamo l’amministratore delegato Antonio Giannotte, manager di fiducia dell’azionista.
Intervistato nei giorni scorsi da “la Repubblica”, l’imprenditore ha minimizzato i suoi rapporti con Conte, descrivendo l’incarico in Ghms come il frutto di una conoscenza occasionale nata sulle spiagge di Rosa Marina, la località turistica non lontana da Ostuni dove tra l’altro Marseglia possiede un resort di lusso. «Una nomina proforma», ha spiegato il proprietario dell’hotel Molino Stucky. Conte, ha detto, «non è mai venuto nemmeno a una riunione». I documenti ufficiali contraddicono questa versione dei fatti. Il 25 settembre dell’anno scorso il futuro presidente del Consiglio ha partecipato in audioconferenza all’assemblea di Ghms che aveva all’ordine del giorno, tra l’altro, l’approvazione del bilancio 2016 della società.
Carte alla mano, si può dire che l’assistenza di un legale con l’esperienza di Conte faceva molto comodo a Marseglia, per mesi impegnato nelle complesse trattative che hanno portato all’acquisto del lussuoso hotel veneziano. Alla fine è arrivato il via libera delle banche creditrici di Bellavista Caltagirone, a cominciare da Unicredit, esposte in totale per circa 250 milioni di euro. Il compratore si è fatto carico di parte dei debiti e come garanzia gli istituti di credito si sono presi in pegno le quote di Ghms, proprietaria dell’albergo.
Gli account sui social, le parole chiave, le foto da far vedere (e quelle da celare), i discorsi, il piano dei Casaleggio boys: così la scelta di un illustre sconosciuto alla carica di presidente del Consiglio fornisce il materiale per una narrazione tutta da scrivere
Questo però è solo il primo tempo di una partita che vale in totale quasi mezzo miliardo. L’anno scorso, infatti, Unicredit aveva sponsorizzato anche un’ altra importante acquisizione di Marseglia. Siamo sempre a Venezia e questa volta l’imprenditore puntava al Ca’ Sagredo, hotel di lusso ospitato da Palazzo Morosini sul Canal Grande. L’operazione si è però fermata per cause di forza maggiore, dopo che l’hotel veneziano è stato messo sotto sequestro su richiesta della procura di Monza che indaga su Giuseppe Malaspina, imprenditore di origini calabresi residente in Brianza e finito agli arresti il 21 maggio scorso. Il Ca’ Sagredo faceva capo proprio a Malaspina ed era stato messo in vendita dopo il fallimento delle sue società, indebitate con Unicredit.
Niente da fare allora, almeno per il momento. Marseglia sarà costretto ad attendere che si sblocchi la partita giudiziaria. Non è solo questione di hotel, però. Come detto, i profitti del gruppo Marseglia derivano in buona parte dalla produzione di elettricità da fonti cosiddette pulite. Un’attività che gode di generosi incentivi statali, fissati per legge. Difficile immaginare, allora, che all’occorrenza non possa far comodo un amico a Roma, seduto addirittura sulla poltrona di presidente del Consiglio.
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