Un corteo lunghissimo, circa diecimila persone. E, in mezzo, un gruppetto di attivisti 5Stelle con in testa due parlamentari nazionali e una regionale. Per Giovanni Impastato, fratello di Peppino, il militante di Democrazia Proletaria ucciso dalla mafia 41 anni fa e ricordato con la manifestazione ieri, un affronto intollerabile. «Sono al governo con i fascisti e lì tra noi non potevamo starci», racconta.
Ed è per questo che, dopo averli visti, si è avvicinato e ha detto loro, senza mezzi termini, che dovevano andarsene. «Prima gliel’ho chiesto, poi li ho proprio buttati fuori di peso», spiega.
Poco prima aveva saputo che il gruppetto di esponenti 5Stelle era andato al cimitero in cui è sepolto
Peppino, il giovane che, da Radio Aut, sfidava il boss di Cinisi Tano Badalamenti, «Tano Seduto» lo chiamava sfottente. «Sono venuti con le telecamere, sono andati al cimitero per farsi fotografare. È scandaloso», racconta.
Così dopo aver chiesto al gruppetto di allontanarsi, Impastato ha chiamato la Digos, che gli ha risposto di non poter intervenire. «A quel punto li ho buttati fuori di peso perché il nostro è un corteo molto politicizzato e non si dovevano presentare», racconta. Con gli attivisti c’erano la deputata del M5s Piera Aiello, ex testimone di giustizia, il sen. Michele Giarrusso, entrambi componenti dell’Antimafia, e la deputata regionale Roberta Schillaci. «Mi spiace per Piera Aiello, che è una donna coraggiosa e con una storia alle spalle - dice Impastato - ma non dovrebbe farsi strumentalizzare da questi farabutti».
Della coerenza Peppino Impastato aveva fatto una religione. «Mio fratello era un comunista, che c’entrano con lui gli alleati dei fascisti?», ripete Giovanni. Peppino venne ucciso il 9 maggio ’78. Il corteo in sua memoria ieri è partito dalla sede di Radio Aut a Terrasini ed è arrivato alla Casa memoria intitolata al militante di Democrazia proletaria e alla madre Felicia, una donna che si è battuta tutta la vita per conoscere gli assassini del figlio. Felicia è morta nel 2004, due anni dopo la condanna all’ergastolo del boss Tano Badalamenti come mandante dell’omicidio.
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