Salario minimo a 9 euro: perché sì, perché non basta
Salario minimo per legge a 9 euro lordi
orari, non solo nei settori non regolati da accordi tra datori di
lavoro e organizzazioni sindacali, ma come valore generale per la
contrattazione collettiva.
Questi, in sintesi, i due punti rilevanti usciti fuori dal “tavolo tecnico” riunitosi lunedì 6 maggio al Ministero del lavoro tra le parti sociali per la stesura del disegno di legge sul tema del salario minimo, così come promesso dal contratto di governo.
A questo stadio delle trattative, il bicchiere può considerarsi mezzo pieno, ma, continuando in punta di metafora, l’acqua che lo riempie ci pare un po’ torbida.
Il punto positivo è sicuramente l’inclusione di una retribuzione “pavimento” sotto il quale non sarebbe possibile scendere, un provvedimento che costituirebbe, prendendo in prestito le parole dell’Usb, «un avanzamento sostanziale per milioni di lavoratori di moltissime categorie, dalle
cooperative sociali alla vigilanza, dal commercio alla ristorazione, dall’agricoltura agli alimentaristi».
L’Italia è uno dei sei paesi d’Europa (assieme a Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia) a non aver ancora uno “Smic” (Salaire minimum interprofessionnel de croissance, da quello francese) a sancire il livello retributivo minimo orario. La sua introduzione era stata prevista anche dal Jobs Act, ma poi rimase esclusa dai decreti attuativi.
D’altra parte, il testo richiama ancora alla centralità della contrattazione collettiva di riferimento per ogni settore come il perno su cui stabilire i riferimenti per tutti i lavoratori. Siamo, dunque, in piena continuità con il “Testo unico sulla rappresentanza” firmato 10 gennaio del 2014 da CgilCislUil e Confindustria, un accordo che di fatto cozza con l’articolo 39 della Costituzione, articolo che sancisce il principio della proporzionalità della rappresentanza sindacale in base agli iscritti, e non, per esempio, ai rapporti di forza contingenti.
Perciò, solo tenendo fermi questi due punti è possibile comprendere le reazioni intuitivamente contraddittorie dei leader dei sindacati confederali:
«È un passo avanti aver richiamato i minimi contrattuali, anche se non si capisce perché abbiano lasciato il riferimenti a 9 euro lordi», dice Barbagallo per la Uil.
«Mi pare che dall’incontro al ministero ci siano stati passi avanti nell’impostazione del tema; è importante infatti che i minimi tabellari diventino il riferimento per tutti i lavoratori. A questo punto è inutile continuare a girare intorno ai 9 euro», spiega Furlan per la Cisl.
«Per ora siamo al paradosso che mentre il governo parla di leggi sul salario minimo non sono ancora state stanziate le risorse necessarie per rinnovare tutti i contratti nazionali del settore pubblico», cambia invece discorso Landini per la Cgil, che considerando il tentativo di restyling in atto della sua figura (e della “sinistra” tutta) non può che passare la patata bollente alla segretaria Tania Sacchetti: «riteniamo apprezzabile – commenta – il riferimento alla rimarcata volontà, espressa in sede di confronto, di dare attuazione all’articolo 36 della Costituzione conferendo valore generale ai trattamenti economici complessivi previsti dai contratti collettivi sottoscritti dai sindacati comparativamente più rappresentativi»
.
Non ci si lasci ingannare: l’art. 36 Cost. sancisce il «diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Ma se il testo è clamorosamente in sintonia con la «legge dello sviluppo della storia umana» “scoperta”, secondo Engels, da Marx e riportata dall’inglese nel giorno delle esequie del filosofo di Treviri, ebbene questo non può in nessuna maniera esser scollegato da quello già citato dall’articolo 39 sulla proporzionalità della rappresentanza sindacale.
Se così non fosse, i sindacati di base riscontrerebbero un deficit di rappresentanza che non permetterebbe loro di avere un ruolo nella contrattazione, e impedirebbe perciò a quei lavoratori non iscritti ai sindacati confederali di esercitare un loro diritto minimo democratico.
La questione allora è tutta politica: alla CgilCislUil interessa poco il benessere dei propri lavoratori e delle proprie lavoratrici. L’obiettivo invece sembra quello di mantenere inalterato il vantaggio di cui godono, al giorno d’oggi, in termini di potere contrattuale nei confronti dei sindacati di base; potere che però è messo in discussione dal livello di conflittualità sui posti di lavoro che chi, in sede di contrattazione, siede dalla parte padronale non può sostenere, ma che invece è sempre più richiesta dal peggioramento oggettivo delle condizioni di lavoro, e dunque di vita, di una fetta crescente della popolazione.
Ecco perché, come ci spiega ancora l’Usb, il “sindacato unico” ha il problema ora di spiegare ai propri iscritti che non vuole l’istituzione di un salario minimo legale che imporrebbe un aumento di stipendio immediato ai veri “dannati della globalizzazione”. E non si creda alla replica da parte confederale secondo cui i Ccnl prevedono già un salario minimo de facto più alto di quello eventualmente sancito dal disegno di legge. Se davvero così fosse, anche uscendo da una prospettiva di classe che comunque non può non vedere di buon occhio (nella condizione politico-economica attuale) un provvedimento del genere, di cosa dovrebbero preoccuparsi?
Ma, evidentemente, così non è. E non ve lo diciamo noi (per quanto potreste anche fidarvi…), ma, tra gli altri, i) sia l’Istat – retribuzione lorda oraria del lavoratori dipendenti divisa per macro-regioni (dati al 2016, primo decile, ossia gli ultimi degli ultimi) ben al di sotto dei 9 euro prospettati, specialmente al sud (senza considerare le paghe a nero, che non fanno media)
ii) sia l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) – ultimo rapporto sulla salute economica del paese (2019), di cui di seguito un paio di esempi circa il tasso di povertà assoluta, a partire dal 2005
e sul livello di ricchezza prodotto per abitante, a paragone con quello di 20 anni fa
In un paio di settimane ci sarà un altro round in cui i sindacati porteranno, ci dice QuiFinanza, «dei report dettagliati sulle modifiche» da proporre al disegno.
Non è difficile prevedere che CgilCislUil proveranno, tentando di non far troppo rumore, a far scivolare di lato la necessità dell’istituzione del salario minimo. Dall’altra parte, i sindacati conflittuali spingeranno “almeno” per il mantenimento di quella soglia, e per la discussione in separata sede di une legge sulla rappresentanza che non tradisca il motivo per cui venne inserita nel dettato costituzionale.
Uno, perché di uno si tratta, siede coi padroni. L’altro, con le lotte dei lavoratori. Capitale contro Lavoro. La scelta non è mai stata così facile.
Questi, in sintesi, i due punti rilevanti usciti fuori dal “tavolo tecnico” riunitosi lunedì 6 maggio al Ministero del lavoro tra le parti sociali per la stesura del disegno di legge sul tema del salario minimo, così come promesso dal contratto di governo.
A questo stadio delle trattative, il bicchiere può considerarsi mezzo pieno, ma, continuando in punta di metafora, l’acqua che lo riempie ci pare un po’ torbida.
Il punto positivo è sicuramente l’inclusione di una retribuzione “pavimento” sotto il quale non sarebbe possibile scendere, un provvedimento che costituirebbe, prendendo in prestito le parole dell’Usb, «un avanzamento sostanziale per milioni di lavoratori di moltissime categorie, dalle
cooperative sociali alla vigilanza, dal commercio alla ristorazione, dall’agricoltura agli alimentaristi».
L’Italia è uno dei sei paesi d’Europa (assieme a Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia) a non aver ancora uno “Smic” (Salaire minimum interprofessionnel de croissance, da quello francese) a sancire il livello retributivo minimo orario. La sua introduzione era stata prevista anche dal Jobs Act, ma poi rimase esclusa dai decreti attuativi.
D’altra parte, il testo richiama ancora alla centralità della contrattazione collettiva di riferimento per ogni settore come il perno su cui stabilire i riferimenti per tutti i lavoratori. Siamo, dunque, in piena continuità con il “Testo unico sulla rappresentanza” firmato 10 gennaio del 2014 da CgilCislUil e Confindustria, un accordo che di fatto cozza con l’articolo 39 della Costituzione, articolo che sancisce il principio della proporzionalità della rappresentanza sindacale in base agli iscritti, e non, per esempio, ai rapporti di forza contingenti.
Perciò, solo tenendo fermi questi due punti è possibile comprendere le reazioni intuitivamente contraddittorie dei leader dei sindacati confederali:
«È un passo avanti aver richiamato i minimi contrattuali, anche se non si capisce perché abbiano lasciato il riferimenti a 9 euro lordi», dice Barbagallo per la Uil.
«Mi pare che dall’incontro al ministero ci siano stati passi avanti nell’impostazione del tema; è importante infatti che i minimi tabellari diventino il riferimento per tutti i lavoratori. A questo punto è inutile continuare a girare intorno ai 9 euro», spiega Furlan per la Cisl.
«Per ora siamo al paradosso che mentre il governo parla di leggi sul salario minimo non sono ancora state stanziate le risorse necessarie per rinnovare tutti i contratti nazionali del settore pubblico», cambia invece discorso Landini per la Cgil, che considerando il tentativo di restyling in atto della sua figura (e della “sinistra” tutta) non può che passare la patata bollente alla segretaria Tania Sacchetti: «riteniamo apprezzabile – commenta – il riferimento alla rimarcata volontà, espressa in sede di confronto, di dare attuazione all’articolo 36 della Costituzione conferendo valore generale ai trattamenti economici complessivi previsti dai contratti collettivi sottoscritti dai sindacati comparativamente più rappresentativi»
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Non ci si lasci ingannare: l’art. 36 Cost. sancisce il «diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Ma se il testo è clamorosamente in sintonia con la «legge dello sviluppo della storia umana» “scoperta”, secondo Engels, da Marx e riportata dall’inglese nel giorno delle esequie del filosofo di Treviri, ebbene questo non può in nessuna maniera esser scollegato da quello già citato dall’articolo 39 sulla proporzionalità della rappresentanza sindacale.
Se così non fosse, i sindacati di base riscontrerebbero un deficit di rappresentanza che non permetterebbe loro di avere un ruolo nella contrattazione, e impedirebbe perciò a quei lavoratori non iscritti ai sindacati confederali di esercitare un loro diritto minimo democratico.
La questione allora è tutta politica: alla CgilCislUil interessa poco il benessere dei propri lavoratori e delle proprie lavoratrici. L’obiettivo invece sembra quello di mantenere inalterato il vantaggio di cui godono, al giorno d’oggi, in termini di potere contrattuale nei confronti dei sindacati di base; potere che però è messo in discussione dal livello di conflittualità sui posti di lavoro che chi, in sede di contrattazione, siede dalla parte padronale non può sostenere, ma che invece è sempre più richiesta dal peggioramento oggettivo delle condizioni di lavoro, e dunque di vita, di una fetta crescente della popolazione.
Ecco perché, come ci spiega ancora l’Usb, il “sindacato unico” ha il problema ora di spiegare ai propri iscritti che non vuole l’istituzione di un salario minimo legale che imporrebbe un aumento di stipendio immediato ai veri “dannati della globalizzazione”. E non si creda alla replica da parte confederale secondo cui i Ccnl prevedono già un salario minimo de facto più alto di quello eventualmente sancito dal disegno di legge. Se davvero così fosse, anche uscendo da una prospettiva di classe che comunque non può non vedere di buon occhio (nella condizione politico-economica attuale) un provvedimento del genere, di cosa dovrebbero preoccuparsi?
Ma, evidentemente, così non è. E non ve lo diciamo noi (per quanto potreste anche fidarvi…), ma, tra gli altri, i) sia l’Istat – retribuzione lorda oraria del lavoratori dipendenti divisa per macro-regioni (dati al 2016, primo decile, ossia gli ultimi degli ultimi) ben al di sotto dei 9 euro prospettati, specialmente al sud (senza considerare le paghe a nero, che non fanno media)
ii) sia l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) – ultimo rapporto sulla salute economica del paese (2019), di cui di seguito un paio di esempi circa il tasso di povertà assoluta, a partire dal 2005
e sul livello di ricchezza prodotto per abitante, a paragone con quello di 20 anni fa
In un paio di settimane ci sarà un altro round in cui i sindacati porteranno, ci dice QuiFinanza, «dei report dettagliati sulle modifiche» da proporre al disegno.
Non è difficile prevedere che CgilCislUil proveranno, tentando di non far troppo rumore, a far scivolare di lato la necessità dell’istituzione del salario minimo. Dall’altra parte, i sindacati conflittuali spingeranno “almeno” per il mantenimento di quella soglia, e per la discussione in separata sede di une legge sulla rappresentanza che non tradisca il motivo per cui venne inserita nel dettato costituzionale.
Uno, perché di uno si tratta, siede coi padroni. L’altro, con le lotte dei lavoratori. Capitale contro Lavoro. La scelta non è mai stata così facile.
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