Milano, ruba pere e prugne: rischia 5 anni
di ANNA GIORGI
Pubblicato il 7 giugno 2018
Milano, 7 giugno 2918 - La lite tra due signore nata dalla contesa di un sacchetto con due prugne, tre pere e un limone, al mercato rionale di via Gaeta, finisce con l’arresto di una delle due (60 anni, semicieca) per rapina aggravata. La donna denunciata dall’80enne per l’indebito approprio delle prugne e delle pere rischia ora cinque anni di carcere, cioè un anno per ogni ortaggio rubato, un anno per ogni centesimo di valore della merce, pagata in tutto due euro e 50. Paradossi della giustizia. La storia nel dettaglio. Due donne vanno al mercato rionale, zona Comasina. Una, cinese, acquista due caspi di insalata e una rapa, l’altra pere, limone e prugne. Due sacchetti vicini, lo scambio forse per sbaglio, considerando che la cinese è semicieca e la 80enne fatica a camminare, quindi tiene appoggiata la busta a terra. Poco dopo la cinese se ne va tenendo in mano anche i sacchetti della ottantenne. Furto di ortaggi o semplice errore?
In coma per il pacemaker difettoso: prescritti i reati dei manager
Condanne annullate dalla prescrizione, ma risarcimento danni che raddoppia fino a 2 milioni di euro
di MARIO CONSANI
Pubblicato il 6 giugno 2018
Milano, giugno 2018 - Condanne annullate dalla prescrizione per quel pacemaker difettoso, ma risarcimento danni che raddoppia fino a 2 milioni di euro. Tutto questo mentre lei resta immobile in un letto e priva di coscienza ormai da quasi otto anni. Maria Spina, infermiera oggi 48enne, tre figli, è in stato vegetativo permanente senza speranza di risveglio per colpa del mancato funzionamento del defibrillatore che portava addosso. Ieri la corte d’appello ha dichiarato prescritto il reato di lesioni colpose gravissime per due dirigenti della St. Jude Medical Italia di Agrate, l’azienda che importa e distribuisce lo strumento di fabbricazione americana. In primo grado, nel 2015, erano arrivate due condanne per loro a 2 mila euro di multa e un importante principio generale affermato: anche i produttori e non solo i medici rispondono dei danni procurati ai pazienti dai meccanismi che dovrebbero invece aiutarli a vivere meglio. Il risarcimento disposto a favore dei familiari si fermò però a un milione di euro perché per il giudice la debolezza del cuore di Maria avrebbe contribuito al compimento del dramma.
Un concorso di «colpa» contestato però dal sostituto pg Massimo Gaballo, dal momento che la malattia non era stata certo prodotta dalla volontà della donna.
Nel dramma capitato a Maria, invece, la responsabilità dello strumento è stata ribadita in pieno dal giudizio d’appello. La stessa casa madre californiana, del resto, aveva disposto il “richiamo” dei cardioverter degli stessi tipo e serie di quello portato dalla donna, perché senza un aggiornamento del software c’era il rischio di un cattivo funzionamento. Nella notte fatale del 19 ottobre 2010, quando la donna ebbe un arresto cardiocircolatorio, stando all’accusa la macchinetta non entrò in funzione per colpa di un black-out elettrico, «contribuendo in questo modo a causare nella viva lo stato di coma vegetativo per via della mancata defibrillazione del sistema». Anche nel processo di secondo grado i dirigenti St. Jude hanno sostenuto che il pacemaker sarebbe in realtà entrato in funzione pur senza riuscire a contrastare gli effetti della crisi cardiaca subita da Maria. Tesi però negata dalla perizia medico legale disposta a suo tempo dal giudice Manuela Cannavale. Oltre al pg Gaballo anche gli avvocati Nicola Brigida e Marcello Gentili avevano presentato appello per i familiari della donna, pure loro contestando la tesi che la malattia cardiaca dell’infermiera fosse stata «concausa» di quanto avvenuto. In attesa delle motivazioni del verdetto, il raddoppio del risarcimento deciso dalla Corte pare confermare che i produttori del pacemaker difettoso debbano rispondere integralmente del danno irreversibile causato a Maria dal mancato funzionamento
Nessun commento:
Posta un commento