martedì 5 giugno 2018

pc 5 giugno - 4 - TEORIE DEL POPULISMO DI SINISTRA SUL PROGRAMMA E SULLA STRATEGIA POLITICA -

GLI ESITI DELLE ELEZIONI DEL 4 MARZO E LA LOTTA CONTRO IL POPULISMO DI SINISTRA -

da Nuova Egemonia - nuovaegemonia@yahoo.com

4a e ultima parte

TEORIE DEL POPULISMO DI SINISTRA  SUL PROGRAMMA E SULLA STRATEGIA POLITICA

Il populismo di sinistra tende a porre sullo stesso piano settori e strati irreversibilmente reazionari della media e della piccola borghesia e quei settori oppressi e sfruttati della piccola borghesia che possono trovare una via d’uscita dalla propria situazione solo nel quadro di una prospettiva rivoluzionaria proletaria. 
Una delle conseguenze è quella di alimentare una torbida confusione da un lato, tra quella che è una conflittualità legata alla lotta per una ridefinizione dei rapporti all’interno dello Stato e che può arrivare ad assumere forme anche acute nel momento in cui è la stessa grande borghesia che si ritrova a porre sotto pressione schieramenti, istituzioni, rappresentanze politiche e sindacali ecc., ormai logore ed indebolite e, dall’altro lato, quella che invece è una conflittualità suscettibile di una evoluzione in senso progressivo e rivoluzionario sotto un’eventuale direzione politica, ideologica ed
organizzativa della classe operaia e del proletariato.
Questa confusione non si realizza a caso, ma in una fase come l’attuale, è una conseguenza inevitabile del tentativo di percorrere una terza via alternativa, da un lato, a quella dell’attacco politico, economico ed ideologico reazionario promosso dalla borghesia e, dall’altro, a quella della costruzione di una prospettiva rivoluzionaria proletaria.  In altri termini tale “confusione” è il riflesso di un tentativo di costruire un blocco politico e sociale “alternativo” comprendente oltre al proletariato ed alle masse popolari anche strati piccolo-borghesi reazionari, ed è l’espressione, nel migliore dei casi, del tentativo di strati soprattutto di tipo intellettuale della piccola borghesia di stabilire la propria egemonia all’interno di questo blocco e di proporsi su questa base come nuova classe dirigente dello Stato.
Quest’impostazione si traduce in generale, sia nella necessità di sostenere e sviluppare la conflittualità politica e sociale, sia, sul versante opposto, nel tentativo  di evitare, sin dall’inizio, che si possa costruire ed affermare una linea ed una direzione politica, ideologica ed organizzativa proletaria. Nessuna forza intellettuale piccolo borghese è oggi comunque in grado di procedere a lungo su questa strada e di accrescere in modo significativo le proprie forze. La pressione da un lato e l’attrazione dall’altro, esercitate dalla borghesia, dalla “società civile” e dallo Stato, rende velleitario qualsiasi tentativo di questo tipo e, o macina le forze che cercano di muoversi su questa strada, o le condiziona e le influenza attraverso le odierne strategie trasformiste asservendole ai propri processi di lotta per la ridefinizione degli assetti egemonici all’interno dello Stato. 
Lo slittamento delle componenti del populismo di sinistra, spesso contro la coscienza e l’interesse dei militanti di base di queste forze, verso il populismo ed il nazionalismo, persino con cadute nel rosso-brunismo, è quindi un’espressione inevitabile di questo tipo di situazione. In questo modo il populismo di sinistra dichiara il proprio fallimento rispetto al suo proporsi come interprete e rappresentante della lotta di opposizione e di trasformazione politica e sociale. Questa realtà di fatto si traduce, come già detto prima, in una dissipazione delle forze proletarie e popolari che si vogliono  suscitare  al fine di  funzionalizzarle alla velleitaria terza via di un “riformismo conflittuale e radicale” presentato anche, almeno da alcuni, come percorso privilegiato per arrivare alla trasformazione rivoluzionaria e socialista.
Tre sono le teorie di fondo che operano su questo terreno: 1) la teoria della “società civile” come terreno di contesa, 2) la teoria della maturazione spontanea della coscienza delle masse sulla base dell’esperienza politica, 3) la teoria della rottura del “progetto politico egemonico” della borghesia. In una forma o nell’altra, combinandosi variamente tra loro, sono queste le tre teorie che caratterizzano il paradigma politico delle forze del populismo di sinistra.
La teoria della “società civile” come terreno di contesa
Questa teoria nega la necessità di lavorare alla costruzione, da subito, di una diversa “società civile” rispetto a quella borghese e reazionaria e sostiene invece che l’alternativa sul piano dei miglioramenti economici, dei diritti, delle riforme sociali, e dello sviluppo di una cultura critica, possa nascere e svilupparsi a partire da quella stessa “società”.  Oggi la tesi leninista “o coscienza proletaria o coscienza borghese” si ripresenta nella forma più sviluppata di quest’ultima alternativa:  o “società civile proletaria” legata alla costruzione di un nuovo Stato, o “società civile borghese” legata al dominio del vecchio Stato reazionario.  Senza un’impostazione ideologica proletaria ed un partito proletario, almeno in formazione, non ci può essere nessuna organizzazione o istituzione di massa di carattere sindacale, sociale, culturale in grado di costituirsi e di procedere autonomamente su basi di classe indipendentemente dalla società civile borghese e quindi dallo stesso Stato reazionario.  Questo vale non solo per il sindacalismo alternativo e per i movimenti, ma anche per tutte quelle attività e pratiche che cercano di costruire  il  “controllo popolare”, le reti di solidarietà, le case del popolo, i centri sociali, le associazioni culturali, ricreative e sportive, ecc.  Gli ultimi esiti elettorali attestano del resto come parte non indifferente dei movimenti, del sindacalismo di base, dei movimenti e dell’associazionismo alternativo, espressione e sintesi di decenni di “iniziativa conflittuale”, abbia scelto di sostenere un’opzione populista di destra reazionaria, come quella rappresentata  dal M5S, e come peraltro solo una parte residuale abbia sostenuto PaP,.
La politica, e non l’attività sindacale, culturale o sociale, è quella che oggi, come sempre nelle fasi più critiche, emerge come decisiva e si presenta anche come il vero polo d’attrazione capace di macinare tutte quelle forze che in modo illusorio e velleitario pensano di poter ritagliare significativi spazi di autonomia ed indipendenza dalla borghesia su terreni parziali come quelli relativi all’attività sindacale, a quella sociale, culturale ed intellettuale. Ne consegue ancora una volta come solo un partito comunista proletario di nuovo tipo possa essere il centro politico-organizzativo ed il motore della costruzione delle organizzazioni di massa di una “società civile” alternativa, capace di mantenersi e svilupparsi autonomamente dalla società civile borghese e reazionaria, questo a partire dall’ innervamento ideologico e culturale sul terreno della coscienza di classe ed in indissolubile nesso con un’impostazione proletaria dell’iniziativa sindacale, politica, culturale  e militante.

La teoria della maturazione spontanea della coscienza delle masse sulla base dell’esperienza politica
Questa teoria afferma il principio, formalmente corretto, per cui le vaste masse apprendono solo tramite l’esperienza politica diretta. Da questo principio però si trae spesso e volentieri, e proprio in questo modo procede oggi il populismo di sinistra, la conclusione secondo cui la riunificazione delle rivendicazioni particolari dei movimenti e del sindacalismo alternativo in un programma minimo intermedio o in un programma per una politica di governo alternativa rappresenta di per sé un elemento di attrazione e di concentrazione di forze sociali capaci di verificare, nella lotta per il conseguimento di tali obiettivi di programma, l’eventuale impossibilità di una loro realizzazione compatibile con la permanenza del sistema capitalistico con la relativa presunta conseguenza di andare ad innescare un processo cumulatorio caratterizzato da una crescente estensione e radicalizzazione dei movimenti e delle lotte. Tramite questa teoria si teorizza il riformismo gradualista come una strategia politica necessaria per la costruzione delle condizioni soggettive per la trasformazione politica e sociale e/o per la rivoluzione proletaria ed il socialismo. Questa visione dell’esperienza diretta delle masse è caratteristica dei ceti intellettuali della piccola borghesia di sinistra, più o meno rivoluzionaria, che nega come solo tramite la politica proletaria fondata sull’organizzazione politica del proletariato (partito) e sulla teoria marxista rivoluzionaria (oggi sul marxismo-leninismo-maoismo)  le masse possano effettivamente sviluppare un’esperienza politica autonoma ed apprendere in modo stabile e duraturo da questa stessa esperienza arrivando a tradurla in costruzione di una nuova società civile ed in una nuova “società politica” (nuovo potere e nuovo Stato).  E’ tipico del populismo di sinistra il concepire la diretta sperimentazione dei fatti e degli eventi relativi alla vita politica e sociale come capaci di tradursi meccanicamente in coscienza ed in iniziativa di massa. In realtà la semplice ripetizione di un’esperienza, come ben attestano i risultati delle elezioni del 4 marzo, non garantisce nulla. Già Lenin metteva in chiaro come teorie di questo tipo, interpretate in termini generici, al di fuori di una precisa determinazione sul terreno della teoria marxista e di una diretta connessione con la direzione di un effettivo partito comunista, si prestino bene a qualsiasi pratica riformista e gradualista che delega ad una maturazione spontanea della coscienza delle masse popolari, una volta “poste di fronte all’evidenza dei fatti”, lo sviluppo di un movimento di massa rivoluzionario. 

La teoria della rottura del “progetto politico egemonico” della borghesia
Queste teorie si coniugano bene con una terza teoria che vede di per sé, nell’approfondirsi della cosiddetta “crisi politica” della borghesia (altri ancora usano, ma a sproposito, il termine di “crisi egemonica” ed altri usano il termine ancora più ambiguo di “crisi di sistema”), una condizione automaticamente più favorevole allo sviluppo di una battaglia di opposizione e di cambiamento sia sotto il profilo delle condizioni oggettive, sia rispetto a quello delle condizioni soggettive.  Una delle conseguenze è rappresentata dal dato per cui i sommovimenti populisti e sciovinisti di ampi settori di media e di piccola borghesia privilegiata, insieme alle forze politiche ed agli orientamenti intellettuali che meglio li rappresentano, vengono visti come progressivi o comunque come non del tutto reazionari.   Si finisce anche facilmente, tra le variazioni strategico-tattiche che ne possono derivare, per tematizzare  su tale base che è possibile ed utile cercare di influire sulle contraddizioni inter-borghesi usando la “crisi politica e di sistema” al fine di far fallire quello che, di volta  in volta, è visto come “il progetto politico dominante”, quello che mirerebbe a conseguire e stabilizzare un’egemonia politica all’interno della società.   Il problema della strategia e della tattica finiscono per risolversi, sganciate da un’adeguata base storico-materialista relativa all’analisi della natura e del movimento delle diverse classi sociali, in una dialettica sofistica, mirata all’implementazione di un insieme di tecniche politiche, da applicare alla situazione politica complessiva al fine di favorire o determinare la crisi di quel progetto che si proporrebbe come maggiormente in grado di garantire una stabilizzazione o una regressione reazionaria. L’organizzazione politica si presenta così come depositaria della scienza di questa costruzione e si pone principalmente il compito di implementarla al fine di evidenziare una capacità di influenza ed iniziativa politica e di suscitare un conseguente seguito di massa.  Tutto questo non contrasta affatto, paradossalmente, con un’impostazione “spontaneista” che attribuisce meccanicamente alle masse popolari (come portato dell’accentuazione della crisi economica e sociale)  in quanto tali, e questo persino sul piano elettorale oltre che su quello dell’iniziativa relativa alla “società civile”, una certa capacità soggettiva di iniziare a percorrere la direzione più corretta ed efficace per avanzare verso lo sbocco rivoluzionario.  Infatti alla “tecnica politica”  viene demandato il compito di “aprire la strada”, “contribuire a creare o a mantenere condizioni di crisi politica”,  “mostrare quindi sperimentalmente la possibilità dell’alternativa”, “indicare la direzione” e quindi consentire ad un’iniziativa spontanea e diffusa delle masse popolari, che già tenderebbe di per sé a muoversi in senso progressivo, di congiungersi con l’iniziativa d’avanguardia. 
La contraddizione nel campo rivoluzionario: a proposito delle  posizioni dei compagni dei Carc-nPCI
Sotto questo specifico profilo, la contraddizione però non riguarda solo la delimitazione con il campo del populista di “sinistra”, ma finisce per investire anche componenti avanzate del movimento comunista del nostro paese ponendo al centro l’attualità del compito di una valutazione critica, sul piano pubblico, delle posizioni dei Carc-nPCI. La fase post-elezioni elettorali che ha ulteriormente evidenziato il carattere ultrareazionario del M5S, non ha affatto portato i compagni dei Carc-nPCI a sviluppare una riflessione autocritica sulla tattica approntata nel rapporto con questa forza politica.  Una “tattica” che ha obiettivamente contribuito  alla penetrazione dell’influenza di questo partito populista di destra in settori del movimento politico, sindacale e sociale di opposizione. La sempre più fallimentare linea tattica di questi compagni ha contribuito ad accreditare il M5S, agli occhi di settori avanzati di massa, come un partito progressivo ed avanzato demandando  contemporaneamente a tale partito un utile ruolo di “picconaggio” dell’ipotetico progetto “politico dominante della borghesia” volto a promuovere una larga intesa dal PD a Berlusconi. 
La linea tattica dei Carc-nPCI volta a supportare la costruzione di un “governo di emergenza nazionale” tramite il  “sostegno critico”, pronto a tradursi, ci assicurano questi compagni, in un’opposizione frontale a quelle stesse forze, come appunto il M5S, che si rivelino inconseguenti con le proprie promesse e dichiarazioni,  è solita richiamarsi ad una ripresa dell’esperienza storica del Movimento Comunista Internazionale (in particolare quella del VII Congresso dell’Internazionale Comunista del 1935) declinata poi, però, in termini tanto formalmente creativi quanto invece sostanzialmente eclettici. Questi compagni dimenticano che la tattica del VII congresso dell’Internazionale Comunista è intervenuta solo dopo una lotta a fondo contro i tentativi trotskijsti di tematizzare, sulla base di teorie riformiste come quella del   “programma di transizione”,  un blocco frontista con partiti e  tendenze socialdemocratiche, dimenticano che è anche tramite questa lotta a fondo che si sono potuti sviluppare esperienze e legami rivoluzionari con rilevanti settori della classe operaia e delle masse popolari  e quindi  si sono potuti consolidare, almeno in quella fase, dei partiti comunisti. Soprattutto questi compagni sembrano ignorare i bilanci critici delle lezioni ed esperienze negative derivanti dal VII congresso, che provengono dalle tesi maoiste secondo cui il proletariato deve non solo mantenere l’autonomia nella politica di fronte, ma anche sviluppare il più possibile la propria iniziativa indipendente. Senza un partito comunista legato, in un blocco politico e sociale rivoluzionario indipendente dalla borghesia, a significativi settori della classe operaia e delle masse popolari, e senza la centralità di un’iniziativa politica indipendente, qualsiasi eventuale politica di fronte con determinati partiti borghesi reazionari e riformisti è destinata a risolversi in una politica conciliatoria e codista. Tutta l’esperienza della rivoluzione d’ottobre ha d’altronde evidenziato come lo sviluppo del processo rivoluzionario consista anche nello sviluppo congiunto del partito, del  blocco rivoluzionario e della prassi rivoluzionaria,  attraverso stadi successivi che, di volta in volta ponevano al centro nuovi compiti e nuove possibilità e necessità tattiche.
L’idea di poter “giocare d’astuzia” con il M5S disgregandone l’influenza di massa attraverso una tattica incentrata sulla semplice propaganda, allude ad una politica di fronte con dei partiti borghesi e reazionari, che materialisticamente richiederebbe, per avere delle eventuali possibilità di effettivo sviluppo, qualcosa di ben più concreto ed efficace, come per es. uno sviluppo effettivo e significativo del partito, del fronte e dell’esercito popolare.  La strettoia in cui i  Carc-nPCI sono andati ad instradarsi si sta rivelando politicamente sempre più preoccupante. Un percorso che ha evidentemente anche decisive radici nelle teorie della crisi (per sovrapproduzione assoluta), dell’imperialismo, delle classi sociali, dello Stato e della strategia, elaborate progressivamente da questi stessi compagni.


4. DOPO LE ELEZIONI, QUALI COMPITI? 

Le elezioni del 4 marzo non evidenziano affatto una “crisi di sistema”, e nemmeno una crisi di egemonia della borghesia se con la categoria di “crisi egemonica” intendiamo fare riferimento, come in genere si intende comunemente, ad una crisi della capacità della borghesia di determinare un’efficace gestione del consenso sulle larghe masse. In altri termini le elezioni del 4 marzo non segnano né un qualche indebolimento del potere politico della borghesia né un significativo avanzamento a livello della formazione diffusa di condizioni soggettive per un’alternativa di classe.
Come già indicato prima, le elezioni hanno invece determinato : “un ulteriore spostamento a destra del quadro politico ed istituzionale e si tradurranno in un approfondimento dell’attacco alle condizioni di vita e di lavoro del proletariato e delle masse popolari e in un salto di qualità della repressione, della tendenza al fascismo e dell’espansionismo militarista dell’imperialismo italiano”.
In questo quadro è più che mai necessario differenziare il punto di vista del proletariato da quello delle  forze del populismo di sinistra. Si tratta di un passaggio decisivo per la costruzione di un partito comunista di nuovo tipo, fondato sulla teoria del marxismo-leninismo-maoismo e sui contributi di Antonio Gramsci. La costruzione di un partito di questo tipo è anche  condizione essenziale per  lo sviluppo di un sindacato di classe e per l’effettiva formazione di elementi di una “società civile” indipendenti ed opposti alla “società civile” borghese, innervati dall’ideologia proletaria ed indissolubilmente legati sviluppo dell’iniziativa e della lotta di classe e alla costruzione del potere operaio e popolare.  
Le elezioni del 4 marzo mostrano che la borghesia è costretta ad intraprendere una strada sempre più reazionaria che comporterà esisti sempre più pesanti e catastrofici per la classe operaia e le masse popolari del nostro paese e per quelle dei paesi in cui si sta sviluppando l’espansionismo economico e militare dell’imperialismo italiano. Non si può contrastare questa tendenza senza porre al centro un programma capace di garantire duraturi miglioramenti economici per le masse popolari e un’effettiva democrazia di nuovo tipo per la maggior parte della popolazione. Non si può  propagandare un programma di questo tipo senza dichiarare che la sua realizzazione è inscindibile  dall’effettiva instaurazione di un nuovo Stato a direzione ed egemonia proletaria determinato ad intraprendere la strada della costruzione del socialismo. La teoria dei programmi intermedi o di transizione dei populisti di sinistra è legata alla confusione tra obiettivi ed indicazioni di opposizione e di lotta e  misure economiche e politiche che richiedono l’affermazione del potere politico della classe operaia e delle masse popolari. Questa confusione porta i populisti di sinistra a voler competere con i “programmi economici, sociali e politici” delle forze ultrareazionarie e populiste di destra sul terreno della “società civile borghese” e su quello della “rappresentanza parlamentare”. Si tratta di un terreno fallimentare e perdente che imposta la stessa questione delle lotte e dei movimenti in modo sbagliato, con parole d’ordine insufficienti o fuorvianti e con prospettive velleitarie. La stessa indicazione della necessità di sostenere e diffondere le lotte è, di per sé, fonte di confusione se non si chiariscono, operando di conseguenza, le linee, le forme di organizzazione, d’iniziativa e di lotta, le prospettive ecc., distinguendo il punto di vista proletario, non solo da quello dei fascio-populisti e dei reazionari in genere, ma anche da quello dei populisti di sinistra.
Cosa significa oggi richiamarsi alla realizzazione delle parti più avanzate della Costituzione repubblicana? Significa solo confondere e cercare di sintetizzare il punto di vista proletario e quello populista di sinistra. Per realizzare oggi realmente le parti più avanzate della Costituzione  bisogna andare ben oltre tali parti e quindi ben oltre il problema del riferimento alla stessa questione della Costituzione. Tale riferimento, inteso come elemento programmatico, è oggi un richiamo non alla guerra di  resistenza, ma alla conclusione di essa, non al momento della lotta, ma a quello successivo, relativo alla registrazione formale e retorica degli esiti di questa lotta condizionati e caratterizzati dell’affermazione della “rivoluzione passiva” borghese.
Che oggi, di fronte all’avanzata del fascio-populismo, sia insieme legittimo e necessario affermare che contro tale avanzata ci vuole la preparazione di massa di una Nuova Resistenza e non la “realizzazione delle parti avanzate della Costituzione”, è quindi un dato che non dovrebbe essere affermato solo dal punto di vista proletario, ma anche dal punto di vista di ogni onesto e sincero democratico. La dialettica reale, quella degli effettivi rapporti politici ed economici dell’attuale fase, pone infatti un sempre più palese nesso tra democrazia politica e potere operaio e popolare. Questo nel senso che, per la classe operaia e le masse popolari, non c’è oggi nessuna possibilità di far valere le proprie necessità politiche, economiche e culturali più profonde, senza un diverso sistema di egemonia e quindi di rappresentanza che può essere dato solo dal quadro politico e militare di uno Stato diretto dal proletariato in modo coerente e conseguente con i fondamenti della sua ideologia rivoluzionaria.

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