domenica 3 giugno 2018

pc 3 giugno - INFO - Lotta contro le morti d'amianto: relazione al seminario Università di Padova

  Nocività, salute, lavoro: esperienze italiane e internazionali
Università degli Studi di Padova – Dipartimento di Filosofia, Sociologia,Pedagogia e Psicologia Applicata
30 maggio 2018
LA LOTTA DEGLI ESPOSTI ALL’AMIANTO IN ITALIA
   La storia della lotta contro l’amianto in Italia, - detto anche asbesto, il più economico e “ miglior termo-dispersore al mondo” - è una storia di anni di battaglie collettive di uomini e donne che spesso sono rimasti senza volto e senza nome, ma sono riusciti a sfondare il muro di omertà e di complicità eretto da un sistema industriale basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo che, pur di realizzare il massimo profitto, non ha esitato consapevolmente di mandare a morte centinaia di miglia lavoratori nelle fabbriche, le loro
mogli e figli e anche tanti cittadini che mai hanno visto una fabbrica. La nostra è una storia che è costata enormi sacrifici economici e umani ed è tuttora costellata dalle conseguenze mortali sui lavoratori e sulla popolazione. Se non si bonificherà il territorio, continuerà l’inquinamento degli esseri umani, degli animali e della natura e si continuerà a morire. Nonostante il ricatto fra occupazione e lavoro, la lotta dei lavoratori per la tutela dei loro diritti, della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro è stata una lunga lotta che non ha fine. Una lotta difficile e drammatica di sfruttati che hanno dovuto guadagnarsi il pane in luoghi di lavoro nocivi, esposti a sostanze cancerogene, dove si lavorava l’amianto o dove quest’agente killer era, ed è, presente.
La pericolosità dell’amianto e il danno letale che provocava alla salute di chi ne veniva in contatto era noto fin dall’inizio del Novecento. In Italia fino agli anni 30’ la silicosi e l’asbestosi erano patologie non riconosciute come professionali, ma alla fine degli anni 30 - anche grazie agli studi del prof. Vigliani, oltre che per porre fine al contenzioso e per assecondare lo sforzo bellico in una fase particolare della 2° Guerra Mondiale, quando le sorti del conflitto sembravano ormai segnate - il legislatore approvò la legge 455 del 12/4/1943 con la quale era finalmente stabilita la “Estensione dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali alla silicosi e all’asbestosi”. Si trattava di un sia pur minimo riconoscimento per i lavoratori dell’amianto che si erano ammalati. Lo Stato italiano era dunque consapevole, fin dagli inizi degli anni ’40, del rischio morbigeno legato all’esposizione a polveri e fibre di amianto aerodisperse nell’ambiente lavorativo.  
Un ritardo, quello dello Stato Italiano, ingiustificato e colpevole, perché già nel 1983 l’allora Comunità Europea (Cee), tramite la direttiva 477, aveva dichiarato fuori legge l’amianto. Tuttavia per sei anni nessun governo accoglie le seppur timide indicazioni comunitarie e nel 1989 l’Italia viene giudicata inadempiente, ma la sanzione europea non comporta alcuna reazione immediata. Bisognerà attendere il 27 marzo di tre anni dopo perché la legge 257 venga approvata dal Parlamento.  Con questa legge viene sancito il divieto di estrazione, importazione, lavorazione, utilizzazione, commercializzazione, trattamento e smaltimento ed esportazione dell’amianto e dei prodotti che lo contengono. La messa al bando è affiancata da una proroga di due anni per permettere agli industriali di smaltirlo. Questo significa che per 9 anni lo Stato Italiano, cioè tutti i governi che si sono succeduti, sono stati responsabili e complici delle lobbies dell’amianto e di Confindustria nella mattanza di centinaia di migliaia di operai e di loro famigliari. Ci sono volute grandi mobilitazioni, battaglie politiche e sindacali, e anche battaglie giudiziarie per far approvare finalmente, nel 1992, dopo un lungo presidio di due giorni e due notti dei lavoratori dell’Eternit di Casale Monferrato, della Breda, e rappresentanti di molte altre fabbriche italiane sotto il parlamento, una legge che mettesse al bando la produzione e la commercializzazione di questa sostanza killer e disponesse un insieme di norme rivolte a tutelare la salute degli esposti, prevedendo misure di risarcimento per coloro che avevano dovuto svolgere una attività così pericolosa. Purtroppo l’amianto provoca malattie e morte, anche molti anni dopo che si smesso di lavorarlo a causa dei lunghi tempi di latenza di tali patologie.  
Questo materiale, contenuto in oltre 3 mila prodotti -dai mastici ai sigillanti, dalle pasticche dei freni alle corde, dalle conduttore di acqua potabile alle intercapedini e stucchi per strutture anche pubbliche, come asili, ospedali e scuole - era considerato il “miglior termodispersore al mondo”. Così pratico e a buon mercato da essere finito anche sui tetti: 2,5 miliardi di metri quadrati è la superficie di coperture in eternit in Italia, equivalente a circa 32 milioni di tonnellate di cemento-amianto.
Conveniente ma mortale: quand’è sottoposto a sforzi si usura, liberando nell’aria miliardi di particelle che, se inalate, provocano danni enormi.  
Ogni anno, in Italia, secondo l’Inail, provoca 4mila vittime. Una parte rilevante delle 90 mila morti censite all’anno dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui nel mondo 125 milioni di persone - ancora oggi- sono esposte all’amianto nei luoghi di lavoro.
Le patologie interessano l’apparato respiratorio - asbestosi, tumore maligno del polmone e della laringe, mesotelioma pleurico -; poi c’è il mesotelioma peritoneale, quello pericardico, della tunica vaginale del testicolo o il tumore maligno dell’ovaio. Placche e inspessimenti pleurici diffusi. L’amianto colpisce anche l’apparato digerente. È un attacco invisibile e senza fretta quello delle particelle di asbesto, con un intervallo di latenza tra l’inizio dell’esposizione e la comparsa della malattia che in genere dura decenni: 46 anni, secondo i dati pubblicati nel 2012 nel Quarto rapporto del Registro nazionale dei mesoteliomi dell’Inail.
Prima ancora della “malattia” però, l’amianto evoca la “fabbrica”. Anche perché l’Italia, fino alla fine degli anni 80, è stato il maggior produttore di amianto d’Europa: dal dopoguerra al 1990 ha partorito 3.748.550 tonnellate di amianto grezzo, seconda solo all’ex Unione Sovietica. Sono trascorsi 26 anni dall’entrata in vigore della legge 257/92 che metteva al bando l’amianto. I tempi lunghi di molti processi hanno salvato gli assassini per prescrizione, pochi si sono conclusi con condanne, molti con l’assoluzione degli imputati per “non aver commesso il fatto”, come se fosse stata colpa degli operai, delle vittime, aver respirato sostanze cancerogene, lasciando liberi e impuniti i responsabili della morte di migliaia di operai e lavoratori: alle vittime, oltre al danno, la beffa. In ogni caso anche oggi, dal nord al sud, sono diversi i processi in corso: da quelli a Milano (ATM, Breda/Ansaldo, Pirelli, Alfa Romeo ) a quelli contro la Fibronit a Palermo e Broni, Fincantieri a Monfalcone, Montefibre a Verbania, Montedison a Mantova, la Marina Militare a Venezia. Ci sono persino procedimenti sulle autostrade ad es. sulla Prebemi per l’amianto sotterrato, anche qui in veneto sotto la A31 in Val d’Astico (Vicenza). La nostra esperienza prima, e successivamente anche la letteratura scientifica, ci hanno insegnato che le fibrille di amianto possono entrare nell’organismo sia attraverso le vie respiratorie sia attraverso il tubo gastroenterico. Le fibre d’amianto sono pericolose sia se inalate, sia se ingerite, con i cibi, sia quando vengono in contatto con tessuti di rivestimento, epidermico e/o mucoso. Tutti i tessuti, nessuno escluso, vengono colpiti  da questa azione patogena. Il tessuto polmonare, le membrane sierose (pleura, peritoneo, pericardio, tonaca vaginale del testicolo), sono i bersagli più comuni dell’azione cancerogena. I Comitati e le Associazioni delle vittime dell’amianto si battono da anni per la sicurezza nei luoghi di lavoro e sul territorio, per la giustizia. Oltre al dolore e alla disperazione che provano quando qualcuno di caro viene colpito per una malattia senza speranza, i famigliari delle vittime restano per anni in balia dei Tribunali e dell’Inail in attesa un risarcimento che non arriva mai o che se qualche volta arriva è troppo tardi. La lotta delle associazione e comitati è una lotta contro un intero sistema capitalista che privilegia il profitto alla vita umana e che si scontra con muri di gomma, governi e istituzioni complici, rimandi infiniti di istituti come INAIL e INPS che dovrebbero garantire i diritti e che invece sembrano voler costruire risparmi sulla pelle dei lavoratori (si calcola che l’INAIL abbia un “tesoretto” di oltre trenta miliardi di euro). Infine la rabbia per una giustizia che non c’è, una giustizia di classe che assolve i colpevoli e condanna spesso le vittime a pagare anche le spese dei tribunali. Nel 2008 noi lavoratori, con le nostre Associazioni e Comitati, ed anche singolarmente, abbiamo deciso di ricorrere alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo, per denunciare la violazione dei loro diritti e delle norme costituzionali sulle quali si fonda la Repubblica Italiana nata dalla Resistenza, che all’articolo 1 della Costituzione proclama che la Repubblica è fondata sul lavoro; ma il più delle volte questa è finzione, apparenza; nella realtà la Repubblica, nel suo manifestarsi concreto ancora oggi, dimentica la sicurezza sul lavoro e l’integrità fisica di chi ha dedicato e dedica la vita al progresso individuale e collettivo, producendo la ricchezza di questo paese. Di fronte alle stragi collettive, ai morti del lavoro, si alzano per qualche giorno voci di denuncia del capo dello stato, ministri, politici e sindacalisti; voci impotenti e ipocrite, perché il giorno dopo tutto continua come prima. Il motore del sistema capitalista, della nostra società e del sistema economico è il profitto, il dio denaro, il mercato, che dispone della vita e della morte degli esseri umani a cui tutti gli altri diritti umani sono subordinati se compatibili con esso. Al centro del mondo ci sono i “diritti” delle multinazionali, delle rendite finanziarie, dei profitti e non certo il lavoro, la sua difesa, la sua tutela, quel lavoro che pure la Costituzione considera essere lo strumento di affermazione e di progresso, personale e collettivo. Se la centralità è l'impresa, l’intensificazione incessante del lavoro, il ridurne sempre più i costi, tagliare i tempi, aumentare gli orari – questo è quanto avvenuto concretamente nel corso degli ultimi anni – ebbene, gli incidenti non solo non diminuiranno, ma continueranno ad aumentare, così come aumenteranno le malattie professionali, che per altro le istituzioni si ostinano a non riconoscere. Lunghe cause che durano anni e che spesso si concludono per la sopraggiunta morte dei lavoratori già minati nel fisico. Processi penali lunghissimi che, anche in casi di condanna dei datori di lavoro per omicidio colposo, fanno scattare la prescrizione e la conseguente impunità per i responsabili della morte di centinaia di migliaia di lavoratori, colpevoli che tutto sapevano sulla pericolosità del minerale killer ma che, in nome della ricerca del massimo profitto, nulla hanno fatto per evitare queste morti annunciate. In questi anni migliaia di operai, lavoratori italiani, i loro famigliari e intere famiglie sono state sterminate dal pericoloso e silenzioso killer e molti aspettano ancora invano giustizia. Sono passati, ormai e purtroppo, molti anni da quando ci siamo resi conto che tante vittime dell’amianto potevano essere salvate, da quando abbiamo tutti capito che le responsabilità per la tragedia causata da questa fibra–killer sono molteplici e di varia origine, da quando persino le aziende hanno cessato di negare le gravissime e letali conseguenze delle esposizioni all’amianto (purché a loro non attribuibili). Ancor più grave è il comportamento dei politici, sindacalisti, medici, Governi, istituzioni, enti amministrativi preposti (Inail, Inps, ecc), sia pure a livello di amministrazione delle cause giudiziarie (civili, amministrative e penali). che, pur riconoscendo i letali influssi sui lavoratori e la popolazione dell’amianto nulla fanno. La vicenda dell’amianto ci conferma invece che siamo ancora lontani dal pieno riconoscimento di questo diritto. Anche se siamo coscienti di combattere contro una società che privilegia il profitto rispetto alla vita umana questo non ci impedisce però di continuare a lavorare e a lottare per fare in modo che i diritti dell’uomo, in concreto e non solo in astratto, possano essere pienamente e pacificamente riconosciuti, a ogni livello e in ogni settore della nostra vita: da quello politico a quello giudiziario, da quello sociale a quello amministrativo.
La morte sul lavoro e di lavoro non è mai una fatalità
Sesto San Giovanni, dove è nato il nostro Comitato, aveva 42.000 operai concentrati in 8 grandi fabbriche, su una popolazione di 90.000 abitanti. Quando, tra i nostri compagni di lavoro, cominciavano ad aumentare il numero delle neoplasie e di altre malattie professionali, riconducibili all’esposizione all’amianto e ad altri cancerogeni (cromo, nickel, piombo, ecc.), ci siamo convinti della necessità di non delegare più ad altri la tutela dei nostri diritti se non a noi stessi e che la morte sul lavoro e di lavoro non è mai una fatalità. Non il destino, ma la sete di profitto e l’indifferenza di molti è la causa di tante tragedie. Il nostro non è un caso isolato! Noi ci siamo costituiti in Comitato, altri in associazioni, per svolgere quella essenziale funzione di difesa dei lavoratori e per la tutela dei loro diritti. Gli studi epidemiologici hanno, purtroppo, confermato la più alta incidenza di queste patologie tra i lavoratori di Sesto San Giovanni, rispetto al resto della popolazione. Certo è che, come ha dimostrato la scienza medico-legale, inalare polveri di amianto favorisce i processi cancerogeni, li determina e li accelera. L’intera penisola italiana è percorsa da una silenziosa e strisciante tragedia, cosparsa di lacrime e sangue. Dai dati Inail si rileva che solo nei primi mesi dell’anno (fino al 28 maggio 2018) ci sono stati 286 morti sul lavoro in Italia, 24 in più del 2017, in crescita del 9,2%.
Sono migliaia i morti per infortuni sul lavoro e malattie professionali, quasi un bollettino di guerra, dove tuttavia a morire sono sempre e solo gli operai.
Esiste una guerra non dichiarata fra sfruttati e sfruttatori in cui i morti, i feriti e gli invalidi si contano da una parte sola; gli operai, i lavoratori che producono ricchezza da cui sono esclusi. Così scriveva G. Berlinguer in (Medicina del lavoro in La salute nella fabbrica, edizioni Italia – URSS, Roma 1972, pag, 32):  “Nel ventennio 1946–1966 si sono verificate in Italia 22.860.964 casi di infortunio e di malattia professionale, con 82.557 morti e con 966.880 invalidi. Quasi un milione di invalidi, il doppio di quelli causati in Italia dalle due guerre mondiali, che furono circa mezzo milione. Mentre la media degli infortuni e malattie professionali nel ventennio 1946–1966 è stata lievemente superiore ad 1 milione di casi annui, negli anni dal 1967 al 1969 la cifra è salita ad oltre 1,5 milioni di casi e nel 1970 ad 1.650.000 casi”. Già nel 1974, più di quarant’anni fa, lo S.M.A.L. (Servizio di Medicina Preventiva per gli Ambienti di Lavoro) di Sesto San Giovanni aveva evidenziato, in rapporti inoltrati alla Direzione Aziendale Breda Fucine, all’Assessorato alla Sanità, al Servizio Sanitario Aziendale, all’Ufficiale Sanitario, all’Ispettorato del Lavoro, ai Sindacati CGIL–CISL–UIL e alla FLM (Federazione Lavoratori Metalmeccanici) i pericoli dell’amianto usato nelle fabbriche.. L’organizzazione del lavoro prescindeva dalla tutela della salute o era quanto meno inadeguata a quel fine, privilegiando il profitto al rispetto dei diritti. Molti dei nostri compagni di lavoro sono morti senza ottenere giustizia e non è migliore la situazione nel resto dell’Italia ed in altri territori. Tuttavia dobbiamo combattere spesso nell’indifferenza la nostra battaglia di civiltà, che dalle aule dei Tribunali d’Italia abbiamo, ora, trasferito anche presso la Corte Europea di Strasburgo, facendo ricorso contro la Repubblica Italiana e l’Inail, rei di avere ancora una volta, dopo aver dimenticato, discriminato e conculcato diritti già acquisiti e costituzionalmente rilevanti. La tutela della salute sancita dalla Carta Costituzionale si è quasi sempre fermata ai cancelli delle fabbriche e dove è stato possibile farla rispettare è stato solo grazie alle lotte dei lavoratori. Abbiamo dato vita, dunque, al Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio intraprendendo una battaglia di giustizia e verità combattendo contro un muro di omertà e di complicità. Quando lo Stato capitalista padrone delle industrie pubbliche nasconde, al pari degli industriali privati, o minimizza la pericolosità dell’amianto killer, diventa esso stesso assassino e complice di padroni e manager privati che per realizzare il massimo profitto calpestano la salute e la vita umana. Più volte, insieme ai nostri compagni di lavoro, abbiamo protestato per la mancanza d’aspiratori e delle condizioni di sicurezza, denunciando che – mentre tutti parlavano di robotica o di fabbrica automatizzata – in fabbrica ci si ammalava e si moriva. Ogni volta, davanti alle proteste, la direzione aziendale prospettava la chiusura della fabbrica. I sindacati confederali consigliavano di non scioperare né di interrompere la produzione. Tuttavia, i “sacrifici” non hanno evitato lo smembramento della fabbrica, la cassa integrazione e la chiusura della Breda. Lo stesso processo è avvenuto nelle altre fabbriche sestesi e italiane, con la chiusura della Falck, dell’Ercole Marelli, della Magneti Marelli, dell’Ansaldo e di tutte le altre grandi fabbriche. Ogni anno muoiono nel mondo per cause legate all’attività lavorativa 2 milioni di persone, 100 mila solo per l’amianto, mentre gli infortuni totali sono 270 milioni. Nella ”civile” Italia gli infortuni sul lavoro sono oltre un milione. Solo per le malattie derivate dall’amianto ogni anno muoiono nel nostro paese più di 4.000 lavoratori. A queste cifre vanno aggiunte le migliaia di morti dovute a malattie causate all’inquinamento ambientale e quelli derivanti dai 3 milioni e 500 mila lavoratori stranieri e italiani in nero, che non rientrano nei conteggi Inail. Quindi non è azzardato pensare che i morti sul lavoro e di lavoro in Italia, siano più di 10 al giorno. Ogni anno il costo sociale degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali è pari al 4% del PIL mondiale, ma il costo pagato dai lavoratori è molto più alto. E’ in questo contesto che si colloca la nostra battaglia politica, etica e morale, prima che legale. Le vicenda processuali e le morti certe o sospette per amianto in Italia assumono un aspetto singolare e per certi versi sconcertante! Molti processi, a cominciare da quello Eternit di Casale Monferrato, sono finiti con la assoluzione per prescrizione e cioè per il venir meno della pretesa punitiva dello Stato per il decorso del tempo. Altro che …. giustizia è fatta! Non intendiamo delegare a nessuno la difesa dei nostri diritti. Con le altre Associazioni stiamo lavorando per costruire un grande movimento che unifichi tutte le lotte operaie e popolari, nella battaglia contro lo sfruttamento e le logiche di morte. Lottiamo per imporre condizioni di sicurezza nella organizzazione del lavoro, affinché altri non debbano subire e patire quello che abbiamo subito noi, i nostri compagni di lavoro e i nostri famigliari. La nostra lotta ha fatto comprendere a molti lavoratori che la loro malattia non era causata da un infausto destino, ma aveva precise responsabilità in chi sapeva e nulla ha fatto per evitare queste morti annunciate e questo ha dato a molti un motivo in più per combattere. Crediamo che il primo dovere della magistratura sia quello di indagare su tutte la morti “innaturali” perseguendo i responsabili e continueremo a lottare insieme a tutti coloro che vogliono far valere il principio: “prima di tutto la salute” e far diventare realtà il fatto che “senza sicurezza non ci può essere lavoro”. Gli Imprenditori, agli esordi, hanno avuto la colpa di nascondere le ricerche scientifiche che hanno evidenziato la nocività dell’asbesto, occultando dolosamente la conseguenza dell’insorgenza di estese patologie tra i lavoratori, tra i loro familiari, e tra molti cittadini comuni esposti al minerale nell’ambiente di vita. Tuttavia in tempi più recenti, la verità storica ha trovato soddisfazione in alcuni Tribunali con le due recenti sentenze della Terza e Quarta Sezione della Corte di Cassazione sui morti d’amianto alla Centrale Enel di Chivasso (To) e Turbigo (Mi) che hanno condannato i dirigenti per la morte dei lavoratori affermando che: “il superamento, alla stregua della letteratura scientifica ormai consolidata, della teoria della cd. dose killer non può che comportare, sul piano logico, l’adesione all’ipotesi scientifica, avente fondamento epidemiologico, secondo cui l’aumento della esposizione produce effetti nel periodo di induzione e di latenza”. - Sentenza 4560/2018, III Sezione Penale della Cassazione.  
La recentissima sentenza della IV Sezione Penale della Corte di Cassazione del 18 maggio 2018 ha confermato le condanne per i numerosi casi di lavoratori deceduti per patologie derivanti dall’amianto presso la Fincantieri di Monfalcone. Sembra che il vento stia cambiando, e questo avviene grazie a chi non si è mai arreso, alle lotte dei lavoratori.
 
Tuttavia, per decenni, la sete di potere e di guadagno degli imprenditori ha goduto della complicità esterna, dell’ignoranza passiva e/o attiva di medici, di consulenti tecnici, di legali, di giudici, di funzionari delle amministrazioni pubbliche, di detentori del potere esecutivo e/o di quello legislativo che - con la loro indifferenza, i silenzi e con le bugie - hanno frequentemente fuorviato e manipolato l’opinione pubblica. Per troppi anni, in cambio del salario, i lavoratori sono stati costretti a lavorare in ambienti malsani e insicuri col risultato che milioni di persone che hanno costruito la ricchezza di questo paese hanno perso la vita , morendo fra atroci sofferenze, per arricchire i loro padroni. In questo panorama desolante, possiamo tuttavia vantare molti, importanti, risultati per tutti, lavoratori e cittadini: la sorveglianza sanitaria gratuita per tutti gli esposti all’amianto che, per quanto prevista dalla legge, un molte regioni non veniva attuata; la costituzione di un Fondo Vittime dell’Amianto ma soprattutto l’aumento della consapevolezza del rischio amianto, attraverso manifestazioni di piazza, convegni, pubblicizzazione dei processi intentati ai responsabili di questo crimine “di pace”. Infine continuiamo la nostra battaglia lottando per il futuro nostro e delle generazioni che verranno: la prevenzione primaria, il “rischio zero” del cancerogeno asbesto e di tutti gli inquinanti.  
Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
Il Presidente Michele Michelino  
Per contatti:  cell. 335 7850799

Nessun commento:

Posta un commento