Disordini e scontri con la polizia si sono verificati fino alle prime ore della mattina di domenica nella capitale Amman. I manifestanti volevano raggiungere il palazzo del governo ma la polizia ha provato ad impedirlo bloccando strade e lanciando verso la folla gas lacrimogeni. Oggi i manifestanti sono tornati a sfilare davanti la sede del governo. Le manifestazioni sono iniziate con la fine del digiuno del periodo di Ramadan. I protagonisti sono soprattutto studenti e giovani lavoratori, la richiesta è quella di annullare l’aumento delle tasse varato per 165 articoli di consumo tra cui anche beni di prima necessità come prodotti alimentari, acqua e elettricità. Ma anche aumento delle tasse sul reddito, trasporto pubblico, carburante e tabacco. Una misura economica promossa dal governo che rientrava nel piano economico che aveva ed ha tuttora il classico obiettivo, imposto dal Fondo monetario internazionale, di diminuire il debito pubblico. I manifestanti attraverso la parola d’ordine “non ci inginocchieremo” hanno fatto capire che non avrebbero accettato in silenzio la volontà del governo. La volontà dei potenti del paese e della governance internazionale di far pagare ai cittadini il costo della crisi economica che attraversa il paese. Una crisi economica non causata da chi oggi, per volere del governo, dovrebbe pagarla a caro prezzo.
Le
pressioni di piazza che negli ultimi giorni hanno tenuto sotto scacco
il regno, hanno costretto il re a rivedere, almeno a parole, i piani del
governo ed aprire un dialogo. I manifestanti hanno, infatti, chiesto
con forza le dimissioni del premier che sono arrivate ieri. Si dice che
il re abbia dato mandato all’economista Omar al-Razzaz di formare un
nuovo governo e che ha, nel fra tempo, bloccato il prezzo del carburante
dicendosi inoltre disposto ad arrivare a un compresso e ripensare le
riforme. C’è il timore, però, che questo non possa bastare per placare
la rabbia del popolo. Queste infatti per i manifestanti sembrano le
solite promesse fatte per provare ad ammorbidire le contestazioni. Sanno
perfettamente che anche con il nuovo premier le misure che il Fmi
chiede dovranno essere realizzate. Anche Moody’s sostiene che queste
misure sono fondamentali per permettere al paese di risalire nel rating.
Niente di nuovo insomma.
Una crisi profonda si affaccia sulla Giordania e le voci che giungono dalla piazza fanno pensare che il prossimo bersaglio popolare potrebbe non essere il governo ma il regime e il re. Staremo a vedere.
Una crisi profonda si affaccia sulla Giordania e le voci che giungono dalla piazza fanno pensare che il prossimo bersaglio popolare potrebbe non essere il governo ma il regime e il re. Staremo a vedere.
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