GLI ESITI DELLE ELEZIONI DEL 4 MARZO E LA LOTTA CONTRO IL POPULISMO DI SINISTRA
da Nuova Egemonia - nuovaegemonia@yahoo.com
3a parte
POPULISMO DI SINISTRA, ANALISI DELLE CLASSI SOCIALI E CONCEZIONE DELLO STATO
Si può porre, in termini populisti di “sinistra”, il problema di una rottura capitalistica, invece che proletaria e socialista dell’Europa, solo se si ritiene che a tale rottura abbiano interesse anche rilevanti settori della classe dominante, considerati quindi come caratterizzati da uno stato di strutturale di sofferenza a causa delle politiche e delle istituzioni dell’Unione Europea. La rottura capitalistica dell’Europa che viene proposta dal populismo di sinistra è così pienamente corrispondente ad un’analisi della composizione sociale e di classe in Italia, che afferma la possibilità, e quindi la necessità politica, di coinvolgere o spostare significativi strati di borghesia su un terreno favorevole al“cambiamento politico e sociale”.
La negazione del carattere imperialista dell’Italia, insita nella teoria della rottura capitalistica, invece che proletaria e socialista, dell’Europa, si connette ad una concezione della composizione sociale e di classe della società italiana che dilata abnormemente il campo delle “masse popolari” sino ad assumere, in modo maggiormente tematizzato oppure di fatto, la centralità della categoria del “popolo” in diretta opposizione a quella di “proletariato” necessariamente inteso, quest’ultimo, come perno e classe dirigente di un blocco popolare rivoluzionario. Quest’operazione riduce la borghesia ad una sorta di ristretta oligarchia finanziaria con la conseguenza di andare ad individuare nella media e nella piccola borghesia privilegiata un “ceto medio” neutralizzabile, se non addirittura potenzialmente progressivo, soggetto all’oscillazione tra la regressione reazionaria ed il cambiamento politico e sociale. Il presupposto di questa pseudo analisi delle classi sociali è quello dell’occultamento del sistema dello sfruttamento e del lavoro salariato e della trasformazione, realizzatasi da oltre un secolo, del capitalismo in imperialismo. Infatti è proprio nella fase imperialista che gli strati superiori della piccola borghesia diventano completamente reazionari e si legano strettamente alla media ed alla grande borghesia fondendosi con lo Stato. La negazione del carattere imperialistico dell’Italia si accompagna inevitabilmente ad una deformazione che oggi possiamo definire “populista” della lettura e della visione delle contraddizioni sociali e contraddizioni di classe.
In Italia la borghesia è certo una netta minoranza della popolazione, ma contemporaneamente è quella classe che, nel suo complesso, gestisce oltre alla quasi totalità dell’economia e all’intera amministrazione e macchina statale, anche quel vasto tessuto di associazioni (imprenditoriali, sindacali, ecclesiastiche, intellettuali, culturali, sportive ecc.), di partiti, di organismi e di istituzioni (egemoniche) che gramscianamente si può definire come “società civile” e che rappresenta quella dimensione dello Stato deputata alla formazione del consenso sulle masse proletarie e popolari e dedita alle operazioni strategiche miranti alla formazione di assetti egemonici corporativi caratterizzati dalla capacità di realizzare la pacificazione e la stabilizzazione politica e sociale (rivoluzione-passiva) al servizio della borghesia.
La borghesia è composta almeno dal 20% della popolazione e comprende oltre alla grande borghesia finanziaria ed industriale e alle grandi rendite, anche la media borghesia e gli strati superiori del proletariato (aristocrazia operaia) e della piccola borghesia operante sia a livello imprenditoriale che nell’ambito dell’amministrazione, della burocrazia politico-militare e della “società civile”. La borghesia intesa in questo senso, per quanto attraversata da contraddizioni spesso acute legate alla ridefinizione dei sistemi di rappresentanza, degli assetti egemonici e delle modalità di ripartizione della spesa pubblica, non è mai soggetta a significativi processi di ridimensionamento o all’effettiva oscillazione di certe sue componenti o frazioni verso il proletariato. Il suo nesso interno e costitutivo con lo Stato e con il capitalismo imperialista la rendono una classe assolutamente reazionaria per quanto appunto non in modo omogeneo. La borghesia, nel suo complesso, cerca di legare a se gli strati popolari partendo in primo luogo da quelli rappresentati dagli strati intermedi ed inferiori della piccola borghesia che, per condizioni, mentalità, aspirazioni, legami con la “società civile” e con lo Stato, mirerebbero ad usufruire di quote delle entrate della spesa pubblica per puntellare e stabilizzare la propria posizione economica e sociale ed arrivare a integrarsi organicamente con il sistema egemonico borghese, con le istituzioni rappresentative ed amministrative dello Stato. La borghesia fa di tutto per assicurarsi il consenso delle masse popolari e del proletariato a partire dai settori intermedi della piccola-borghesia, che oggi vengono direttamente colpiti ed in parte anche “proletarizzati” dalla crisi e dall’offensiva economica e politica in atto. La costruzione del consenso non può ovviamente mai contare su una sintonia reale e profonda con le masse proletarie e popolari, ed in questo senso è sempre sbagliato parlare di egemonia, in senso stretto, della borghesia sul proletariato, essendo l’egemonia borghese pertinente alla costruzione e ridefinizione degli equilibri egemonici tra le varie frazioni della borghesia sotto la direzione della grande borghesia. La costruzione del consenso è sempre tendenziale e contraddittoria, soggetta ad un logorio anche profondo e veloce e si realizza eventualmente tramite strategie, relazioni e modalità che, se risultate vincenti dallo scontro di classe, riescono a stabilizzare la situazione a vantaggio della borghesia, per un arco di tempo relativo ad un breve-medio periodo. Per esempio tale costruzione del consenso opera: 1) attraverso le operazioni “passivo-rivoluzionarie” (Gramsci) che sostituiscono forme di rappresentanza, partiti, istituzioni ed assetti, logorati agli occhi delle masse, con nuove forme che mirano a presentarsi criticamente verso le precedenti forme ed istituzioni della politica borghese ( oggi, per esempio, nei confronti delle cosiddette politiche “neoliberali” ed “europeiste”), nel tentativo di unificare il nazionalismo, l’imperialismo, il razzismo e la repressione con proposte populiste apparentemente riformiste e falsamente “democratiche” (vedi la Lega ed in particolare il M5S), 2) tramite l’operato quotidiano della “società civile reazionaria” che lavora continuamente ad intessere una fitta rete di condizionamenti e di ricatti, di relazioni e di istituzioni contenitive ed oppressive, in cui cercare di attrarre, avvolgere e soffocare ogni manifestazione embrionale di dissenso ed opposizione di massa, 3) il tutto questo in stretto legame con il controllo, la repressione e la militarizzazione del territorio, che operano anche allo scopo di assicurare maggiore efficacia a queste strategie, relazioni e forme di costruzione del consenso reazionario riducendo ed aggredendo gli spazi di dissenso, di opposizione e di lotta, 4) attraverso la promozione e la divisione del sistema della “produzione intellettuale” e dell’ “organizzazione della cultura” dove oggi tutto è impostato e gestito in funzione della diffusione dell’ideologia più reazionaria in funzione dell’abbruttimento e dell’oppressione delle masse popolari ed intrinsecamente, se non esplicitamente, finalizzate alla lotta contro l’ideologia e la prospettiva della rivoluzione proletaria.
La negazione del carattere imperialistico dell’Italia che si coniuga con la teoria del carattere potenzialmente progressivo di parte rilevante della borghesia italiana, si traduce nel circoscrivere il dominio borghese ad una ristretta oligarchia che dirige l’economia, l’amministrazione e le istituzioni Statali, con la conseguenza che la “società civile” borghese viene considerata non come una dimensione della società imperialista e dello Stato borghese, ma come un territorio di per sé neutro, un terreno di contesa tra “popolo” ed oligarchia finanziaria. La negazione della teoria dell’imperialismo di Lenin si traduce, attraverso la negazione della trasformazione in senso irreversibilmente reazionario della media borghesia e degli strati superiori della piccola borghesia (tra cui l’aristocrazia operaia), nella negazione della fusione che, nell’epoca dell’imperialismo si determina, all’interno delle principali potenze, oltre che tra economia e macchina statale, anche tra economia-macchina statale e “società civile”, con la conseguenza che lo Stato, nell’imperialismo, si dilata enormemente proprio perché la macchina statale acquisisce una sorta di più ampia base politica, sociale ed ideologica. L’oppressione sul proletariato e sulle masse popolari in tal modo non diminuisce affatto, ma si accentua e investe pesantemente tutti i livelli ed aspetti della vita delle masse.
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