Il Garantista, 21 marzo 2015
Ora d'aria in compagnia di una sola detenuta, in una vasca di cemento
da tre metri per tre. Massimo due libri e due quaderni: ma tutti
tacciono.
Sanno in pochi a quale tipo di asprezze va incontro un detenuto che è
sottoposto al 41 bis, regime di carcere duro. E sono ancora meno quelli
che conoscono la realtà della sezione femminile del carcere delle
Costarelle, L'Aquila, dove le nove recluse vivono in un regime di
carcere duro più duro degli altri. Le donne che lo abitano sono
seppellite vive da anni. Recluse in un sepolcro entro il quale
scalciano. Oltre il quale nessuno può sentirne lo strazio. Vivono in
isolamento totale. Non riescono a far sentire la loro voce.
A far sapere all'esterno quale sia la quotidiana umiliazione della
loro dignità, in spregio delle stesse norme che regolano il 41 bis. "Un
carcere femminile peggiore di Guantánamo e di Alcatraz", lo definisce
l'esponente politico del centrosinistra aquilano, Giulio Petrilli. Un
autentico bunker, dove è in vigore l'isolamento totale.
Qui alle Costarelle, dove la sezione femminile speciale fu inaugurata
nell'autunno del 2005 da Nadia Lioce, Laura Proietti e Diana Blefari,
brigatiste coinvolte nei delitti Biagi e D'Antona, le detenute sono
trattate peggio dei boss mafiosi. Le loro celle si trovano alla fine di
un lungo tunnel sotterraneo. Sono grandi due metri per due. Si
affacciano sul nulla. E ancora peggio di così va per l'ora d'aria. Alla
maggior parte dei boss mafiosi è consentito socializzare, scambiare due
chiacchiere in gruppi di sei persone.
E in luoghi dove un po' d'aria, magari la si respira davvero. Non si
parla certo dei giardini di Boboli. Ma di spazi che a volte arrivano
alle dimensioni di un campo di calcetto. Non alle Costarelle, dove l'ora
d'aria la si trascorre in una vasca di cemento grande tre metri per
tre. In pratica è un po' come restare in cella. E del sole neanche
l'ombra. Sarà per lo meno l'occasione per scambiare due chiacchiere, si
potrebbe immaginare.
Niente affatto. Alle donne delle Costarelle, Lioce compresa, è
imposto di poter socializzare al massimo con una sola compagna. Se le
due non si piacciono? Pazienza. E se una si ammala? L'ora d'aria te la
fai da sola, come una pazza. E accaduto così poco tempo fa proprio alla
Lioce. La compagna d'aria si ammalò per un bel po' di tempo. E così la
brigatista che sconta la sua pena all'ergastolo, dovette subire
un'inutile e dannosa pena accessoria: la condanna al silenzio totale...
...Lioce è l'unica ergastolana condannata per fatti
terroristici. Di che cosa dovrebbe parlare con le altre detenute
condannate per fatti di associazione mafiosa? E in secondo ordine,
perché le donne di questo carcere possono trascorrere l'ora d'aria in
coppia, e non in gruppo? Abolita la socialità, il desiderio di dire
"come va", di restare umani nonostante tutto, si potrebbe credere che
una detenuta delle Costarelle potrebbe vocarsi per lo meno ai piaceri
dello studio e della lettura. Ma anche in questo caso, vince
l'accanimento. Un accanimento che va oltre il 41 bis.
Le sgradite ospiti del carcere aquiliano possono avere massimo due
libri al mese, e due soli quaderni sui quali scrivere o prendere
appunti. Diplomarsi, laurearsi, dedicarsi a uno studio? Pazza idea. I
libri sono sottoposti a censura. Alle detenute è vietato scambiarsi
libri. E possono averne soltanto se hanno denari da spendere. Un po'
complicato farne a sufficienza, vivendo seppellite vive. Anche ai
familiari e ai parenti, è vietato inviarne in regalo. E comunque deve
trattarsi di libri nuovi. Vecchie edizioni di libri, che qualcuno si
trova in casa, non possono essere consegnati. Immaginate che spasso, per
chi magari vuole studiare e ha bisogno di approfondire su testi
polverosi di cui non ci sono nuove edizioni. In pratica la norma, per
chi sostiene esami universitari. A vivere in condizioni di questo
genere, è facile ammalarsi.
E fino a poco tempo fa, in questi casi, la beffa. Le detenute
potevano essere visitate, anche per problemi intimi, solo in presenza di
una guardia. Quanta intimità. Ma vivere in queste condizioni, significa
anche andare via di testa. È già successo. È accaduto a Diana Blefari,
prigioniera alle Costarelle. "Era caduta in uno stato di profonda
prostrazione e inerzia psicologica. Se ne stava rannicchiata tutto il
giorno nel letto, con la coperta fino agli occhi e senza nessun cenno di
interesse per il mondo", racconta Elettra Deiana.
Piegata dal carcere duro, Blefari si suicidò il 31 ottobre del 2009.
Non si discute qui quali siano le colpe di queste detenute. Qui ci si
chiede se è legittimo sottoporre chi sconta la sua pena, a un surplus di
accanimento. A inutili torture che le circolari del Ministero
autorizzano anche qui a Costarelle. Una tomba dove chi scalcia non può
essere sentito. Dove queste detenute, ormai come spettri, interrogano
tutti noi sul significato di dignità e diritti, che spetterebbero anche
al peggiore dei criminali, in quanto essere umano".
L'APPELLO DEL MFPR
DIFENDIAMO LE
CONDIZIONI DI VITA DI NADIA LIOCE - STOP AL 41-bis,
AL REGIME DI ISOLAMENTO
Il Movimento Femminista
Proletario Rivoluzionario fa appello a tutte le compagne, realtà di
donne a mobilitarci per difendere le condizioni di
vita della prigioniera politica Nadia Lioce.
Nadia è l'unica
compagna, insieme ad altri 2 prigionieri politici, ad
essere ancora sottoposta al regime di 41-bis, inasprito
dalla direzione del carcere de L'Aquila da fine novembre
2014 e alla misura dell’isolamento disciplinare, con la
conseguenza di una condizione d’isolamento totale e
perenne.
L'accanimento dello
Stato contro Nadia Lioce non può e non deve passare
sotto silenzio, perchè, al di là del giudizio sulle
scelte di lotta, politiche da lei fatte e portate
avanti, questo accanimento repressivo è per cercare di
ammazzare la sua volontà di non cedere, la sua coerenza
nella battaglia contro questo Stato.
Lo Stato borghese vuole
le donne subordinate e oppresse e, se si ribellano e
lottano, pentite o dissociate. Chi non ci sta viene
doppiamente repressa, anche perchè ha osato...
Per questo, tutte le
donne, le compagne che lottano per spezzare le doppie
catene di questo sistema sociale devono far sentire la
solidarietà per Nadia.
Le donne combattenti, la
loro vita, le loro scelte, non vanno ricordate solo dopo
morte o solo per il passato. Oggi c'è una donna
combattente che per fortuna lo Stato non ha ucciso, o
non è riuscito a stroncarne la volontà. Oggi essere
dalla parte delle donne che lottano per dare l'assalto
al cielo, è anche difendere Nadia Lioce.
Movimento Femminista
Proletario Rivoluzionario
18 marzo 2015
|
Nessun commento:
Posta un commento