giovedì 26 marzo 2015

pc 26 marzo - Brasile - Mobilitare il popolo e respingere la vecchia politica - O Brasil precisa é de uma Grande Revolução

Editoriale del n 147 di A Nova Democracia, 

Le manifestazioni del 13 e 15 marzo hanno polarizzato il dibattito politico dei giorni successivi e mostrato alcune verità scomode per l’opportunismo e preoccupanti per i veri democratici e rivoluzionari del nostro paese.
Le manifestazioni a sostegno del governo del 13, indette dalle centrali sindacali ed altri movimenti sociali istituzionali, CUT in testa, hanno dimostrato quello che già sappiamo da più di dieci anni.
L’opportunismo elettorale ha perso ogni legame con le masse e non è più capace di mobilitarle. 
Hanno radunato principalmente attivisti e funzionari dei movimenti e partiti della “sinistra” opportunista ed elettorale. Quel poco di masse che hanno partecipato erano quelle mobilitate nei giorni precedenti su rivendicazioni specifiche. Eppure, anche i movimenti sociali che sono stati cooptati e hanno partecipato hanno dovuto criticare, garbatamente, il “governo” per le più eclatanti misure antipopolari
Le manifestazioni contro il governo del 15, convocate via Internet da un fronte di individui, gruppi e movimenti che si qualificano come “apolitici”, nazionalisti e, alcuni, segnatamente reazionari, della destra tradizionalmente anticomunista viscerale, orfana del regime militare e truppa da caserma, hanno avuto invece una partecipazione di massa.
Hanno riunito centinaia di migliaia di persone in tutto il paese, mobilitando soprattutto masse di piccola e media borghesia, numerose quanto influenti nella formazione dell’opinione pubblica. Oltre a tanti che non hanno votato Dilma, sicuramente vi hanno partecipato elettori PT pentiti e delusi dalla frode elettorale.
In entrambi i casi, il crescente sentimento anti-PT, che lo stesso PT e tutto il suo entourage cercano con zelo religioso di squalificare come “una cosa di destra” inizia ad assumere, se non la forma, una dimensione incompatibile con l’etichetta di “cosa dei ricchi”, come se il governo non fosse di destra e dalla parte dei ricchi. Tanto più che i ricchi veri, le banche, le multinazionali, i proprietari terrieri, i proprietari delle industrie dell’“agro-business”, non erano in strada il 15 marzo, perché loro sostengono il governo PT, non per simpatia disinteressata ma per gli eccellenti servigi che fornisce loro.
Tutti gli strilli isterici diffusi con gli occhi sbarrati e il freddo in pancia tramite la “blogosfera
progressista” del PT e dalla guerriglia virtuale dei suoi militanti sui social network sul “golpe di destra”, “il fascismo che avanza” ecc., sono solo un tentativo di nascondere la sua ampia e profonda deriva fascista.
La vergogna e discredito di chi invia l’esercito a occupare le favelas, militarizza la società, istiga l’assassinio di dirigenti contadini, perseguita i movimenti popolari non allineati, compresi quelli dei giovani che lottano, per coprire la loro vile azione di tradimento e svendita del paese che ha spinto all’estremo la denazionalizzazione e deindustrializzazione dell’economia, la sua completa privatizzazione, i tagli e lo smantellamento della sanità e dell’istruzione pubblica.
La reazione di Dilma e soci alla manifestazione del 15 ha avuto lo stesso tono blando delle misure promesse durante le proteste di giugno, compresa la “riforma politica”. Questa irrealizzabile e abortita “riforma politica” è il sacro mantra con cui il PT e tutta la “sinistra” opportunista ed elettorale, compresa quella all’opposizione, cerca ora di ipnotizzare gli ingenui. E, detto per inciso, in Brasile, sotto tutti i vari governi della grande borghesia e proprietari terrieri al servizio dell’imperialismo, “riforma politica” e “assemblea costituente” non sono che nuove versioni della farsa elettorale.
Con tutta la sua impudenza e viltà, e cercando di mantenere una calma olimpica mentre la nave affonda, Dilma, per indorare la pillola di questa marcia democrazia, ha avuto l’insolenza di dire che oggi in Brasile nessuno viene perseguitato per la partecipazione a manifestazioni, proteste e scioperi. Proprio mentre la repressione del vecchio stato arresta, incrimina e condanna i giovani che si ribellano contro questo stato di cose.
Le due manifestazioni, per i loro contenuti, bandiere e rivendicazioni, non difendono gli interessi delle grandi masse lavoratrici, delle città e delle campagne. E neppure l’indipendenza e la sovranità nazionale. L’una, quella governativa, non è andata al di là dei lamenti contro quello che considerano un “rovesciamento” del “pacchetto Dilma”. L’altra si illude che la soluzione sia un cambio di partito al governo.
L’una ha ripetuto la cantilena di sempre della “sinistra” riformista elettorale, che non ha più nulla di sinistra: riformismo di facciata e opportunismo senza fine, completamente impantanata nella sua burocratizzazione. L’altra è stata più che altro una fiera di tipo civico-patriottica, in cui si è ascoltato decine di volte il canto l’inno nazionale e una condanna meramente moralistica della corruzione dilagante. Entrambe sono state elogiate in quanto manifestazioni pacifiche e ordinate.
Facciamo modestamente notare che, a differenza di queste, le manifestazioni del giugno 2013, combattive fin dall’inizio, si articolarono su obiettivi che unificarono e esplosero la rabbia popolare contro banche, multinazionali e, naturalmente, gli edifici che ospitano le marce istituzioni che governano il paese: il parlamento nazionale, le assemblee legislative, i governi Municipali, palazzi governativi e prefetture, oltre che sedi della magistratura e delle forze repressive del vecchio Stato. Nei quartieri popolari, con blocchi stradali, come nelle campane, con la chiusura di autostrade. Ovviamente, quanto più fallirono i tentativi di manipolarle, tanto più i cartelli dei media le bollarono come violente, meritevoli della più brutale repressione e di una crociata mediatico-giudiziaria di criminalizzazione.
Se volessimo fermare il tempo e fissassimo queste manifestazioni, diremmo che quelle giornate del giugno 2013 hanno scosso tutto il vecchio e marcio che c’è nel paese e terrorizzato i ‘potenti’. 
Quelle di oggi scivolano nel pantano e rassicurano e i sacerdoti della falsa democrazia vigente. Apparentemente, le due recenti manifestazioni sono state l’una a favore e l’altra contro il governo in carica. Ma, guardandole più a fondo, accrescono la crisi e instabilità politica e rappresentano un processo di salto nella politicizzazione generale della società, sintomi di una situazione rivoluzionaria che si sta sviluppando nel paese, che non cesseranno tanto presto.
Così come non c’è nulla da difendere dell’amministrazione del PT e di ciò che resta delle bandiere ormai logore e della “Bolsa Familia” e delle meravigliose promesse sulle “Pré-Sal” [le riserve petrolifere scoperte in Brasile], lasciarsi incantare delle sirene del giudizio politico, anche sulle suggestioni golpiste, non cambierà di nulla la situazione delle classi lavoratrici e della dipendenza del paese. Anzi, questo è ciò che ha prodotto il “Fora Collor” [le mobilitazioni politiche del 1992 contro il presidente Fernando Collor de Mello]: il rafforzamento delle illusioni sul sistema vigente, che oggi affondano il paese. Per non dire degli oltre 21 anni di dittatura militare che hanno funestato il paese.
Le forze politiche del paese saranno sempre più messe alla prova dalle crescenti manifestazioni di massa.
Indicazioni degli esempi da seguire vengono dagli insegnanti del Parana, dai netturbini e lavoratori Comperj di Rio de Janeiro e da diverse altre categorie che hanno deciso scioperi combattivi e indipendenti dalle direzioni sindacali gialle e dai partiti elettorali 
Cominciano a farsi sentire gli appelli per uno sciopero generale. Una nuova strada sarà aperta promuovendo le occupazioni di terre, sostenendo con forza il movimento contadino militante che si batte per la rivoluzione agraria e rafforzando l’alleanza operai-contadini.

Compito dei rivoluzionari e dei veri democratici e patrioti è elevare la loro attività politica di organizzazione e propaganda per fondersi con le masse nelle mobilitazioni, sollevando il loro programma di trasformazioni democratiche per rovesciare il dominio della borghesia, dei grandi latifondisti e dell’imperialismo sul nostro eroico popolo e sul nostro paese, per smascherare tutti gli opportunisti della falsa “sinistra” e della destra dichiarata che si adopereranno sempre più, e con l’aiuto del monopolio dell’informazione, per deviare il popolo dall’unica via per realizzare storicamente necessarie ma mai realizzate: la rivoluzione democratica agraria antimperialista.

La rivoluzione popolare per mettere fine al latifondo e dare la terra ai contadini poveri senza o con poca terra, per confiscare tutto il grande capitale e proteggere le piccole e medie proprietà, per spezzare le relazioni di dominio e dipendenza dall’imperialismo e difendere la sovranità e l’indipendenza del paese, per promuovere la cultura nazionale, scientifica e di massa, per destinare tutte le risorse al benessere generale del popolo e alla prosperità della nazione e, infine, per liquidare il vecchio Stato burocratico e genocida e costruire un nuovo Stato democratico-popolare per realizzare la Nuova Democrazia.

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