Cronistoria di fatti e misfatti dell’USB
1. Tutto comincia in Basilicata: l’USB come meteora
Nel luglio 2015, a Venosa (PZ) apre uno ‘sportello migranti’
gestito da USB insieme alla Chiesa Evangelica Metodista. Nel corso
del 2015 diverse compagne della rete Campagne in Lotta incontrano più
volte Aboubakar Soumahoro, membro dell'esecutivo nazionale di USB e
promotore dell'iniziativa a Venosa, per cercare un confronto.
Aboubakar era un membro della mailing list che inizialmente faceva
capo alla rete Campagne in Lotta, prima che, nel 2014, si verificasse
una rottura riguardo all’accettabilità politica dei campi di
lavoro progettati dalla Regione Puglia per la provincia di
Foggia. Nonostante i tentativi di interlocuzione per arrivare a pratiche e lotte condivise, Soumahoro si dimostra sfuggente e il suo atteggiamento lascia intuire che non è intenzionato a collaborare.
Foggia. Nonostante i tentativi di interlocuzione per arrivare a pratiche e lotte condivise, Soumahoro si dimostra sfuggente e il suo atteggiamento lascia intuire che non è intenzionato a collaborare.
Nell’aprile 2016, di concerto con la Regione Basilicata e il comune
di Venosa, l’USB dice di voler attivare uno sportello anche a
Boreano, un borgo abbandonato dove da anni sorge un insediamento
informale di braccianti africani. Nel maggio dello stesso anno, un
incendio distrugge parte dell’insediamento, già decimato da roghi
precedenti. Sempre insieme alla Chiesa Metodista, dopo aver tenuto
già un incontro in regione, l’USB organizza un corteo a Potenza
che si conclude con un tavolo a cui partecipano la Regione stessa, il
Comune di Venosa, la Questura e la Prefettura. Già in quella sede,
i dirigenti USB (tra cui lo stesso Soumahoro) impediscono con uno
stratagemma ad altri soggetti che negli anni si erano occupati della
questione dei braccianti (Osservatorio Migranti Basilicata, Fuori dal
Ghetto ed altri, con cui nell’estate del 2015 l’USB aveva fondato
il coordinamento di associazioni) di partecipare al tavolo. Il 28
giugno, l’USB organizza un altro corteo, con relativo incontro,
perché ritiene che gli accordi con la regione siano stati disattesi
– è stato messo a disposizione un campo della Croce Rossa, ma non
ci sono, a detta di USB, bagni e fornelli sufficienti, e sono vietate
le visite. A fine luglio, le istituzioni procedono allo sgombero del
ghetto di Boreano, a seguito della quale l’USB organizza un’altra
protesta nel mese di agosto.
Dopo aver strappato al Comune di Venosa la promessa dell’iscrizione
anagrafica per chi vive e lavora nelle campagne (ma solo a patto che
viva nel centro di accoglienza), e dopo vari incontri senza nulla di
fatto, una sedicente ‘assemblea nazionale dei lavoratori agricoli’
viene convocata proprio a Venosa. L'USB millanta la presenza di non
meglio specificate delegazioni da tutta Italia. In quella sede, il
verticismo ed il paternalismo del sindacato nei confronti dei
braccianti migranti emergono chiaramente. L’ultimo atto dell'USB in
questo territorio sarà l’ottenimento di una proroga di qualche
mese della permanenza dei braccianti stagionali nel centro di
accoglienza di Venosa, gestito dalla Croce Rossa, dove si erano
verificati gravi abusi e carenze infrastrutturali (segnalate anche
dall’USB). Dopodiché, Soumahoro e il suo sindacato scompaiono
dalla scena, a parte un'unica assemblea ed un incontro al Comune di
Palazzo San Gervasio nell'estate 2017, conclusosi con un nulla di
fatto. In Basilicata ad oggi rimane aperto il solo campo di lavoro in
stile carcerario di Palazzo San Gervasio, adiacente al CPR, nel
silenzio generale. Nessun riferimento ovviamente alle donne che pur
vivono nei ghetti, in Basilicata come in Puglia e in Calabria. Manco
a dirlo, le promesse della Regione circa alloggio, trasporto e
diritti contrattuali rimangono lettera morta, così come la
possibilità per chi non ha un contratto di affitto di ottenere
residenza fittizia.
2. Il silenzio di USB davanti alla protesta dei braccianti della
provincia di Foggia e di Reggio Calabria
A partire da settembre 2015, in provincia di Foggia gli e le abitanti
dei ghetti si organizzano e danno vita ad un importante ciclo di
mobilitazioni, che include un blocco di 9 ore della più grande
fabbrica di trasformazione del pomodoro in Europa. Era l’agosto
2016. Né l’USB né Aboubakar Soumahoro, che è anche una delle
figure di punta della Coalizione Internazionale Sans Papiers e
Migranti, mostreranno mai solidarietà con questa lotta
auto-organizzata che ignorano sistematicamente nonostante ne siano
palesemente a conoscenza, visti tutti i tentativi di interlocuzione
portati avanti in quel periodo. Nell’ottobre 2016, dopo diversi
cortei e presidi grazie ai quali sono state ottenute importanti
vittorie riguardo l'iscrizione anagrafica e i permessi di soggiorno,
gli e le abitanti dei ghetti della Puglia e della Calabria lanciano
una mobilitazione nazionale contro confini e sfruttamento, che
culminerà con un corteo auto-organizzato per le strade di Roma ed un
incontro con il Capo del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione
del Ministero dell’Interno. Nonostante ripetuti inviti, Aboubakar
Soumahoro non parteciperà né alle assemblee né al corteo, a cui
aderiscono diverse realtà da tutta Italia, né si esprimerà in
alcun modo a riguardo. Egli organizzerà però, proprio in quel
periodo, un incontro ‘personale’ al Ministero dell’Interno, con
gli stessi soggetti incontrati dalla delegazione del corteo
autorganizzato.
3. …e il tentativo di usurpare e depotenziare il dissenso, in
Puglia come in Calabria e in Piemonte
Pochi mesi più tardi, nel gennaio 2017, Aboubakar Soumahoro fa il
suo primo ingresso nella Tendopoli di San Ferdinando (RC).
Dimenticati i braccianti della lucania, si concentra su quelli di
Puglia e Calabria, e poi della provincia di Cuneo, sempre con le
stesse modalità.
i. La Calabria
Sin dal principio, nella Piana di Gioia Tauro l’USB si appoggia al
Comune di San Ferdinando, che è responsabile della gestione delle
tendopoli erette nell’Area Industriale a partire dal 2012 –
gestione da sempre criticata dagli abitanti auto-organizzati, che
attraverso le proteste hanno ottenuto piccole ma significative
vittorie a partire dai primi mesi del 2013, sostenute dalla rete
Campagne in Lotta e da altr* solidali. Mentre l’USB inizia le sue
manovre, la mobilitazione auto-organizzata prosegue: il 6 febbraio e
il 22 marzo gli abitanti della Tendopoli di San Ferdinando danno vita
ad altri momenti di protesta, anche in coordinamento con altri
territori. Ancora una volta, tristemente e prevedibilmente, USB tace
e lavora per accaparrarsi il potenziale del dissenso, mentre
Soumahoro si afferma progressivamente come protagonista indiscusso
dei salotti televisivi italiani in quanto presunto portavoce dei
ghetti. Come emergerà chiaramente nel corso dei mesi e degli anni
successivi, la sua presenza e la sua azione risulteranno innocue
quando non dannose alla causa di chi vive in condizioni di grave
sfruttamento, violenza e segregazione.
È solo grazie alla determinazione degli abitanti della Tendopoli che
si aprono tavoli di trattativa con Comune di San Ferdinando,
Prefettura e Questura di Reggio Calabria. Ed è proprio in questo
contesto favorevole che arriva l’USB. Prima intercettando le
persone più abili a parlare offrendo loro soldi e in alcuni casi un
alloggio altrove, come alcuni di loro raccontano. Successivamente,
sostenuti dalle forze dell’ordine e dalle istituzioni, i
sindacalisti hanno iniziato a diffondere il ben noto teorema per cui
fare le manifestazioni da soli è pericoloso poiché si rischia di
perdere i documenti, i solidali sono dei criminali e quindi l’unica
soluzione è farsi guidare da un sindacato. Da questo momento in poi
inizierà un crudele gioco, per cui ai momenti di lotta
autorganizzata degli abitanti della tendopoli seguiranno incursioni
dell’USB volte a placare gli animi e spingere le persone dalla
propria parte.
Ecco quello che è accaduto.
In seguito alla partecipatissima manifestazione
del 6 febbraio, l’USB convoca un’assemblea domenica 26
febbraio nelle stanze del Comune di San
Ferdinando. Scavalcando completamente la lotta autorganizzata degli
abitanti della tendopoli, Aboubakar Soumahoro utilizza quello spazio
per raccontare gli esiti del suo incontro “personale” avuto con
il Ministero dell’Interno sulla condizione dei permessi di
soggiorno delle persone che vivono nelle campagne. Saluta i presenti
con la promessa di verificare insieme al sindaco di San Ferdinando la
possibilità di soluzioni alternative a un ghetto. Sempre di
domenica e nel Comune di San Ferdinando, il 19
marzo Soumahoro ripropone lo stesso
format parlando di vaghe soluzioni abitative e permessi di soggiorno,
e millantando di avere conquistato il rilascio della residenza per
chi vive nelle tendopoli (quando questa in realtà era una conquista
già assodata, ottenuta grazie alla tenacia degli abitanti e
solidali). Viene dato ampio spazio al sindaco che promette case per
tutti. Questa volta è sostenuto anche dai delegati della tendopoli
che oltre a fare eco ai suoi discorsi hanno messo in piedi anche una
rete di spie, pagate, pronte a riferire di ogni assemblea e incontro.
Tant’è che di lì a pochi giorni, il 22
marzo scendono di nuovo in strada per
protestare contro i controlli, le identificazioni e le perquisizioni
a tappeto eseguite nei giorni precedenti nella tendopoli e per le
strade, e per continuare a chiedere documenti, case e contratti per
tutti. Il giorno stesso ottengono un incontro con la Questura, presso
il Commissariato di Gioia Tauro, per discutere nel dettaglio tutte le
problematiche legate ai permessi di soggiorno. La lotta continua e il
13 aprile
gli abitanti della tendopoli organizzano un altro corteo per i
documenti, i contratti di lavoro e le case. Così come il 2
luglio, dopo che un grande incendio ha
distrutto metà tendopoli, per fortuna senza vittime. Questa lotta
rimane inascoltata dalle istituzioni e sedata dall’intervento
congiunto delle forze dell’ordine e dall’USB.
In questo clima si arriva all’annunciato
sgombero della tendopoli, rispetto a cui l’alternativa proposta è
un’altra tendopoli per chi è regolare con i documenti, dotata di
sistemi di riconoscimento biometrici, con regole severe circa
ingressi, uscite, e autonomia personale – insomma un carcere per
lavoratori, le cui condizioni l'USB ha il coraggio di definire
'appena decenti'. Anche in questa occasione i diretti interessati
sono molto chiari e determinati: se l’alternativa alla tendopoli è
una prigione, loro da lì non si muovono. Il 18
agosto, il giorno dello sgombero, la
posizione dell’USB, così come della CGIL, di SOS Rosarno e di
altre associazioni accorse per l’occasione è altrettanto chiara:
persone (italiane) che non si sono mai fatte vedere alla tendopoli,
se non per qualche rara passerella, trascorreranno diverse ore a
convincere le persone, con le promesse e con il ricatto (si
minacciavano infatti gli abitanti che avrebbero perso il domicilio
legale e quindi il permesso di soggiorno), a trasferirsi nella nuova
tendopoli. Alla fine qualcuno andrà e qualcun altro rifiuterà, ma
nessuno se la passerà meglio di prima, anzi le manovre delle
istituzioni e delle sue braccia operative, come l’USB, hanno
contributo a creare un clima di paura e diffidenza reciproche, a
dividere le persone e distruggere le lotte e i percorsi di
autorganizzazione. Aggiungendo a tutto questo il fatto che a tre
solidali sono stati comminati altrettanti fogli di via e una ventina
sono sotto processo per aver partecipato alle mobilitazioni. Ancora
una volta, nessuna solidarietà per questi compagni e compagne –
anzi, ci sarà chi gioisce (a mezzo stampa) dei fogli di via,
calunniando le compagne, come alcuni esponenti di LasciateCIEntrare
ed SOS Rosarno.
Il 2018
invece purtroppo verrà ricordato anche come l’anno dei morti negli
incendi nella tendopoli e non solo. La prima è Becky
Moses, il 27
gennaio. In quell’occasione l’USB,
dopo un silenzio di mesi, convoca una manifestazione in sua memoria.
Gli abitanti del ghetto intanto provano a riorganizzarsi, ma molti
hanno paura, e chi non si arrende è sottoposto a diverse forme di
intimidazione e ricatto. Il
2 giugno è
Soumaila
Sacko ad
essere ucciso, questa volta da una fucilata, perché scoperto a
“rubare delle lamiere”. Questa volta l’intervento dell’USB e
in particolare di Soumahoro è una vera e propria operazione di
marketing. Prima di tutto vengono immediatamente sedati e impediti i
tentativi di rivolta degli abitanti del ghetto. In un attimo Soumaila
diventa ‘il sindacalista dell’USB ucciso dalla malavita’ (cosa
che si rivelerà essere falsa, per stessa ammissione di alcuni
dirigenti dell’USB durante un incontro tenutosi qualche mese dopo
con alcune compagne della rete Campagne in Lotta, per cercare di
comprendere meglio ciò che sta accadendo nella Piana di Gioia Tauro
e non solo) e la sua faccia, come un’icona, compare dovunque. In
nome suo e per la sua famiglia viene attivata una raccolta fondi, e
l'USB incontra il Presidente della Camera invitandolo a visitare le
Tendopoli di San Ferdinando, cosa che farà l'11 giugno, accompagnato
nella sua passerella dalla stessa USB. In quell'occasione, l'USB
esulta per le promesse e le dichiarazioni di Fico, che, manco a
dirlo, rimarranno lettera morta. Il 4
luglio
sarà la volta di Luigi Di Maio, incontrato a Roma da Soumahoro ed
altri, che lo definiscono un 'incontro proficuo'. Anche qui, niente
più che parole e accordi ambigui.
Nel frattempo, Soumahoro
diventa il paladino dei diritti dei lavoratori e della sinistra
italiana, e a quel punto tra la frenesia dei social e la lontananza,
non solo geografica, di luoghi come il ghetto è facile il creare il
mito. Ma se ci si ferma un attimo la farsa è evidente: il
sindacalista “porta avanti la lotta” tra selfie, talk show,
tweet, foto, strette di mano - dei lavoratori neanche l’ombra,
nonostante questi continuino a scendere in strada. Il macabro
teatrino non si ferma nemmeno con la morte di Suruwa
Jaiteh,
avvenuta il 2
dicembre
perché anche la sua tenda è andata in fiamme. Anche questa volta
l’USB non perde l’occasione di utilizzare l’ennesima tragedia
per ribadire la sua presenza.
L’anno nuovo, il 2019,
non vede cessare i tentativi di organizzarsi tra gli abitanti della
tendopoli. La loro vera voce esce fuori, ma i controlli e i
controllori sono tanti. Allo stesso tempo l’USB sta iniziando a
perdere terreno, i lavoratori prendono le distanze perché non vedono
nessun risultato e si sentono presi in giro anche rispetto ai soldi
raccolti in seguito alla morte di Soumaila, che sembrano essere
spariti nel nulla. Soltanto dopo le pressioni degli abitanti delle
tendopoli la famiglia di Soumaila riceverà una parte (piuttosto
esigua rispetto al totale) del denaro raccolto con il crowdfunding.
Il 16
febbraio
le fiamme si portano via Moussa
Ba e l’USB
condanna pubblicamente il sistema dei campi. Peccato che neanche sei
mesi prima cercava di convincere le persone che era meglio vivere in
una tendopoli nuova che in una vecchia. E per meglio ripulirsi la
faccia si unisce al Comitato per il riutilizzo delle case nella Piana
di Gioia Tauro, altro contenitore vuoto che si muoverà tra comizi ed
eventi, che vedranno la partecipazione di altri 'VIP' della sinistra
italiana, senza mai ascoltare e coinvolgere i diretti interessati che
nel frattempo reclamano le case costruite per loro a Rosarno,
completate e mai assegnate, su cui tutti tacciono.
Poche settimane dopo, il 6
marzo,
avverrà il pluriannuciato sgombero della vecchia tendopoli. Il
dispiegamento di forze dell’ordine è senza precedenti per
un’operazione del genere, 1000 uomini, uno per ogni abitante,
elicotteri, ruspe e altro ancora. In questo epilogo del
ghetto quel che resta dell’USB sono le lacrime di coccodrillo
insieme alle associazioni, la CGIL e il Comune: “non doveva andare
così, poveri ragazzi”. Nei giorni e settimane precedenti lo
sgombero, l'USB insieme ad altre associazioni aiutano le forze
dell'ordine nelle operazioni di schedatura degli abitanti della
vecchia tendopoli, propedeutiche alla loro deportazione (con tanto di
numeri affissi ai loro indumenti). Ad oggi chi vive nell’unica
tendopoli rimasta è ancor di più isolato e controllato. Chi ci ha
guadagnato da tutto questo?
ii. La Puglia
Già nell’inverno
del 2016 la locale sezione dell’USB
di Foggia e provincia aveva contattato alcune compagne della rete
Campagne in Lotta, chiedendo un confronto ed una collaborazione alla
luce della loro esperienza sul campo, e stante la scarsa preparazione
dei sindacalisti per loro stessa ammissione. Pur con le riserve del
caso, un primo confronto era avvenuto nel mese di dicembre, e
successivamente le compagne avevano fatto una serie di proposte al
sindacato, senza trovare particolari sponde. Nella notte tra il 2
e il 3 marzo 2017, durante le fasi
finali dello sgombero del cosiddetto ‘Gran Ghetto’, a pochi
chilometri da Foggia, un incendio uccide nelle loro baracche Mamadou
Konate e Nouhou Doumbia. La mattina successiva, una protesta
totalmente auto-organizzata porta diverse centinaia di persone dal
ghetto fin davanti alla Prefettura del capoluogo. Da USB non una
parola in solidarietà alla protesta. Pochi giorni dopo, però, i
suoi dirigenti – tra cui ovviamente Soumahoro stesso –
organizzano in quel che rimane del ghetto un’assemblea, e
rilanciano una nuova data di mobilitazione per l’8
marzo, all’ombra delle bandiere
dell’USB. Appresa la notizia, alcuni compagni della rete Campagne
in Lotta tentano di persuadere i dirigenti locali del sindacato a non
gettare all’aria un anno e mezzo di mobilitazioni e conquiste
strappate da chi si è auto-organizzato, e a continuare su questa
strada in maniera compatta. I dirigenti locali si mostrano favorevoli
all’impostazione e alla proposta, e incoraggiati da questa apertura
alcuni compagni e compagne (abitanti dei ghetti e solidali)
partecipano al corteo dell’USB, dove però i dirigenti nazionali
(Soumahoro e Guidarello) procedono ad ignorarli sistematicamente,
escludendoli dal tavolo in prefettura nonostante gli accordi stretti
in precedenza. Questo comportamento porterà il neo eletto
responsabile agricoltura dell’USB Foggia alle dimissioni. Il
corteo, peraltro, sfrutta la visibilità della mobilitazione
internazionale delle donne esibendo in prima fila la compagine
femminile del ghetto, di cui non si è mai curato né si curerà mai
in futuro.
Da quel momento, in quel che rimane del Gran
Ghetto comincia a circolare la voce secondo cui lo sgombero è
responsabilità delle compagne e dei compagni della rete Campagne in
Lotta, a cui verrà in questo modo negata l'agibilità in quello
spazio, in cui erano presenti dall'estate del 2012 e dove avevano
faticosamente costruito rapporti di fiducia e collaborazione, che
vengono spazzati via dalle calunnie di alcuni, che sfruttano il
comportamento di USB per togliere di mezzo persone a loro scomode e
continuare a mantenere l'egemonia sul ghetto. Intanto, USB inizia
un'aggressiva campagna di tesseramento nel ghetto stesso, ignorando
chi dal ghetto è stato deportato verso i campi di lavoro di San
Severo in cui persistono condizioni di precarietà estrema, anche
relativamente all'ottenimento della residenza. Il 1
maggio, in contemporanea con Reggio
Calabria, si terrà un corteo di braccianti anche a Foggia, ancora
una volta guidato dall'USB e dalle sue bandiere. Ma le condizioni di
vita degli abitanti dei ghetti rimangono drammatiche, e l'USB non
sembra in grado di instaurare alcun tipo di trattativa efficace con
le istituzioni, se non per rivendicazioni minime e decisamente al
ribasso rispetto a quelle delle lotte auto-organizzate. Il 12
maggio l'USB partecipa ad un confronto
con il sindaco di San Severo, comune su cui sorge il Gran Ghetto,
senza che da questo scaturisca alcuna misura per sanare la condizione
di chi vive in quel che resta della baraccopoli. Il 31
luglio, a seguito di un corteo tenutosi
a Bari, l'USB strappa la concessione dell'acqua potabile da parte
della Regione per chi ancora vive nel Gran Ghetto, la cui erogazione
verrà interrotta già dal mese di settembre.
Le contromisure di USB si fanno attendere fino ad ottobre
inoltrato, quando viene annunciato che il caso verrà portato
all'attenzione della FAO (sic!) e che verrà presentato un esposto
contro il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano. Soltanto
il 10 novembre
USB organizza uno 'sciopero' dei braccianti del ghetto che si
concluderà con l'occupazione simbolica della cattedrale di Foggia e
con un appello al Papa. Il giorno successivo l'erogazione di acqua
verrà nuovamente ripristinata, ma le condizioni di chi vive nel
ghetto rimarranno sostanzialmente immutate. Nei mesi seguenti, l'USB
invita europarlamentari, candidati alle elezioni politiche ed altre
figure pubbliche a passerelle all'interno del ghetto, esponendo i
suoi abitanti all'ennesima operazione di mediatizzazione sulla loro
pelle.
Il 16
dicembre,
Aboubakar Soumahoro e la Coalizione Internazionale Sans Papiers e
Migranti organizzano a Roma un corteo 'Fight/Right, Diritti Senza
Confini', a cui porta una delegazione da Foggia e dalla Piana di
Gioia Tauro. Ancora una volta, il corteo non entra nel merito delle
reali questioni legate ai documenti, nell'ottica di un miglioramento
delle loro condizioni, ma si limita ad una serie di proclami.
L'8 marzo 2018, l'USB
dichiara che le donne braccianti del ghetto aderiscono allo sciopero
globale delle donne. Ancora una volta, la condizione femminile viene
strumentalizzata e distorta: quelle che l'USB vuol far passare per
braccianti sono donne impegnate soprattutto nel lavoro di cura, in
molti casi incluso il lavoro sessuale, le cui specificità non
vengono minimamente considerate. In che cosa consisterebbe il
'femminismo' dell'USB?
Il 12 aprile
USB organizza un nuovo corteo a Foggia, con annesso incontro
istituzionale. Ancora una volta, USB rivendica di aver ottenuto
l'iscrizione anagrafica per chi vive nei ghetti, vittoria che in
realtà risale alle lotte auto-organizzate del 2015-16. L'agosto
2018 è un mese tragico per i
braccianti del foggiano: due incidenti stradali si portano via un
totale di 16 lavoratori e ne feriscono molti altri, tutti residenti
nei ghetti della provincia. Un corteo auto-organizzato attraversa le
strade del capoluogo il 7 agosto,
ignorato da compagn* e media a parte i soliti solidali. L'8
agosto, prima del corteo organizzato
dalla CGIL per il tardo pomeriggio, l'USB indice una 'marcia dei
berretti rossi'. Con un atto che definire paternalista ed
irrispettoso ci pare eufemistico, nei giorni precedenti ai braccianti
erano stati regalati cappellini rossi sponsorizzati da una onlus
('Rete Iside') come misura per la loro sicurezza sul lavoro. La
marcia vede la partecipazione di Michele Emiliano, quello stesso che
USB aveva minacciato di denuncia perché aveva ripetutamente
disatteso gli accordi presi in sede di incontro. Al Presidente della
Regione Puglia viene lasciato ampio spazio di parola, che egli si
prende volentieri compiendo un'operazione manipolatoria in piena
regola. Il corteo, dichiara, è in continuità con quello della CGIL.
Da USB nessuna presa di distanza. Ancora una volta le morti di chi
vive sfruttato e segregato vengono strumentalizzate senza scrupolo
alcuno.
Il 3 settembre,
in occasione della visita di Luigi Di Maio a Foggia, un nuovo
presidio auto-organizzato viene convocato sotto alla Prefettura,
pesantemente osteggiato e contenuto dalle forze dell'ordine, mentre
Aboubakar Soumahoro siede al tavolo insieme al Ministro e ne appoggia
il discorso e le proposte, di cui peraltro rivendica la paternità.
Com'è ovvio, nessun riferimento alla protesta, le cui urla
nonostante tutto raggiungono il palazzo. Il 22
settembre, si tiene a Foggia
'l'assemblea nazionale USB sul lavoro agricolo', in cui viene
presentata una 'piattaforma dei diritti e un codice etico'. Nelle
settimane precedenti, l'USB ha più volte rivendicato e sbandierato
l'invito al ministro dell'Agricoltura Centinaio (Lega) e al
Presidente della Regione Puglia Emiliano. Nonostante i fieri
proclami, però, nessuno dei due si presenterà, mentre manterranno
fede all'invito, tra gli altri, l’assessore al Lavoro della Regione
Calabria, Angela Robbe, e il giornalista Gad Lerner. Dopo questo
inutile circo, sulla provincia di Foggia calerà il silenzio
dell'USB, che si guarderà bene dal pronunciarsi sulle manovre di
sgombero cui il governo dà inizio nell'insediamento di Borgo
Mezzanone a partire dal mese di gennaio
2019. Fino a quando non si ripresenta
un'altra 'ghiotta' occasione: la morte in un altro rogo dell'ennesimo
bracciante, il 25 aprile. Anche
in questa occasione, un triste video di Aboubakar Soumahoro
capitalizza e incamera consensi social davanti alle macerie della
baracca dove ha trovato la morte Samara Saho. È questo l'ultimo atto
dell'USB prima dello scippo della lotta auto-organizzata degli e
delle abitanti di Borgo Mezzanone lo scorso 6
giugno, in un contesto in cui la
popolarità di USB al ghetto è andata progressivamente riducendosi,
visti i risultati delle mobilitazioni e le promesse disattese circa i
problemi individuali di documenti di cui USB, e Soumahoro in prima
persona, avevano detto che si sarebbero fatti carico.
iii. Il Piemonte
Sempre nel corso del 2017
l'ambiguo operato dell'USB e di Abou Soumahoro nello specifico arriva
anche nella provincia di Cuneo, altro importante luogo di raccolta
della frutta. Anche qui da anni i lavoratori e le lavoratrici portano
avanti, in totale autonomia e con il sostegno dei solidali, una lotta
per migliorare le proprie condizioni di lavoro e abitative. Durante
quella stagione di raccolta l'intervento dell'USB si limita ad una
serie di proclami e comunicati che non trovano alcun tipo di
riscontro nella vita delle persone che lì vivono e lavorano.
L'anno successivo, il 10
luglio del 2018, non avendo un posto
dove dormire i braccianti decidono in totale autonomia di occupare
un'ex fabbrica, sita in Via Lattanzi a Saluzzo, anche perché in
molti non avevano trovato posto nel dormitorio allestito dal Comune
per la stagione di raccolta (ex caserma Filippi in zona Foro Boario,
gestita dalla Caritas). Puntuale come un predatore arriva l'USB con
il suo sindacalista Abou Soumahoro per mettersi alla guida di un
corteo, che si terrà il 21 luglio
per le strade di Cuneo e che, anche in questo caso, si concluderà
con un nulla di fatto: un incontro in Prefettura del quale non si è
mai saputo nulla. Ad oggi, dopo questo episodio l'USB non ha
proferito parola su quanto accade a Saluzzo.
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