lunedì 10 giugno 2019

pc 10 giugno - La stagione dello schiavismo nelle campagne entra nella sua fase più calda anche nel nord 'leghista'

A Saluzzo le prime avanguardie dei migranti della frutta: dormono in giacigli di fortuna al Foro boario

Operatori e volontari Caritas mobilitati per garantire assistenza in attesa dell’apertura del dormitorio
Sono circa 50. Dormono su cartoni appoggiati sull’asfalto. Come cuscino la borsa con i loro averi: indumenti, il cellulare, la busta dei documenti. Circa la metà dice di avere un contratto di lavoro o di esser stato chiamato dall’azienda. Continua ad aumentare, in questi giorni di inizio giugno, il numero di braccianti agricoli di origine africana che si ritrovano in città per cercare un ingaggio nella raccolta della frutta, in una delle centinaia d’imprese del Saluzzese. Di giorno si vedono in giro in bici. Quando è buio si ritrovano nel viale di via Don Soleri, al Foro boario, per ricavarsi un giaciglio.

«Io lavoro a Villafalletto – spiega un bracciante del Burkina Faso -, ma il capo non ha posto per me e così tutti i giorni vado avanti e indietro in bici e di notte sto qui all’aperto».
Oltre ai servizi diurni come lo sportello informativo e le docce nella sede di corso Piemonte, operatori e volontari Caritas svolgono quasi quotidianamente dei sopralluoghi notturni per portare coperte. L’altra sera ha partecipato alla visita anche il direttore della struttura diocesana, don Beppe Dalmasso. Sono stati forniti ai migranti del cibo e teli di plastica da stendere come ripari in caso di pioggia.
«Alcuni dei datori di lavoro non si occupano della sistemazione abitativa – dice il sacerdote – e così questi braccianti sono costretti a dormire all’addiaccio in questo angolo di città, nel 2019. La Caritas cerca di supportarli per quanto possibile, e i nostri sopralluoghi qui hanno lo scopo di fornire un minimo di conforto. Crediamo fortemente che, a dieci anni esatti dall’inizio di questo fenomeno nella nostra diocesi, la vicinanza a chi ha poco o niente sia indispensabile».
La mattina seguente al sopralluogo di don Dalmasso le forze dell’ordine hanno staccato i teli di plastica dalle ringhiere. Alcuni migranti di queste prime «avanguardie» sono già stati nel Saluzzese negli anni passati. Erano ospitati in centri di accoglienza in giro per l’Italia da cui si sono allontanati, spesso senza sapere dove andare, e si ritrovano a Saluzzo per cercare un impiego temporaneo. Le strutture di accoglienza organizzate dagli enti locali della zona al momento, a differenza dell’anno scorso, sono ancora chiuse. Il Comune di Saluzzo ha attivato le procedure per la riapertura del dormitorio «Pas» (Prima accoglienza stagionali) da 360 posti nell’ex caserma «Filippi», proprio di fronte al viale dove i braccianti stanno bivaccando. La struttura dovrebbe essere attiva nel giro di una settimana o dieci giorni.

Nel paese dei migranti dove il partito del sindaco ha battuto anche la Lega

Il caso di Priero, dove il primo cittadino ha messo a punto una ricetta vincente sull’accoglienza

Piccoli numeri, accoglienza diffusa e gestione pubblica. È la «ricetta» messa in pratica a Priero, piccolo centro del Cebano, dall’Amministrazione guidata dal sindaco Alessandro Ingaria, 42 anni, documentarista, alle spalle esperienze nella cooperazione internazionale. Obiettivo: «Integrare i richiedenti asilo accolti nel “Cas”, Centro di accoglienza straordinaria, nella comunità, trattandoli come persone e non come numeri». Qui, nel paese dominato dall’antica torre medievale, dal 2017 sono stati accolti 6 migranti. Oggi sono 5, alloggiati in un edificio del centro storico, dono di un privato al Comune. «Lo stiamo ristrutturando, e poi rimarrà alla comunità. Anche questa è conseguenza dell’accoglienza», dice il primo cittadino.

Nel piccolo centro, 550 anime in tutto, «all’inizio c’era diffidenza e un po’ di paura - ammette il sindaco -. Poi la gente si è accorta che questi ragazzi “sorridono e salutano” ed ormai nessuno fa più caso a loro, che sono diventati parte della comunità ed ogni giorno fanno piccoli acquisti di pane, latte e riso dalla signora Rosanna, e una volta alla settimana, accompagnati da Giovanni, l’impiegato comunale, vanno a fare la spesa anche a Ceva, a tre chilometri di distanza».

Ma come ci siete arrivati? «Primo di tutto, la gestione pubblica è stata concordata con la popolazione e non imposta. Poi credo sia fondamentale lavorare sui piccoli numeri, con un’accoglienza diffusa su tutto il territorio nazionale. Se le persone sono troppe, il rischio è di creare una sorta di “ghetto”, che non potrà mai integrarsi. E di alimentare così la paura».

Non basta. Secondo il sindaco, per una convivenza che funzioni «bisogna costruire strade differenziate per ogni persona che arriva, riconoscendone le peculiarità. Cosa possibile se si lavora con piccoli gruppi».

A Priero, ad esempio, i 5 richiedenti asilo fanno piccoli lavori, gratuitamente, per il Comune. Ma a questo si affiancano percorsi personalizzati: «Ci siamo accorti che alcuni erano molto interessati al mondo della ristorazione: li abbiamo quindi iscritti a corsi e stage», spiega Ingaria.

«La gestione delle migrazioni è pubblica, nel senso che è competenza dello Stato - precisa il sindaco –. L’aiuto del privato sociale deve essere benvenuto ma non esclusivo».

E i fondi: «Andrebbero assegnati direttamente ai Comuni, che si sono dimostrati più efficienti, reattivi, risolutivi e meno demagogici. Perché un sindaco, quando ha un problema, si impegna a risolverlo, non fa propaganda».

Per il futuro: «Gli sbarchi non si fermano. Nel Cuneese, la Prefettura continua ad avere la necessità di circa 2.000 posti. Ci si chiede quindi di continuare a svolgere il nostro servizio», afferma Ingaria, che auspica «una riforma della legge Bossi-Fini, perchè l’Italia possa lavorare per una migrazione legale, ordinata e premiante. Se i nostri ragazzi non otterranno il visto di rifugiati, saranno costretti all’irregolarità, vanificando così soldi spesi, energie profuse e speranze riposte. La nostra piccola comunità cercherà comunque di aiutarli nei limiti del possibile, affinchè non cadano in un confuso sommerso lavorativo che potrebbe diventare una pericolosa via senza ritorno».          

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