Questa definizione, che mancava nell’elenco delle “qualità” della mafia, si
trova nelle motivazioni della sentenza del giudice che ha condannato Montante a
14 anni. Insomma, si tratta di un bel campione di quelle stesse istituzioni che
devono fare la “lotta alla mafia”!
Qui sotto un interessante articolo che riporta pezzi delle motivazioni
…
Depositate le motivazioni del “sistema Montante” (la
“mafia trasparente”)
13 Ottobre 2019 11:30
Le
motivazioni per la condanna a 14 anni dell’ex Presidente di Sicindustria
parlano di una “mafia trasparente” (noi diremmo: sparsa e “legalizzata”).
“Servendosi degli “accessi abusivi al sistema informatico”, riuscendo a
“ottenere mediante sistematiche azioni di corruzione, notizie segrete” su
“indagini” o sul contenuto “della banche dati della polizia” l’ex leader di
Confindustria Sicilia Antonello Montante “non gestiva potere, ma lo creava” ed “utilizzava il
potere conquistato negli Enti pubblici e privati quale bacino per collocare i
clientes” come “moneta di pagamento per i favori illeciti che questi gli
rendevano“. Sono queste alcune
delle considerazioni che il Gup di Caltanissetta Graziella Luparello ha scritto
nelle 1.724 pagine delle motivazioni della sentenza del processo in cui lo
stesso imprenditore è condannato a 14 anni di reclusione.
“La sistemazione lavorativa
o il trasferimento del pubblico ufficiale di turno, o di parenti o amici di
questi – scrive
il Gup – era la valuta spesa da Montante per remunerare i sodali; una sorta di
ripartizione degli utili prodotti da un’impresa che, con modalità illecite,
creava e gestiva il potere. Infine
Montante era colui al quale va doverosamente riconosciuto il diritto d’autore
sulla nascita dell”Antimafia confindustriale’ quale forma di ‘business’ utile a garantire un
posto ai tavoli che contano”.
“Montante è
stato il motore immobile di un meccanismo perverso di conquista e gestione
occulta del potere che, sotto le insegne di un’antimafia iconografica, ha sostanzialmente
occupato, mediante la corruzione sistematica e le raffinate operazioni di
dossieraggio, molte istituzioni regionali e nazionali”. Così scrive il Gup di
Caltanissetta, Graziella Luparello, nelle motivazioni della sentenza che il 14
maggio scorso ha condannato a 14 anni di carcere l’ex presidente di
Confindustria Sicilia. Montante.
Aveva dato vita “a un
fenomeno che può definirsi plasticamente non già quale mafia bianca, ma mafia
trasparente, apparentemente priva di consistenza tattile e visiva e perciò in
grado di infiltrarsi eludendo la resistenza delle misure comuni” continua il Gup Luparello
“Il
quadro che se ne ricava è in verità abbastanza desolante: quello di un uomo che
di mestiere faceva il ricattatore seriale”, impegnato nella “raccolta incessante
di dati riservati, documenti e registrazioni di conversazioni”. Secondo la
ricostruzione del Gup, Montante aveva compiti di “direzione, promozione e
organizzazione” di un sodalizio di cui hanno fatto parte ufficiali di Polizia,
dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.
“Non può non esprimersi – scrive ancora il Gup – un
giudizio assai severo sul particolare allarme sociale provocato dal sodalizio,
e ciò in ragione della finalità delittuosa ad ampio spettro perseguita: eliminare il dissenso con il ricorso all’uso
obliquo dei poteri accettativi e repressivi statuali, sabotare le indagini che
riguardavano gli associati; praticare la raccolta abusiva di dati personali
riservati, corrompere in maniera sistematica i pubblici ufficiali”. L’ex presidente di Confindustria
– si legge nelle motivazioni del Gup aveva “elaborato un
progetto di occupazione egemonica dei posti di potere”. Si tratta di un
progetto, spiega il Gup, che “era stato condiviso da tutti coloro che traevano
beneficio dalla progressiva attuazione di esso”, i quali, “del resto, non
avevano alcun motivo per rifiutare le varie proposte di carriera, politica,
amministrativa o industriale-associativa che via via, grazie alla innegabile
abilità relazionale di Montante, si presentavano. Un progetto – sottolinea
Luparello – condiviso anche da chi sapeva che Montante era la chiave di accesso
a ministeri, enti pubblici e imprese private per ottenere posti di lavoro,
trasferimento o incarichi di prestigio: Montante non gestiva potere, ma lo
creava”.
E ne creava talmente tanto che, si apprende ancora a pagina 1635 delle
motivazioni del Gup, riusciva a esercitarlo anche quando di mezzo c’era l’ex
responsabile del Viminale, Angelino Alfano. Nel descrivere il ruolo di
Montante, il Gup osserva: “Neppure
l’allora ministro dell’interno Angelino Alfano, come da lui affermato, poteva
permettersi di contraddirlo, e, nell’anno 2013, a sostegno della presunta
“primavera degli industriali”, era stato persino “delocalizzato” il Comitato
nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, che, senza alcun precedente
nella storia della Repubblica Italiana, si era riunito a Caltanissetta:
un’autentica genuflessione istituzionale innanzi a colui che nel 2015, nel
pieno della bufera mediatica per il suo coinvolgimento nell’indagine per mafia,
riusciva persino a farsi rafforzare il servizio di scorta”. Montante era stato
arrestato nel maggio del 2018 con l’accusa di associazione a delinquere
finalizzata alla corruzione. I Magistrati indagavano su presunti legami mafiosi
dell’industriale nisseno ed è così che hanno scoperto la rete di spionaggio che
lo teneva informato in tempo reale degli sviluppi della inchiesta. Lo scenario
aperto dal lavoro dei Pm di Caltanissetta ha fatto emergere connivenze
istituzionali e politiche. Oltre a quello di Montante sono venuti fuori i nomi
di ufficiali delle forze dell’ordine e di politici. Dopo la conclusione
dell’inchiesta, l’industriale ha scelto il processo in abbreviato.
Il sistema: raccomandazioni, favori e pressioni – Durante il processo, i Pm hanno
ricostruito la rete attorno all’ex numero uno degli industriali: vertici delle
Forze di polizia e dei Servizi, Prefetti, imprenditori, giornalisti, magistrati
che a lui si rivolgevano per avanzamenti di carriera. Ognuno aveva una richiesta.
L’inchiesta ha raccontato come l’imprenditore di Serradifalco – paesino in
provincia di Caltanissetta – fosse il destinatario di decine di richieste di
raccomandazione: gli investigatori ne hanno trovate almeno una novantina,
arrivate tra il 2007 e il 2015, e altre 40 di soggetti che erano stati
“certamente” segnalati. L’elenco con nomi e cognomi venne recuperato nel corso delle indagini: un
file excel all’interno delle cartelle ‘curric per sen’ e ‘tutti’; un altro file
denominato ‘curriculum vitae 11.06.12’ trovato nel server ormai dismesso della
società M.s.a. Poi le carte sequestrate sia nell’abitazione di Montante che
negli uffici di Confindustria Sicilia a Palermo.
Gli altri imputati, accusati vario titolo per associazione a
delinquere finalizzata alla corruzione, alla rivelazione di notizie coperte dal
segreto d’ufficio e al favoreggiamento, sono stati condannati quasi tutti:
il colonnello Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di
Finanza di Caltanissetta a 3 anni (la richiesta era di 4 anni e 6 mesi), il
sostituto commissario Marco De Angelis a 4 anni, (chiesti 6 anni e 11 mesi), il
capo della security di Confindustria Diego Di Simone a 6 anni (chiesti 7 anni,
1 mese e 10 giorni), il questore Andrea Grassi è stato assolto da due capi
d’imputazione ma condannato a un anno e 4 mesi per un altro (chiesti 2 anni e 8
mesi). Assolto, come avevano chiesto i Pm, il dirigente regionale Alessandro
Ferrara.
Nella sentenza di condanna di Antonello Montante viene definito “l’ennesimo atto predatorio in danno della
cosa pubblica“, che «si svolgeva
sotto il cono d’ombra di Confindustria Sicilia”. Il riferimento è alla
(mancata) scalata dell’imprenditore di Serradifalco all’Azienda siciliana
trasporti (AST), nella quale Montante era entrato con lo 0,038% delle quote,
una sottoscrizione di poche decine di migliaia di euro che avrebbero garantito
all’ imprenditore nisseno un diritto di prelazione nelle operazioni di
privatizzazione dell’AST. Quell’operazione non si fece. Ma la Regione, proprietaria del 100% di Ast,
sarebbe costretta a pagare – e in parte l’ha già fatto – le parcelle al
professionista che curò all’epoca le perizie per il progetto di fusione tanto caro a Montante. Benedetto
Buccheri (81 anni, ex docente di Ragioneria del “Crispi” di Palermo) ha chiesto
alla direzione generale dell’Ast il «pagamento delle spettanze dovute» per i
«due incarichi» come «esperto per conto del Tribunale di Palermo in occasione
del progetto di fusione». E il conto, per l’azienda regionale, è salato: un «credito
residuo» che «per la sola somma capitale e al netto di interessi e
rivalutazione, come per legge» ammonta a «un importo pari alla somma di circa
euro 200.000». Una cifra, si legge nella richiesta, «al netto degli acconti già
versati» al professionista, «pari a circa euro 60.000» sempre «al netto gli
oneri di legge», s’intende. In una prima comunicazione, del 10 settembre,
Buccheri parla di «debito dovuto come da accordi intercorsi con l’allora
direttore generale», ma in una successiva istanza del 1° ottobre chiede la
«immediata liquidazione delle somme residue discendenti da quanto determinato
dal Tribunale Penale e Civile di Palermo nei due prefati decreti già messi
nelle vostre mani». Il presidente di Ast, Gaetano Tafuri, che per primo nel
2010 denunciò «l’operazione farlocca» di far entrare Montante dentro Ast con lo
0,003% delle quote, non ha «alcuna intenzione di pagare la parcella». E anzi:
ha «chiesto agli uffici una relazione dettagliata sulla somma già corrisposta».
La posizione è netta: «Non tiro fuori un euro. Semmai ci fossero i titoli, del
debito risponderanno gli amministratori e i dirigenti dell’epoca». Con una
certezza sventolata: «Il tempo del saccheggio di Ast è finito». Resta il fatto
che le due perizie sulla fusione “montantiana” di Ast rischiano di costare
quasi 300mila euro. E cioè quanto vale il patrimonio netto di Jonica Trasporti:
295mila euro, di cui 120mila di capitale sociale e 175mila di riserve.
L’azienda, che svolge il servizio di trasporto nella fascia jonica messinese con
18 dipendenti, non naviga in buone acque. E i revisori dei conti stimano una
perdita, a fine 2019, di oltre 200mila euro. A questo punto è la Regione a
dover decidere cosa fare col “socio” Montante. E con le parcelle d’oro, magari
legittime, per le perizie sulla scalata che non si fece. (…)
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