India-Cina: Modi-Xi, continua il dialogo tra due potenze rivali con interessi convergenti
Nuova Delhi, 10 ott 12:00 - (Agenzia Nova) - Con uno
scarno comunicato il ministero degli Esteri di Nuova Delhi ha annunciato
ieri che, su invito del primo ministro dell’India, Narendra Modi, il
presidente della Cina, Xi Jinping, sarà in visita a Chennai, nello Stato
indiano del Tamil Nadu, domani e dopodomani, 11 e 12 ottobre, per il
secondo vertice informale, dopo quello del 27 e 28 aprile 2018 nella
città cinese di Wuhan. Il summit “fornirà ai due leader l’opportunità di
proseguire la loro discussione su questioni generali di rilevanza
bilaterale, regionale e globale e di scambiare opinioni
sull’approfondimento della Closer Development Partnership”. Ancora più
essenziale la nota della portavoce del ministero degli Esteri di Pechino
Hua Chunying, che, nella stessa giornata, ha annunciato l’imminente
viaggio di Xi in India per il vertice informale con Modi e poi in Nepal,
su invito della presidente della Repubblica nepalese, Bidhya Devi
Bandari. In India si stanno completando i preparativi, con imponenti
misure di sicurezza: diecimila agenti saranno schierati nell’area
interessata dall’evento.
Come è consuetudine, trattandosi di un vertice informale, non c’è da attendersi un ordine del giorno ufficiale, una dichiarazione congiunta o la firma di accordi. I leader delineeranno il quadro generale,
per dare l’indirizzo politico ai prossimi sviluppi della relazione. Il programma dei due giorni, comunque, è trapelato sulla stampa indiana. Modi e Xi passeranno insieme circa sette ore complessivamente. I due si vedranno venerdì pomeriggio a Mamallapuram, città costiera a una cinquantina di chilometri da Chennai, per visitare un gruppo di monumenti risalente alla dinastia Pallava, VII-VIII secolo, dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, tra i quali la Penitenza di Arjuna o Discesa del Gange, un bassorilievo scolpito in un unico blocco di granito lungo 29 metri e alto nove, i cinque templi-carri Pancha Rathas e il Tempio della spiaggia. Modi offrirà al suo ospite una cena privata che dovrebbe durare circa 75 minuti; poi Xi pernotterà a Chennai. Il giorno seguente, sabato 12 ottobre, nel giardino di un resort di lusso affacciato sul Golfo del Bengala, si terrà il colloquio a due, con inizio alle 10 e una durata prevista di circa 40 minuti.
Molti i temi all’attenzione di Modi e Xi, leader di potenze concorrenti ma che hanno anche interessi convergenti, tanto più in una fase di rallentamento della crescita economica. L’ambasciatore cinese a Nuova Delhi, Sun Weidong, in un’intervista all’agenzia di stampa “Press Trust of India” (“Pti”), ha osservato che il rapporto India-Cina ha un significato globale e strategico che va al di là della dimensione bilaterale e che dovrebbe evolvere oltre “il modello della gestione delle divergenze” per “promuovere la convergenza degli interessi e conseguire uno sviluppo comune”. “A livello regionale dovremmo risolvere le dispute pacificamente e attraverso il dialogo e la consultazione e sostenere congiuntamente la pace e la stabilità”, ha suggerito il diplomatico. Sun ha minimizzato la questione dei confini, ricordando che “negli scorsi decenni non è stata sparata una sola pallottola” e che, tenendo in considerazione un quadro più ampio, non dovrebbe compromettere il normale sviluppo delle relazioni bilaterali.
L’ambasciatore ha sottolineato che l’incertezza della situazione internazionale costituisce una sfida comune per i due paesi e offre al tempo stesso l’opportunità di rafforzare la solidarietà e la cooperazione. “Sono convinto che la Cina e l’India abbiano la visione e la capacità per tracciare un percorso di sviluppo comune e una cooperazione tra i paesi emergenti vantaggiosa per tutti e per contribuire a costruire una comunità con un futuro condiviso”, ha affermato. Sun si è poi soffermato sull’aspetto commerciale, ricordando che la Cina è il primo partner dell’India e il mercato indiano è il primo dell’Asia meridionale per le esportazioni cinesi; che gli scambi bilaterali hanno raggiunto cento miliardi di dollari; che più di mille compagnie cinesi hanno investito in India, per un totale di otto miliardi di dollari investiti, creando 200 mila posti di lavoro.
Il diplomatico ha esortato, infine, a “dare pieno slancio alle insostituibili indicazioni dei due leader nelle relazioni bilaterali e ad assicurare l’accurata trasmissione e la concreta attuazione del consenso raggiunto”. Effettivamente a Wuhan è stata inaugurata una nuova stagione di dialogo tra le due potenze. In quel primo vertice, secondo un comunicato di Nuova Delhi, Modi e Xi “hanno deciso di rafforzare la Closer Development Partnership a vantaggio di entrambe le parti e in maniera sostenibile, con l’obiettivo della modernizzazione nazionale e di una maggiore prosperità per i loro popoli” e “hanno concordato di intensificare gli sforzi per costruire sulla base delle convergenze attraverso i meccanismi stabiliti al fine di creare la più ampia piattaforma possibile per la futura relazione”.
Inoltre, i due leader hanno “trasmesso un orientamento strategico ai rispettivi vertici militari per potenziare la comunicazione allo scopo di costruire fiducia e comprensione reciproca e aumentare la prevedibilità e l’efficacia della gestione delle questioni di frontiera”; si sono trovati d’accordo sulla “necessità di rafforzare la comunicazione strategica attraverso più frequenti consultazioni sulle materie di comune interesse” e hanno ribadito “l’importanza di costruire un ordine economico globale aperto, multipolare, pluralista e partecipativo”. Tra le sfide globali sono state indicate il cambiamento climatico, lo sviluppo sostenibile, la sicurezza alimentare, la lotta alle malattie, la digitalizzazione, il terrorismo ma anche la riforma delle istituzioni multilaterali finanziarie e politiche, affinché siano “rispondenti alle esigenze dei paesi in via di sviluppo”.
A diciotto mesi di distanza, si può parlare di un avanzamento delle relazioni sino-indiane, che si è tradotto in diverse iniziative. Modi e Xi, dopo Wuhan, hanno avuto altri incontri cordiali a margine di vertici multilaterali e l’organizzazione del secondo summit segnala la volontà di dare continuità al confronto. Si sono svolte riunioni del personale di frontiera dei due paesi in diversi punti lungo la linea effettiva di controllo, la zona di confine contesa, sulla quale insistono 23 “aree di disputa”. Le parti hanno mantenuto una situazione di tranquillità dopo lo stallo del Doklam (Donglang in cinese) dell’estate del 2017, quando le truppe indiane bloccarono per 73 giorni la costruzione di una strada da parte di quelle cinesi sull’altopiano conteso tra il Bhutan, alleato dell’India, e la Cina. Nello “spirito di Wuhan”, si sono poi incontrati anche i ministri della Difesa, impegnandosi a lavorare a un nuovo memorandum d’intesa sugli scambi e la cooperazione di settore per sostituire il protocollo firmato nel 2006. Ha preso il via un programma sino-indiano per la formazione di diplomatici afgani.
Si è tenuta, a Nuova Delhi, la prima riunione di alto livello sulla cooperazione bilaterale di sicurezza, al termine della quale è stato firmato il primo accordo in materia, con l’obiettivo di scambiare informazioni e cooperare nel contrasto al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di droga e alla tratta di esseri umani. I ministeri degli Esteri hanno lanciato il nuovo Meccanismo di alto livello per gli scambi interpersonali. Infine, a maggio di quest’anno, con il decisivo passo fatto dalla Cina, membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che dopo anni di veti ha dato il suo assenso, l’India ha ottenuto che il Comitato sanzioni, su proposta di Stati Uniti, Regno Unito e Francia, designasse come terrorista globale Masood Azhar, fondatore dell’organizzazione pakistana Jaish-e-Mohammad (Jem), già designata come terroristica.
Parallelamente c’è stato anche un avanzamento della strategia indiana per l’Indo-Pacifico. Modi ha illustrato la sua visione in sei punti in un discorso, divenuto un punto di riferimento, pronunciato nel giugno del 2018 allo Shangri-La Dialogue di Singapore. Innanzitutto, Nuova Delhi è per “una regione libera, aperta, inclusiva”. In secondo luogo, mette “il Sud-est asiatico al centro”. Il terzo punto riguarda il metodo: “Il dialogo e un ordine comune basato sulle regole” che riconosca “la sovranità e integrità territoriale, così come l’uguaglianza di tutte le nazioni”. Il quarto elemento è il “pari accesso come diritto, secondo il diritto internazionale, all’uso di spazi comuni sul mare e nell’aria che richiederebbero libertà di navigazione, commerci senza ostacoli e risoluzioni pacifiche delle controversie conformemente al diritto internazionale”. Al quinto punto, Modi ha difeso l’apertura agli scambi globali, contro il protezionismo, e a “parità di condizioni per tutti”. Infine, Modi ha definito “vitale” la connettività, a patto che si basi “sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale, della consultazione, del buon governo, della trasparenza, della fattibilità e della sostenibilità”.
L’enfasi posta sulla dimensione cooperativa è stata apprezzata da Pechino. Tuttavia, benché non sia dichiaratamente contro nessuno in generale né contro la Cina in particolare, la strategia per la regione Indo-Pacifico è chiaramente un tentativo di contenimento della crescente presenza cinese nell’area. Modi ha dato ulteriore impulso ai rapporti col Sud-est asiatico. La relazione bilaterale con l’Indonesia è stata elevata a partenariato strategico globale. L’India, inoltre, ha riconquistato uno spazio di manovra nelle Maldive, dopo la presidenza filocinese di Abdulla Yameen, in seguito all’insediamento del presidente Ibrahim Mohamed Solih. Il cantiere del formato quadrilaterale incentrato sull’Indo-Pacifico, che coinvolge l’India, gli Stati Uniti, il Giappone e l’Australia, si è riunito per la prima volta a livello di ministri degli Esteri. La politica indiana “Act East” ha trovato una consonanza anche nella “New Southern Policy” sudcoreana, che si è manifestata in una “visione condivisa della pace e della prosperità per i popoli dei due paesi” sottoscritta dai leader Modi e Moon Jae-in, presidente della Corea del Sud.
Mentre la Cina è in pieno scontro con gli Stati Uniti sul commercio, anche l’India ha le sue dispute commerciali con gli Usa. L’India è tra i paesi colpiti dalle tariffe statunitensi sull’acciaio e l’alluminio; inoltre, è stata rimossa dalla lista dei beneficiari del Sistema delle preferenze generalizzate (Spg), un programma di esenzione dai dazi; a sua volta ha applicato tariffe aggiuntive su 29 prodotti importati dagli Stati Uniti. Nuova Delhi e Washington stanno trattando per risolvere le controversie. Sostanzialmente, però, la relazione indo-statunitense, che ha il suo pilastro nella difesa, si è rafforzata nell’ultimo anno e mezzo. Il paese asiatico ha ottenuto lo status di partner commerciale strategico Sta-1 (Strategic Trade Authorization-1), salendo allo stesso livello di gran parte degli alleati della Nato, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. È stato poi firmato il Communications Compatibility and Security Agreement (Comcasa), l’accordo per la compatibilità e la sicurezza delle comunicazioni.
L’India ha mantenuto la sua distanza dalla Nuova via della seta o Belt and Road Initiative (Bri), la grande iniziativa di connettività lanciata dalla Cina; anche quest’anno ha rifiutato di partecipare al Belt and Road Forum per la cooperazione internazionale (Brf), a Pechino. Uno dei suoi progetti di punta, il Corridoio economico Cina-Pakistan (Cpec), è la principale causa dell’ostilità indiana, insieme alla competizione per l’influenza nel mondo in via di sviluppo, soprattutto in Africa. Per i rapporti India-Pakistan è un momento particolarmente delicato: l’insediamento del primo ministro pakistano Imran Khan aveva fatto sperare nell’apertura di un dialogo, che invece non c’è stata. A febbraio l’India ha subito il più grave attentato in trent’anni di insurrezione separatista kashmira, rivendicato dall’organizzazione terroristica pakistana Jaish-e-Mohammed (Jem), e ha risposto con un raid aereo in Pakistan, al quale Islamabad ha reagito. Il governo Modi bis, con una maggioranza parlamentare più solida della precedente, si è insediato ponendo come sua priorità la sicurezza.
Ad agosto Nuova Delhi ha revocato lo statuto speciale, ad ampia autonomia, allo Stato di Jammu e Kashmir; ha rivendicato la sovranità della sua decisione in risposta ai tentativi del Pakistan di internazionalizzare la questione e ha rifiutato ogni mediazione, compresa quella statunitense, nel conflitto con Islamabad. Tra le reazioni immediate, quella cinese è stata una delle poche apertamente critiche: la Cina ha definito “inaccettabile” la decisione di revocare lo status speciale, ha invitato l’India a evitare “azioni unilaterali” e ha richiamato al rispetto della Carta delle Nazioni Unite e delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza oltre che degli accordi bilaterali. A pochi giorni dal vertice tra Modi e Xi, Khan è stato a Pechino e in occasione della visita del premier pakistano è stato ribadito, in un comunicato congiunto, il richiamo allo statuto e alle risoluzioni dell’Onu.
Al tempo stesso il ministero degli Esteri cinese ha esortato “l’India e il Pakistan a impegnarsi nel dialogo e nella consultazione su tutte le questioni, inclusa quella del Kashmir”. Il ministero degli Esteri indiano ha risposto che “non compete ad altri paesi commentare gli affari interni dell’India”. Nonostante il sostegno al Pakistan, secondo fonti governative ascoltate dalla stampa indiana è improbabile che il leader cinese Xi sollevi con Modi la questione del Kashmir, mentre c’è da aspettarsi che vengano privilegiati altri temi utili a far avanzare i rapporti bilaterali, come il commercio, gli investimenti e il negoziato per la Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep). Su Hong Kong, c’è da aspettarsi il silenzio: Nuova Delhi non si è mai pronunciata sulle proteste in corso, considerandole un affare interno.
Come è consuetudine, trattandosi di un vertice informale, non c’è da attendersi un ordine del giorno ufficiale, una dichiarazione congiunta o la firma di accordi. I leader delineeranno il quadro generale,
per dare l’indirizzo politico ai prossimi sviluppi della relazione. Il programma dei due giorni, comunque, è trapelato sulla stampa indiana. Modi e Xi passeranno insieme circa sette ore complessivamente. I due si vedranno venerdì pomeriggio a Mamallapuram, città costiera a una cinquantina di chilometri da Chennai, per visitare un gruppo di monumenti risalente alla dinastia Pallava, VII-VIII secolo, dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, tra i quali la Penitenza di Arjuna o Discesa del Gange, un bassorilievo scolpito in un unico blocco di granito lungo 29 metri e alto nove, i cinque templi-carri Pancha Rathas e il Tempio della spiaggia. Modi offrirà al suo ospite una cena privata che dovrebbe durare circa 75 minuti; poi Xi pernotterà a Chennai. Il giorno seguente, sabato 12 ottobre, nel giardino di un resort di lusso affacciato sul Golfo del Bengala, si terrà il colloquio a due, con inizio alle 10 e una durata prevista di circa 40 minuti.
Molti i temi all’attenzione di Modi e Xi, leader di potenze concorrenti ma che hanno anche interessi convergenti, tanto più in una fase di rallentamento della crescita economica. L’ambasciatore cinese a Nuova Delhi, Sun Weidong, in un’intervista all’agenzia di stampa “Press Trust of India” (“Pti”), ha osservato che il rapporto India-Cina ha un significato globale e strategico che va al di là della dimensione bilaterale e che dovrebbe evolvere oltre “il modello della gestione delle divergenze” per “promuovere la convergenza degli interessi e conseguire uno sviluppo comune”. “A livello regionale dovremmo risolvere le dispute pacificamente e attraverso il dialogo e la consultazione e sostenere congiuntamente la pace e la stabilità”, ha suggerito il diplomatico. Sun ha minimizzato la questione dei confini, ricordando che “negli scorsi decenni non è stata sparata una sola pallottola” e che, tenendo in considerazione un quadro più ampio, non dovrebbe compromettere il normale sviluppo delle relazioni bilaterali.
L’ambasciatore ha sottolineato che l’incertezza della situazione internazionale costituisce una sfida comune per i due paesi e offre al tempo stesso l’opportunità di rafforzare la solidarietà e la cooperazione. “Sono convinto che la Cina e l’India abbiano la visione e la capacità per tracciare un percorso di sviluppo comune e una cooperazione tra i paesi emergenti vantaggiosa per tutti e per contribuire a costruire una comunità con un futuro condiviso”, ha affermato. Sun si è poi soffermato sull’aspetto commerciale, ricordando che la Cina è il primo partner dell’India e il mercato indiano è il primo dell’Asia meridionale per le esportazioni cinesi; che gli scambi bilaterali hanno raggiunto cento miliardi di dollari; che più di mille compagnie cinesi hanno investito in India, per un totale di otto miliardi di dollari investiti, creando 200 mila posti di lavoro.
Il diplomatico ha esortato, infine, a “dare pieno slancio alle insostituibili indicazioni dei due leader nelle relazioni bilaterali e ad assicurare l’accurata trasmissione e la concreta attuazione del consenso raggiunto”. Effettivamente a Wuhan è stata inaugurata una nuova stagione di dialogo tra le due potenze. In quel primo vertice, secondo un comunicato di Nuova Delhi, Modi e Xi “hanno deciso di rafforzare la Closer Development Partnership a vantaggio di entrambe le parti e in maniera sostenibile, con l’obiettivo della modernizzazione nazionale e di una maggiore prosperità per i loro popoli” e “hanno concordato di intensificare gli sforzi per costruire sulla base delle convergenze attraverso i meccanismi stabiliti al fine di creare la più ampia piattaforma possibile per la futura relazione”.
Inoltre, i due leader hanno “trasmesso un orientamento strategico ai rispettivi vertici militari per potenziare la comunicazione allo scopo di costruire fiducia e comprensione reciproca e aumentare la prevedibilità e l’efficacia della gestione delle questioni di frontiera”; si sono trovati d’accordo sulla “necessità di rafforzare la comunicazione strategica attraverso più frequenti consultazioni sulle materie di comune interesse” e hanno ribadito “l’importanza di costruire un ordine economico globale aperto, multipolare, pluralista e partecipativo”. Tra le sfide globali sono state indicate il cambiamento climatico, lo sviluppo sostenibile, la sicurezza alimentare, la lotta alle malattie, la digitalizzazione, il terrorismo ma anche la riforma delle istituzioni multilaterali finanziarie e politiche, affinché siano “rispondenti alle esigenze dei paesi in via di sviluppo”.
A diciotto mesi di distanza, si può parlare di un avanzamento delle relazioni sino-indiane, che si è tradotto in diverse iniziative. Modi e Xi, dopo Wuhan, hanno avuto altri incontri cordiali a margine di vertici multilaterali e l’organizzazione del secondo summit segnala la volontà di dare continuità al confronto. Si sono svolte riunioni del personale di frontiera dei due paesi in diversi punti lungo la linea effettiva di controllo, la zona di confine contesa, sulla quale insistono 23 “aree di disputa”. Le parti hanno mantenuto una situazione di tranquillità dopo lo stallo del Doklam (Donglang in cinese) dell’estate del 2017, quando le truppe indiane bloccarono per 73 giorni la costruzione di una strada da parte di quelle cinesi sull’altopiano conteso tra il Bhutan, alleato dell’India, e la Cina. Nello “spirito di Wuhan”, si sono poi incontrati anche i ministri della Difesa, impegnandosi a lavorare a un nuovo memorandum d’intesa sugli scambi e la cooperazione di settore per sostituire il protocollo firmato nel 2006. Ha preso il via un programma sino-indiano per la formazione di diplomatici afgani.
Si è tenuta, a Nuova Delhi, la prima riunione di alto livello sulla cooperazione bilaterale di sicurezza, al termine della quale è stato firmato il primo accordo in materia, con l’obiettivo di scambiare informazioni e cooperare nel contrasto al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di droga e alla tratta di esseri umani. I ministeri degli Esteri hanno lanciato il nuovo Meccanismo di alto livello per gli scambi interpersonali. Infine, a maggio di quest’anno, con il decisivo passo fatto dalla Cina, membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che dopo anni di veti ha dato il suo assenso, l’India ha ottenuto che il Comitato sanzioni, su proposta di Stati Uniti, Regno Unito e Francia, designasse come terrorista globale Masood Azhar, fondatore dell’organizzazione pakistana Jaish-e-Mohammad (Jem), già designata come terroristica.
Parallelamente c’è stato anche un avanzamento della strategia indiana per l’Indo-Pacifico. Modi ha illustrato la sua visione in sei punti in un discorso, divenuto un punto di riferimento, pronunciato nel giugno del 2018 allo Shangri-La Dialogue di Singapore. Innanzitutto, Nuova Delhi è per “una regione libera, aperta, inclusiva”. In secondo luogo, mette “il Sud-est asiatico al centro”. Il terzo punto riguarda il metodo: “Il dialogo e un ordine comune basato sulle regole” che riconosca “la sovranità e integrità territoriale, così come l’uguaglianza di tutte le nazioni”. Il quarto elemento è il “pari accesso come diritto, secondo il diritto internazionale, all’uso di spazi comuni sul mare e nell’aria che richiederebbero libertà di navigazione, commerci senza ostacoli e risoluzioni pacifiche delle controversie conformemente al diritto internazionale”. Al quinto punto, Modi ha difeso l’apertura agli scambi globali, contro il protezionismo, e a “parità di condizioni per tutti”. Infine, Modi ha definito “vitale” la connettività, a patto che si basi “sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale, della consultazione, del buon governo, della trasparenza, della fattibilità e della sostenibilità”.
L’enfasi posta sulla dimensione cooperativa è stata apprezzata da Pechino. Tuttavia, benché non sia dichiaratamente contro nessuno in generale né contro la Cina in particolare, la strategia per la regione Indo-Pacifico è chiaramente un tentativo di contenimento della crescente presenza cinese nell’area. Modi ha dato ulteriore impulso ai rapporti col Sud-est asiatico. La relazione bilaterale con l’Indonesia è stata elevata a partenariato strategico globale. L’India, inoltre, ha riconquistato uno spazio di manovra nelle Maldive, dopo la presidenza filocinese di Abdulla Yameen, in seguito all’insediamento del presidente Ibrahim Mohamed Solih. Il cantiere del formato quadrilaterale incentrato sull’Indo-Pacifico, che coinvolge l’India, gli Stati Uniti, il Giappone e l’Australia, si è riunito per la prima volta a livello di ministri degli Esteri. La politica indiana “Act East” ha trovato una consonanza anche nella “New Southern Policy” sudcoreana, che si è manifestata in una “visione condivisa della pace e della prosperità per i popoli dei due paesi” sottoscritta dai leader Modi e Moon Jae-in, presidente della Corea del Sud.
Mentre la Cina è in pieno scontro con gli Stati Uniti sul commercio, anche l’India ha le sue dispute commerciali con gli Usa. L’India è tra i paesi colpiti dalle tariffe statunitensi sull’acciaio e l’alluminio; inoltre, è stata rimossa dalla lista dei beneficiari del Sistema delle preferenze generalizzate (Spg), un programma di esenzione dai dazi; a sua volta ha applicato tariffe aggiuntive su 29 prodotti importati dagli Stati Uniti. Nuova Delhi e Washington stanno trattando per risolvere le controversie. Sostanzialmente, però, la relazione indo-statunitense, che ha il suo pilastro nella difesa, si è rafforzata nell’ultimo anno e mezzo. Il paese asiatico ha ottenuto lo status di partner commerciale strategico Sta-1 (Strategic Trade Authorization-1), salendo allo stesso livello di gran parte degli alleati della Nato, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. È stato poi firmato il Communications Compatibility and Security Agreement (Comcasa), l’accordo per la compatibilità e la sicurezza delle comunicazioni.
L’India ha mantenuto la sua distanza dalla Nuova via della seta o Belt and Road Initiative (Bri), la grande iniziativa di connettività lanciata dalla Cina; anche quest’anno ha rifiutato di partecipare al Belt and Road Forum per la cooperazione internazionale (Brf), a Pechino. Uno dei suoi progetti di punta, il Corridoio economico Cina-Pakistan (Cpec), è la principale causa dell’ostilità indiana, insieme alla competizione per l’influenza nel mondo in via di sviluppo, soprattutto in Africa. Per i rapporti India-Pakistan è un momento particolarmente delicato: l’insediamento del primo ministro pakistano Imran Khan aveva fatto sperare nell’apertura di un dialogo, che invece non c’è stata. A febbraio l’India ha subito il più grave attentato in trent’anni di insurrezione separatista kashmira, rivendicato dall’organizzazione terroristica pakistana Jaish-e-Mohammed (Jem), e ha risposto con un raid aereo in Pakistan, al quale Islamabad ha reagito. Il governo Modi bis, con una maggioranza parlamentare più solida della precedente, si è insediato ponendo come sua priorità la sicurezza.
Ad agosto Nuova Delhi ha revocato lo statuto speciale, ad ampia autonomia, allo Stato di Jammu e Kashmir; ha rivendicato la sovranità della sua decisione in risposta ai tentativi del Pakistan di internazionalizzare la questione e ha rifiutato ogni mediazione, compresa quella statunitense, nel conflitto con Islamabad. Tra le reazioni immediate, quella cinese è stata una delle poche apertamente critiche: la Cina ha definito “inaccettabile” la decisione di revocare lo status speciale, ha invitato l’India a evitare “azioni unilaterali” e ha richiamato al rispetto della Carta delle Nazioni Unite e delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza oltre che degli accordi bilaterali. A pochi giorni dal vertice tra Modi e Xi, Khan è stato a Pechino e in occasione della visita del premier pakistano è stato ribadito, in un comunicato congiunto, il richiamo allo statuto e alle risoluzioni dell’Onu.
Al tempo stesso il ministero degli Esteri cinese ha esortato “l’India e il Pakistan a impegnarsi nel dialogo e nella consultazione su tutte le questioni, inclusa quella del Kashmir”. Il ministero degli Esteri indiano ha risposto che “non compete ad altri paesi commentare gli affari interni dell’India”. Nonostante il sostegno al Pakistan, secondo fonti governative ascoltate dalla stampa indiana è improbabile che il leader cinese Xi sollevi con Modi la questione del Kashmir, mentre c’è da aspettarsi che vengano privilegiati altri temi utili a far avanzare i rapporti bilaterali, come il commercio, gli investimenti e il negoziato per la Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep). Su Hong Kong, c’è da aspettarsi il silenzio: Nuova Delhi non si è mai pronunciata sulle proteste in corso, considerandole un affare interno.
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