Crisi economica mondiale: per i padroni e i loro
scribacchini è diventata un mistero…
Professoroni ed economisti (gli ideologi del capitalismo) confessano
da tempo di non capirci più niente: il salario per esempio è diventato un
“enigma”: se aumenta la produzione, dicono, deve aumentare l’occupazione e
quindi i salari. E invece è tutto al contrario. E questo accade anche in paesi
come gli Stati Uniti, dove, dicono loro, l’economia negli ultimi anni è
cresciuta. Questo articolo che riproduciamo del Sole 24 Ore di cui sottolineiamo
alcune frasi, è un esempio della loro confusione, perché tra l’altro i loro
stessi dati sono contraddittori.
Riassumiamo subito alcuni passaggi.
I salari sono fermi. Per il sindacato americano Uaw sono
addirittura in calo.
Si perdono posti di lavoro nella grande industria (che loro
chiamano manifattura).
I posti di lavoro che si “creano” sono solo nella sanità e
nella cosiddetta gig-economy, cioè lavoretti ultra precari come la consegna di
cibo, pacchi ecc., i rider, cioè i fattorini di una volta, insomma.
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Sanità, gig-economy: negli Usa cresce il lavoro, non gli
stipendi
C’è chi lo chiama l’enigma dei salari. I compensi dei
lavoratori americani, nell’insieme, sono in affanno. Continuano a faticare a
tenere il passo con il costo della vita, anche dopo dieci anni di espansione e
108 mesi di crescita negli impieghi. Dopo una marcia che, se rallenta il passo,
ha schiacciato il tasso ufficiale dei senza lavoro ai minimi da 50 anni, al
3,5%, in settembre. Quello stesso mese ha però tradito anche l’inquietudine salariale:
le paghe orarie sono rimaste ferme rispetto ad agosto - anzi diminuite di un
centesimo - e il più rilevante andamento nei dodici mesi ha mostrato un
aumento del 2,9%, il più debole da oltre un anno.
IL NODO DEI SALARI
Combinato con un declino nei posti di lavoro
manifatturieri, tra i meglio remunerati, fa presagire le sfide davanti a un’economia
appesantita da fragilità globali e conflitti commerciali: ombre sui redditi
delle famiglie minacciano i consumi, pari a due terzi del Pil, che hanno già
sofferto flessioni nella fiducia il mese scorso e incrementi minimi nella spesa
dello 0,1% in agosto.
È un ristagno, quello salariale, che ha molteplici radici.
Gli analisti sottolineano che un’attenta lettura riserva sorprese positive.
Affiorano progressi in particolare nelle fasce più deboli: i dipendenti in
mansioni di produzione e non manageriali sono reduci da un incremento annuale
pari al 3,5%, vicino a recenti massimi del 3,6% (seppur dopo anni di guadagni
doppi rispetto alla media concentrati nel 5-10% meglio remunerato). E in parte
la debolezza potrebbe essere spiegata, indicano gli economisti di Evercore Isi,
dalla capacità di una longeva espansione di attirare adesso sul mercato del
lavoro anche americani marginalizzati e con scarse qualifiche. Potrebbero
inoltre influire, stando a Jefferies necessarie evoluzioni demografiche: il
pensionamento della generazione dei baby boomers lascia posti a dipendenti più
giovani e meno pagati.
Resta tuttavia la frenata evidenziata dall’insieme dei
compensi, con pressioni nei comparti più diversi, dai servizi d’informazione al
commercio, dalle utilities alle finanza. E rimane una debole tendenza di
più lungo termine, dopo picchi agli inizi del 2019 che avevano fatto sperare in
riscatti. I salari reali, tenuto conto dell’inflazione, sono lievitati ancor
meno nel corso dell’ultimo anno, in media dell’1,2 per cento. Altre forze
profonde potrebbero essere qui all’opera: da ipotesi di “stagnazione
secolare” e frenate nella produttività, a globalizzazione e rivoluzioni tecnologiche,
con l’avanzata di servizi e “gig-economy” che rendono più precario il lavoro.
Nel mirino sono pratiche monopolistiche e anti-concorrenziali in nuove
industrie quali l’hi-tech. E l’arretramento del sindacato, che
rappresenta solo il 6% dei lavoratori nel settore privato.
Il comparto che più ha trainato la creazione di buste
paga, non a caso, il mese scorso è risultato l’assistenza sanitaria, circa
40mila nuovi impieghi, segnato da sacche di bassi compensi. Il manifatturiero,
già in contrazione, ha invece perso duemila impieghi e da gennaio ne ha
creati 41mila contro 188mila l’anno scorso, dando crescente eco alle
preoccupazioni sui salari.
Il chairman della Federal Reserve Jerome Powell ancora in
estate ha lamentato la scarsa “risposta” dei salari all’espansione. Un
raro sciopero è scattato a General Motors per aumenti e garanzie
occupazionali: il sindacato Uaw denuncia che dal 2009 i dipendenti hanno
perso potere d’acquisto, pagati 30 dollari l’ora contro i 33 necessari a
preservarlo. E in politica, dopo campagne di successo per alzare il salario
minimo, uno dei principali candidati alla nomination del partito democratico
per la Casa Bianca, Elizabeth Warren, ha presentato una proposta dedicata a
diritti e salari dei lavoratori.
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