Riprendiamo la questione della attualità del testo di Marx "Salario prezzo e profitto" per orientare soprattutto gli operai in una visione giusta, di classe, autonoma dalle vulgate che esistono, dato che oggi ce ne sono tanti di “cittadini Weston”.
Per esempio, rispetto alla istituzione di un salario minimo – di cui parla il governo - ci sono alcune posizioni, anche di “sinistra”, che lo criticano non perché sarebbe un intervento che, se beneficerebbe al massimo alcuni settori del precariato dei servizi che sono sotto i € 9 l’ora (cifra di cui si parla), costituirebbe invece un abbassamento per i settori delle fabbriche che invece hanno conquistato un salario maggiore, ma perchè, dicono, questo aumento dopo pochissimo tempo, al massimo 1 o 2 anni, verrebbe rimangiato dall’aumento generale dei prezzi, aumento degli affitti, ecc. e quindi, in ultima analisi, non porterebbe nessun beneficio.
Queste argomentazioni in un certo senso riproducono quelle che faceva Weston, criticato da Marx, che ponevano in relazione diretta gli aumenti del salario con gli aumenti dei prezzi senza considerare invece, come Max spiega nel suo testo, che il salario incide non sui prezzi ma sui profitti, sul saggio di profitto. Quindi il rapporto è tra salari e profitti: se aumentano i salari si riducono i profitti se diminuiscono i salari aumentano i profitti. Non c’è invece alcun rapporto strutturale con l’aumento dei prezzi.
Marx nella seconda parte di questo scritto, spiega in maniera molto chiara, semplice sia questo rapporto sia che cosa è in realtà il salario. Vogliamo sottolineare alcune parti.
Marx dice che di fronte alla tendenza del capitale di introdurre macchinari con conseguente aumento della produttività e abbassamento del valore della forza-lavoro e quindi del salario, gli operai, opponendosi con la lotta per aumenti salariali corrispondenti alla maggiore intensità del lavoro,non fanno niente altro che opporsi alla svalutazione del loro lavoro e alla degenerazione della loro razza.
E aggiunge: se durante le fasi di prosperità, allorché si realizzano extra-profitti, l'operaio non ha
lottato per un aumento dei salari, non riuscirà certamente nella media di un ciclo industriale a mantenere neppure il suo salario medio, cioè il valore della sua forza-lavoro.
Così Marx spiega bene come la lotta per aumenti salariali è di fatto una lotta di recupero di un salario che il capitale con i suoi interventi ha già abbassato. Quindi se il l'operaio non facesse questa lotta non è solo non avrebbe un aumento del salario ma vedrebbe il suo salario ulteriormente diminuito.
Qual'è – dice Marx - il minimo del salario? Il minimo dipende dal limite fisico dell'operaio che a un certo punto deve fermarsi per ricostituire le proprie forze. Dunque non può andare sotto questo limite minimo ma si può avvicinare di molto a questo limite, mentre il profitto non ha un limite massimo ma tende sempre ad aumentare.
Marx, quindi, spiega in maniera molto chiara e semplice in che cosa consiste il salario, come viene quantificato, dimostrando ulteriormente che esso non ha a che fare con l'aumento o la diminuzione dei prezzi.
Marx spiega che l'operaio non vende direttamente il suo lavoro ma la sua forza-lavoro che egli mette temporaneamente a disposizione del capitalista. Però che succede? “Comperando la forza lavoro dell'operaio e pagandone il valore, il capitalista, come qualsiasi altro compratore, ha acquistato il diritto di consumare o di usare la merce che egli ha comperato. Si consuma o si usa la forza lavoro di un uomo facendolo lavorare, allo stesso modo che si consuma o si usa una macchina mettendola in movimento". Comperando il valore giornaliero o settimanale della forza lavoro dell'operaio il capitalista ha dunque acquistato il diritto di fare uso della forza lavoro cioè di farla lavorare per tutto il giorno e per tutta la settimana. L’uso di questa forza lavoro trova un limite soltanto nelle energie vitali e nella forza fisica dell'operaio.
Ma una cosa è l'uso della forza-lavoro che il capitalista fa e che cerca di estendere, o aumentando la giornata lavorativa o elevando la produttività e intensificando il lavoro dell'operaio, altra cosa è il valore della forza-lavoro. Il valore è determinato dalla quantità di lavoro necessaria per la sua conservazione o riproduzione. Quindi il salario è il pagamento che il capitalista fa all'operaio perché l'operaio possa comprare quei beni necessari per ripresentarsi il giorno dopo a lavorare.
Ma solo una parte del tempo di lavoro di una giornata compensa il salario pagato dal capitalista per la forza lavoro dell’operaio, il resto dell’uso che il capitalista fa nella giornata di quella forza-lavoro è lavoro gratis per il capitalista!
Nel valore di una merce è incorporato il valore del lavoro fatto dagli operai. Il valore di una merce è determinato dalla quantità totale di lavoro che essa contiene. Per una parte di questa quantità di lavoro è stato pagato un equivalente in forma di salario, per un'altra parte non è stato pagato nessun equivalente. Una parte del lavoro contenuto nella merce è lavoro pagato, un'altra parte è lavoro non pagato.
Perciò, quando il capitalista vende la merce al suo valore, cioè secondo la somma totale di lavoro in essa cristallizzato e impiegato per la sua produzione, egli non vende soltanto ciò che gli è costato un equivalente ma vende anche ciò che non gli è costato niente, quantunque sia costato lavoro per il suo operaio.
Questo spiega perchè gli aumenti dei salari sono sempre in rapporto a questo uso che il capitalista fa dell'operaio. Se, poniamo, il prezzo di una merce è 100, di questo 100, metà, 50, è per pagare il salario dell'operaio e 50 è gratis, è il profitto del capitalista; quando questo rapporto varia, se per esempio l'operaio con la sua lotta riesce a ottenere 60, il profitto è 40. Cioè l’aumento del salario non incide sui prezzi delle merci ma incide sul saggio di profitto, sulla quantità di profitti.
Chiaramente poi il capitalista ha una serie di mezzi con cui riprendersi quell’aumento, o con l’aumento della giornata lavorativa o con l’aumento dell’intensità del lavoro, o una combinazione di tutte e due questi aspetti per far tornare il saggio a 50 o addirittura far passare il profitto a 60 e diminuire il salario all'operaio a 40.
Ma questo, ripete Marx, è indipendente dalle oscillazioni dei prezzi che invece dipendono, questi sì, dalla domanda e dall'offerta. Benchè anche queste oscillazioni, spiega Marx, siano abbastanza temporanee, perché nel momento in cui si alzano i prezzi di una produzione, altri settori di capitalisti vedono più conveniente buttarsi su quell'altra produzione, ma a questo punto domanda e offerta si equilibrano di nuovo e anche l'aumento dei prezzi viene riassorbito.
Ma, ripetiamo, le due cose, salari e prezzi, sono indipendenti e quindi è giustissimo fare la lotta per gli aumenti salariali, perché in un certo senso è la lotta principale di classe nello scontro tra operai e capitale, perché è lì che c'è la lotta tra il capitale che vuole sempre aumentare l'uso della forza lavoro diminuendo il pagamento all'operaio e l’operaio che vuole non farsi abbassare il salario. Tant’è che Marx conclude che se la classe operaia cedesse per viltà nel suo conflitto quotidiano con il capitale si priverebbe essa stessa della capacità di intraprendere un qualsiasi movimento più grande.
Proprio perché la lotta per il salario mostra la contraddizione di fondo della società capitalista, lo sfruttamento da parte del capitale. Allora non fare questa lotta vuol dire rinunciare a una lotta più generale contro il sistema del capitale. La classe operaia non deve dimenticare che deve lottare non solo contro gli effetti ma anche contro le cause che determinano questi effetti.
La lotta sindacale, assolutamente necessaria per non arretrare a uno stadio quasi schiavistico, interviene sugli effetti del rapporto capitale-operai, non può intervenire sulle cause. Per intervenire sulle cause, dice Marx, la classe operaia deve comprendere che il sistema capitalista, con tutte le miserie che accumula sulla classe operaia, genera allo stesso tempo le condizioni materiali e le forze sociali necessarie per una ricostruzione economica della società, dove invece della parola d’ordine conservatrice “un equo salario per una equa giornata di lavoro”, gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: “soppressione del sistema salariato”.
Ma per questo è necessaria l’arma della lotta politica e anche dell'organizzazione politica degli operai che possa portare avanti questa lotta e unire la classe operaia.
Chi vuole togliere agli operai il terreno di una genuina lotta sindacale, di una lotta per aumenti salariali per riprendersi quanto è già stato attaccato, ridotto, di fatto vuole la permanenza del lavoro salariato, la permanenza di questo sistema. Senza questa lotta è come se gli operai non hanno la base per una lotta più generale. E le basi sono anche l’unità degli operai nella lotta, le “prove” che la classe operaia fa dello scontro con i padroni e anche con il governo, con lo Stato che interviene per reprimere.
Nessun commento:
Posta un commento