«Caporalato e sfruttamento» Commissariato il re della logistica
La Procura di Milano e la Sezione misure di prevenzione del Tribunale adottano una clamorosa iniziativa: l’amministrazione giudiziaria per la Ceva Italia, ramo della multinazionale da 7 miliardi l’anno di fatturato, leader nazionale nello spostamento merci
di Luigi Ferrarella
Ma chi mai poteva immaginare che facessero queste brutte cose mentre facevano lavorare la gente per noi? Dicono sempre così, dicono tutte così le aziende che - al riparo formale di contratti di somministrazione di lavoro con cooperative capofila che le manlevano dai contenziosi e che sulla carta assicurano rispetto delle regole verso i lavoratori - aumentano la propria produttività nella logistica facendo finta di non sapere che in realtà la poggiano sul caporalato organizzato: su «un carosello di società cooperative per occultare un regime di sopraffazione retributivo» ai danni di
«lavoratori costretti a ritmi gravosi, straordinari imposti sotto continua minaccia di licenziamento, omesso versamento di contributi, retribuzione difforme dalle ore davvero lavorate (anche 11 al giorno)».
Di solito, quando le coop vengono messe in liquidazione e fatte fallire vuote, col travaso dei lavoratori da una all’altra, ci rimette solo qualche testa di legno. Ma adesso la Procura di Milano e la Sezione misure di prevenzione del Tribunale adottano una clamorosa iniziativa che, puntando un colosso della logistica, suona la campana per tutti gli altri che fanno finta di niente. Il Tribunale ieri ha infatti ordinato l’«amministrazione giudiziaria» (cioè ha assunto il controllo societario tramite un proprio nominato amministratore) della Ceva Logistic Italia srl, ramo della multinazionale da 7 miliardi l’anno di fatturato, leader nazionale nello spostamento merci, 1.400 dipendenti e 75 sedi, compresa l’innovativa «Città dei libri», cioè gli 80 mila metri quadrati a Stradella (Pavia) dove per le aziende dell’editoria vengono movimentati più di 100 milioni di libri.
L’amministrazione giudiziaria è una «misura di prevenzione» (fuori dal circuito penale) che il Tribunale può adottare quando abbia «sufficienti indizi» per ritenere che il libero esercizio di un’attività d’impresa agevoli colposamente un reato, come in questo caso l’intermediazione illecita e lo sfruttamento di manodopera. Nel caso di Ceva Logistic, il pm milanese Paolo Storari (anche sulla base di un processo di Pavia) ha lavorato sull’interposizione di numerose filiere di cooperative legate tra loro da una serie di contratti a cascata, benché l’utilizzatore finale Ceva avesse un solo contratto e un solo interlocutore: la Premium Net, società consortile di lavoro in outsourcing, che in Italia fa lavorare 10.000 persone e che «tra i propri clienti» ha anche «Tim, Wind, Johnson&Johnson, Buffetti, Lavazza, Daikin, Henkel, Rcs, Il Sole 24 Ore e altri».
Nel 2016 Premium Net ha fatturato a Ceva 26 milioni di euro, nel 2017 oltre 47 milioni. E i magistrati elencano gli elementi dai quali traggono la convinzione che Ceva fosse «consapevole che Premium Net offriva ai propri clienti prezzi molto al di sotto di quelli necessari a coprire soltanto i costi diretti delle stesse commesse, risultando quindi “obbligata” ad abbassare i “costi reali” della componente lavoro molto al di sotto di quella scaturente dalla corretta applicazione del contratto collettivo nazionale».
Che da parte di Ceva vi sia stata «assenza di necessaria vigilanza» o «atteggiamento di condivisione o quantomeno di quiescenza ad una situazione pacificamente preventivata», comunque questo far finta di niente è stato molto profittevole ad avviso dei magistrati, che calcolano come la corretta applicazione delle norme avrebbe fatto addebitare 22 milioni di costi in più ai clienti di Premium Net, specie per le commesse svolte nei confronti di Ceva, oltre al mancato guadagno. Ora il Tribunale «dentro» l’azienda opererà «affinché il sottile e a volte compresso binario di perseguimento del legittimo profitto nella legalità del lavoro non venga alterato univocamente a favore del profitto aziendale con la conseguente rilevante compressione della dignità dei lavoratori».
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