LA LETTERA:
Sono
stata un’insegnante precaria (diplomata magistrale, II fascia di
Istituto), negli ultimi anni della mia vita. Più di un decennio,
ormai.
Ho
cominciato a lavorare nelle scuole primarie statali nell’Anno
Scolastico 2006/07, nella provincia di Bologna. Dall’A.S. 2011/12
ho trasferito il mio servizio presso la provincia di Torino. Ho
lavorato con continuità, cambiando ogni anno scuola e mansione fino
al 2016/17, anno nel quale sono stata immessa in ruolo.
Ho
sostenuto l’Anno di Prova presso l’Istituto Comprensivo di
Montanaro (To). Ho superato la Commissione di Valutazione finale e ho
ottenuto il “posto fisso” (qualcuno direbbe…); io ero contenta
perché finalmente, dopo anni di precariato, potevo vantare la
“privilegiata” condizione di lavoratrice a tempo indeterminato!
Che tra l’altro nel caso specifico, nel caso cioè della categoria
professionale dell’insegnamento, sarebbe o dovrebbe (ahinoi!),
essere cosa non soltanto scontata, ma tangibile ed effettiva… La
continuità è connaturata al mestiere dell’insegnamento. Esso non
può essere reso, ridotto, nei fatti, ad un ammortizzatore sociale,
atto a convogliare in questa sorta di “Limbo Occupazionale”
migliaia di persone… In tutto il Paese. Scuola per Scuola. Istituto
per Istituto… In questa interminabile (e delirante!) attesa del
posto fisso… Appunto! Da anni… Per anni.
Per
l’A.S. successivo (2017/2018), chiedo ed ottengo (in avvicinamento
alla mia città di residenza), il trasferimento all’I.C. Leonardo
Da Vinci/Pablo Neruda, di Torino.
Il
22 febbraio del 2018, in città (To), era previsto (in vista delle
elezioni governative del 4 marzo) un comizio elettorale. Candidato
premier: Simone di Stefano, esponente del gruppo di estrema destra
casapound, apertamente afferente al fascismo e parecchio nostalgico
del Ventennio Mussoliniano.
Io,
quella stessa sera, sarei dovuta partire, insieme al altre centinaia
di mie colleghe, maestre elementari, (con diploma di Istituto
superiore Magistrale), alla volta della Capitale, Roma.
Era
indetto per il 23 febbraio 2018 un grosso sciopero nazionale di
comparto (scuola).
Forti
tiravano i venti della Protesta tra la categoria, anche a causa di
una vertenza che riguardava (e riguarda ancora!) migliaia di
lavoratrici/tori/ in merito alla regolarizzazione di migliaia
di lavoratrici e lavoratori (maestre/i/ con diploma Magistrale).
Ad
ogni modo, saputo solo qualche sera prima che questo indecente
personaggio, Simone di Stefano, sarebbe venuto nella mia città a
vomitare politiche di odio, chiedendo voti, atti a permettergli di
penetrare le fondamenta portanti della nostra Repubblica, mi sono
sentita in dovere (il mio spirito Antifascista me lo imponeva) di
rimanere.
I
fatti successivi li conosciamo tristemente tutti… Non mi dilungo.
Ad
ogni modo a parer mio: sia la mia persona, che la città di Torino
tutta, ridotta quella sera (ad un corteo Antifascista indetto
all’indomani della strage di Macerata, strage di stampo xenofobo,
per mano di un affiliato di casapound, nonché candidato consigliere,
alle comunali del suo paese, con la LegaSalvini) a meno di un
migliaio di persone, abbiamo fornito alla Campagna Elettorale ottimi
spunti di propaganda:
il
male assoluto di questo paese è l’ANTIFASCISMO! Ad
oggi ne vediamo le conseguenze…
A seguito di quella manifestazione io vengo denunciata e viene fatto dal Ministero della Pubblica Istruzione un decreto di destituzione
Sulla
sentenza di Primo Grado di Giudizio, pronunciata dal Tribunale di
Torino (sez. Lavoro), nella persona del giudice Mauro Mollo,
riguardante il ricorso avverso il decreto di destituzione inflittomi
dal ministero della pubblica istruzione, che io avevo mosso nel
dicembre scorso, davvero ho ancora difficoltà a credere che sia
potuta andare cosi: il giudice rigetta il mio ricorso sostenendo che
la pena inflitta dal datore di lavoro è non soltanto legittima
(secondo un’interpretazione molto fantasiosa e creativa della norme
vigenti!), ma congrua e proporzionata.
Ivi
si sostiene che:
io
non soltanto mi sono macchiata di una “colpa” assoluta ed
irreversibile, quella di perdere il controllo del mio stato
emozionale, mostrando un lato (umano e non professionale) che
contraddice il “MODELLO FIDUCIARIO” che ogni maestra dovrebbe
interpretare e perpetrare…In ogni istante della sua vita. Compresi
quelli dedicati a se stessa, ai propri percorsi individuali e
collettivi, al proprio TEMPO VITA….; ma l’ho fatto pure in
presenza di vari giornalisti, telecamere e, dunque io avrei, secondo
il giudice, dovuto e potuto prevenire ed attendermi la GOGNA
MEDIATICA che ne è seguita le settimane successive e che, di fatto,
rappresenta il REALE MOTIVO per il quale mi hanno licenziata.
Non ho voglia di
arrendermi e sono ancora molto arrabbiata per tutto questo. Penso sia
il caso di andare avanti nella battaglia giudiziaria. Ci sono
concreti spiragli di opposizione. Questa sentenza può e deve essere
ridiscussa!
Vorrei,
soprattutto, non farlo da sola. Ho bisogno di sostegno concreto.
Di
potere credere (e di poterlo vedere, “toccarlo con mano”) che
questa diventi una GRANDE CAUSA collettiva. Che possa portarci, vento
in poppa e nuova brezza, verso orizzonti migliori.
Lavinia
Flavia Cassaro
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