Teatro-verità
per denunciare le devastazioni del capitalismo. Intervista con
Ulderico Pesce, autore, tra l’altro di Petrolio e di A come Amianto
di
Giorgio
Coluccia
«Le
persone comuni sentono il teatro come qualcosa di obsoleto e vecchio
ed hanno perfettamente ragione perché è un teatro morto che fa
ricerca su stesso e si parla addosso. Penso che il teatro “ufficiale”
italiano sia quantomeno moribondo: è frequentato soprattutto da
abbonati, pubblico specializzato e persone che si ammantano della
sapienza di critici teatrali e/o che si parlano su se stessi. Un
teatro chiuso su se stesso che si autocelebra. Le persone comuni, le
ragazze ed i ragazzi delle scuole non vanno più a teatro».
Intervistiamo Ulderico Pesce dopo aver assistito al suo “Petrolio”
per approfondire la conoscenza su teatro-verità e teatro-inchiesta.
Non
hai pensato di lavorare nel mondo del teatro classico?
E’
un teatro che a me non piace e non è mai piaciuto; è lontano dalle
persone e produce un’estetica morta. Io vivo lontano dal quel modo
di intendere il teatro e tutte le nostre produzioni non hanno nulla a
che fare con quel teatro. Il nostro teatro prende contenuti e forme
dalla verità cioè dalla realtà
che si ascolta, è un teatro vivo e vicino alla gente; è un teatro che dal punto di vista estetico sia in termini di contenuto che di forma, prende spunto dalla realtà. Il nostro modo di concepire il teatro mira a coordinare ciò che realmente accade. Il nostro è un teatro che ascolta la drammaturgia della gente comune, degli operai, degli ammalati dei diseredati; una drammaturgia che certamente va coordinata, va tagliata, va messa assieme, gli va data una struttura narrativa e di racconto, ma la realtà e ricca di drammaturgia ed il nostro teatro ha aperto le porte a questa drammaturgia da circa 25 – 30 anni. Noi siamo attenti a ciò che succede nella realtà e procediamo attraverso interviste.
Se, per esempio decidiamo di parlare di petrolio andiamo
nei siti dove il petrolio viene estratto o raffinato, parliamo con le
persone, cerchiamo di capire quali sono le tecniche estrattive, quale
regole vengono seguite, quali sono le tecniche di ricerca e chi le
fa, con quali guadagni. Cerchiamo di capire i ricavi delle
multinazionali e cosa resta nei territori, quanta povertà in realtà
resta alla popolazione del luogo. Sono tecniche che sono antiche,
probabilmente affondano le radici nell’antica Grecia. In pratica
prima si cerca di capire il problema e poi ne parla a teatro.
Indaghiamo problematiche che interessano la comunità e poi mettiamo
in scena la realtà conosciuta, a volte anche in maniera ludica, i
nostri spettacoli non sono solo tragedie. Per meglio dire, ci sono
momenti ludici e momenti drammatici, proprio come è il normale
incedere della vita. Questo è il teatro che a noi piace fare.che si ascolta, è un teatro vivo e vicino alla gente; è un teatro che dal punto di vista estetico sia in termini di contenuto che di forma, prende spunto dalla realtà. Il nostro modo di concepire il teatro mira a coordinare ciò che realmente accade. Il nostro è un teatro che ascolta la drammaturgia della gente comune, degli operai, degli ammalati dei diseredati; una drammaturgia che certamente va coordinata, va tagliata, va messa assieme, gli va data una struttura narrativa e di racconto, ma la realtà e ricca di drammaturgia ed il nostro teatro ha aperto le porte a questa drammaturgia da circa 25 – 30 anni. Noi siamo attenti a ciò che succede nella realtà e procediamo attraverso interviste.
Teatro
di denuncia e di coinvolgimento delle persone, dunque?
Certo
si, possiamo dire che il nostro lavoro può essere definito anche un
po’ “sindacale” nel senso che dall’azione scenica si deve
passare alla reazione sociale. Perché un teatro che non produce
reazione sociale nellle persone è anche esso morto. Anche il teatro
di denuncia, se è fatto in termini estetizzanti che non produce
rabbia, dissenso, commozione, emozione, negli spettatori è anche
esso un teatro morto. Quindi, raccontando una storia cerchiamo in
qualche modo di produrre emozioni e nel contempo reazioni sociali
affinché quei problemi vengano risolti o quantomeno vengano posti
all’osservazione di molte persone.
Petrolio
parla dell’invasività dell’industria degli idrocarburi nella tua
regione, la Basilicata, qual è la relazione della popolazione con
l’oro nero?
La
reazione della popolazione interessata è multiforme. Una parte è
totalmente indifferente, non sente il problema perché non è
informata; c’è, invece, un’altra parte della popolazione che pur
sentendo il problema fa un calcolo razionale e deduce che quel
problema conviene in quanto produce un minimo di, non dico ricchezza,
ma sussistenza. Pertanto è una parte di popolazione che sa benissimo
di cosa parliamo, ma evita di esporsi e di parlare perchè fa
prevalere quel briciolo di convenienza. Inoltre c’è una terza
fascia che si è fatta comprare dalle multinazionali, dalle ditte,
dai governi, è assoldata come i mercenari nell’antichità. Tu mi
dai qualcosa ed acquisti la mia opera, la mia azione ed in questo
caso il mio silenzio. Per cui vi è una buona parte della popolazione
anche nella mia terra che è vittima della clientela e non parla
perché è assoldata. Infine ce n’è una parte, anch’essa
consistente, che non è informata e che vede il nostro spettacolo ed
è una sorta di illuminazione. Una parte del pubblico che già sa è
cosciente e consapevole e non vede l’ora di allearsi con persone
che hanno le stesse conoscenze e la stessa consapevolezza per
cambiare radicalmente il presente ed il futuro. Quindi come sempre
accade non c’è una realtà assoluta ma soltanto relativismi. In
questi relativismi bisogna lottare affinché quella fetta di
popolazione che fa parte del relativismo ed è soggetta a clientele
ed acquistabilità
dai poteri forti invece diventi culturalmente più forte, prenda
coscienza e sia più audace ed autonoma. Bisogna muoversi affinché
questa fetta di persone sia culturalmente talmente forte da alzare la
testa e non lasciarsi acquistare da niente e da nessuno.
C’è
una sequenza di Pemtrolio in cui reciti così: “Giovanni cosa
aspetti? Cosa ti devono fare di più?”. Parliamo ancora delle
royalties, che benefici portano in regione?
No,
da ciò che io vedo, ed ho visto, il petrolio non ha portato nulla di
positivo, ha creato solo devastazione e morte perché le royalties
del petrolio non hanno stimolato in nessun modo la permanenza nel
territorio di giovani. Se ne sono andati, le scuole stanno chiudendo
una appresso all’altra, i comuni nei pressi delle zone di
estrattive sono quasi tutti spopolati. Nei comuni del giacimento
petrolifero più grande dell’Europa continentale, siamo arrivati al
punto che non c’è il barbiere, non c’è il macellaio, chiudono
le scuole, rimangono gli inquinanti, ma che è ricchezza questa? E’
ricchezza per chi estrae, per chi rimane restano solo le malattie e
la morte. Pertanto non vedo l’ora che questi signori del petrolio
vadano via e ci lascino la natura; portino tutte le loro cose
(tubature, condotte, serbatoi e quant’altro) da un’altra parte,
custodite perbene perchè è materiale altamente contaminato e
contaminante e la nostra terra possa rimanere di nuovo vergine e
libera selvaggia e arcaica per come l’anno conosciuta Pasolini,
Calvino, Bassani, Bresson, De Martino, e tanti altri.
Anche
sul palco parli del prima dell’arrivo dell’era petrolifero, è
stato uno sconvolgimento…
Certo
è vero, ma non di tutta la realtà lucana. La Lucania si espande per
10mila chilometri quadrati, da Maratea sino a Scansano Ionico, da
Matera sino a San Mauro Forti, eccetera, c’è una parte che è la
Val d’Agri, che si estende per 1400 chilometri quadrati e l’area
petrolizzata non supera i 500 chilometri quadrati. Quindi l’area
interessata al petrolio è molto piccola, ma il destino di quest’area
è totalmente cambiato. Quando uno arriva vede un grande centro oli,
il più grande dell’Europa continentale, pozzi petroliferi,
condotte. Un Val d’Agri che sembra il Texas; sembra quello che è
l’industria del petrolio europea. Prima non era così, era un
territorio vergine, la campagna era pulita, addirittura è arrivata
l’Università di Napoli per insegnare ai contadini come zappare la
terra in termini moderni già a fine ‘800 e ciò indica che il
destino della nostra terra era un altro; anche quella parte di
Basilicata aveva un destino contadino, pastorale ed oggi,
ringraziando dio, la Basilicata è ancora integra, in tutto il
materano, nel lago di Grinse, nella Val Sarmento, nel sinisese, nel
metapontino, ci sono intere aree che ancora sono arcaiche, vergini,
non hanno avuto nessun tipo di contaminazione e di problema. Questa
Basilicata di un tempo dobbiamo riuscire a metterla a sistema ed a
trarne i vantaggi che oggi sono visibili in tutto il mondo. I
vantaggi di Matera, questo essere arcaici, contadini e pastori ha
creato delle cose che sono difese dall’Unesco, che sono patrimonio
dell’umanità. La stessa cosa dicasi per il Pollino, il parco
nazionale più grande d’Italia, 200mila ettari, dove ci sono le
aquile reali, i lupi, i caprioli, fiori in estinzione come la
“baggiona”, alberi in estinzione come il pino loricato, eccetera.
Bene noi dobbiamo riappropriarci delle nostre radici e contare su di
esse. Il petrolio finirà a breve, 10-15 anni, invece la natura sarà
eterna se ce la restituiscono, il prima possibile, incontaminata-
Matera,
hai detto, come vedi la sua investitura a Capitale europea per la
cultura 2019? E’ un modo di riconoscere la dimensione
natura-cultura della Basilicata o una sorta di compensazione per i
disagi delle trivellazioni?
Io
la vedo più come un contentino. Matera è sicuramente una delle
città più belle al mondo, abitata da circa ottomila anni, quindi è
una città meravigliosa, magnifica, emozionante; chi non ci è mai
stato deve vederla è emozionante, è una pugnalata al cuore; quindi
era già capitale della cultura europea, già era stata definita
capitale della cultura contadina; oggi è semplicemente capitale
europea, io preferisco ribadire e ricordare quando hanno denominato
Matera capitale della cultura contadina. Un progetto che era di Carlo
Levi, Rocco Scodellaro, Adriano Olivetti, Bresson e tanti altri.
Purtroppo non è stata capitale del mondo contadino come era nel
periodo 1945-1950, si è snaturata, ma l’occasione di vederla
Capitale Europea della Cultura è molto ghiotta, ma io non credo
molto in queste cose altisonanti, credo nelle cose più piccole.
Quando ci sono molti soldi è difficile fare un buon lavoro. Credo
che i benefici reali per Matera siano molto pochi anche perché ad
oggi non si lavora a far capire l’identità culturale di Matera. Si
lavora non tanto al racconto di Matera e della Basilicata, ma al
racconto da Matera e dalla Basilicata; pertanto credo che i benefici
siano relativamente pochi. A me è piaciuto il racconto di Matera e
della Basilicata, nel bene e nel male, in modo da far comprendere la
nostra identità culturale e storica e dietro quei buchi neri delle
grotte del paleolitico c’è una verità storica straordinaria che
difficilmente può venir fuori. Spero molto nella grazia e nella
determinazione di chi arriva a Matera che se ha voglia di sapere ha
spazi dove trovare questi racconti.
Quindi
non la vedi come una possibilità di contrasto alla trasformazione
industriale della regione?
No
nessun antagonismo. Sarà una grande vetrina, ma nella vetrina la
merce sicuramente è quella sbagliata.
Hai
scritto anche un lavoro sull’amianto.
Sì,
è meno rappresentato perché è molto più complesso. Però è
andato in scena a Roma, a Milano ed in altre grandi città italiane.
E’ un bel lavoro e ci tornerò perché ho scoperto un’altra cosa
sull’amianto che è ancora più bella e più ghiotta da narrare.
L’amianto è un argomento da affrontare e raccontare nella maniera
più assoluta. Ci sono seimila persone che muoiono in Italia a causa
dell’amianto, è una strage e nessuno se ne occupa. Ci sono seimila
morti di amianto all’anno in Italia, e non lo dico io ma le
statistiche dell’Istat, ed è facile saperlo perchè di amianto si
muore quando si muore di mesotelioma pleurico che è un tumore che
sopravviene soltanto quando si respira l’amianto.
Perché
hai scelto il teatro, e non la televisione, come strumento per
prendere coscienza delle problematiche connesse con lo sviluppo
capitalistico?
Credo
che il teatro sia il luogo di libertà per eccellenza, perché il
teatro non ha padroni. Se tu ti accordi con altre 4 o 5 persone,
scrivi un testo, lo adatti alla scena, chiami qualcuno che organizza
una semplice illuminazione, ci metti un po’ di musica, qualche
video, avendo così costi ridotti e senza puntare a vendere grandi
cose; quindi non c’è una grande economia che gira intorno al
teatro. Il teatro è come le sedie impagliate, quattro legni, prendi
la paglia e la tendi per bene per le sedute ed hai costruito la
sedia, è semplice e facile e non ci sono grandi costi. Il teatro è
molto semplice, non ha padroni, è un codice che arriva con molta
facilità. Per fare una rappresentazione teatrale non hai neanche
bisogno del luogo chiamato teatro, puoi andare in una fabbrica, in
una sala per le assemblee condominiali, puoi andare in una scuola;
basta che porti tu due oggetti e la tua volontà di trasformazione e
fai teatro e veicoli delle cose. La televisione, i giornali, il
cinema sono industrie, sono industrie costose e quando c’è
un’industria costosa i margini di libertà di una persona sono
molto molto risicati e ristretti. Non credo poi che avremmo briciolo
di spazio in televisione per parlare di petrolio, di amianto e di
tante altre cose. La televisione si occupa della mercificazione della
donna, degli oggetti, degli alberi, dei cibi, di tutto, è un grande
supermercato che serve per vendere e non per far pensare le persone.
Uno che guarda la televisione la guarda non certamente con il
cervello ed i sentimenti, la guarda con il portafoglio, qua comprare
il materasso, qua il pantalone, qua la matita per trucco, qua la
mutanda. La televisione, i giornali, non tutti, ma una buona parte di
essi, sono strumenti del capitalismo. Quei giornali, quelle
televisioni che dietro hanno i padroni sono tutti figli del
capitalismo. Il teatro non è figlio del capitalismo e non interessa
manco ai capitalisti altrimenti avrebbero inserito altre cose perchè
sanno che il teatro è un codice adatto al racconto della verità e
nient’altro. E la verità piace a pochi.
Chiaramente
questo vale per il teatro-verità mentro per quel teatro che è solo
forma non vale.
Beh,
quello è frutto anche quello del capitale. C’è tutta una parte di
teatro italiano in cui si fa a gara a chi spoglia più attori, maschi
nudi in scena, donne nude, in pratica vai a vedere spettacoli dove
non si capisce un cazzo; tu guardi lo spettacolo e ti chiedi: ma sono
io un imbecille? Cioè ci si diverte a rompere i coglioni al
prossimo.
Purtroppo
il teatro è confezionato e vissuto come strumento a misura di
un’elite saccente e ciò non contribuisce alla sua diffusione e al
suo sviluppo…
Aggiungerei
soltanto che chi è curioso della mia attività oltre a venire a
teatro può andare sul sito internet www.uldericopesce.it
oppure seguire la pagina ufficiale facebook di Ulderico Pesce che è
divenuta una vetrina di combattimento oltre che la vetrina del
teatro-verità. Non ci perdiamo di vista e speriamo di creare una
società ed un Paese pieno di giustizia, di meritocrazia e credo che
ci possiamo riuscire se tutti ci sforziamo di camminare sullo stesso
binario.
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