A
Ravenna la formazione operaia ha avuto almeno 3 momenti in cui si è dibattuto
sugli scritti storici di Marx, in particolare quello sulle “Lotte di classe in
Francia-dal '48 al '50”.
..della sua necessità siamo consapevoli
come arma della critica che prepara il terreno alla critica
militante.
Quindi su questo terreno ha insistito il compagno di vecchia data
incontrando l'interesse di compagni operai, giovani antifascista, con cui si
è deciso di dare sistematicità, ritmo, a questo lavoro, portare Marx tra le
masse in funzione della lotta militante dei comunisti oggi.
Purtroppo non c'è
stata la stessa convinzione tra i compagni del vecchio circolo sull'importanza
della teoria.
...siamo partiti
dalla lettura collettiva degli articoli dei “Giovedì rossi” apparsi sul blog
proletaricomunisti sulle “Lotte di classe in Francia” per poi studiare
direttamente il testo con una lettura collettiva (siamo arrivati quasi al
termine del II° capitolo).
Osservazioni sparse suggerite dal testo di Marx Le lotte di classe in Francia.
La
concezione materialistico-dialettica della storia è fondamentale non solo per
analizzare gli
avvenimenti storico-politici ma per prendere parte attiva nello
scontro di classe. Studiamo Marx per assimilarne un metodo utile alla scienza
politica ma anche per essere all'altezza dell'intervento militante, studiamo dei
testi perchè servono alla lotta di classe nel nostro paese. In particolare alla lotta contro il governo
fascio-populista, il suo blocco sociale, le tendenze del suo sviluppo, il
rapporto con la borghesia imperialista e il suo Stato, il ruolo della piccola
borghesia, le alleanze necessarie, il problema dello Stato, la sua natura, le
forme politiche su cui poggia il dominio di classe, la partecipazione alla lotta
da parte della classe operaia che fa la differenza.
Non
studiamo Marx in quanto storico, anche perchè sappiamo che questa scienza -il
mestiere dello storico- non potrà mai essere neutra nelle società divise in
classi, ma lo facciamo in quanto concepiamo Marx come il più grande combattente
proletario, autentico rivoluzionario, che ha consegnato al proletariato l'arma
scientifica della sua liberazione mentre organizza i lavoratori e scrive libri
con l'unico obiettivo di mettersi al servizio della liberazione della classe
operaia a partire dalla costruzione del Partito comunista come forma politica
della sua indipendenza/autonomia.
Le
classi sociali come si muovono, che politica fanno e l'interpretazione della
“sconfitta” sono i primi concetti su cui ci siamo soffermati. Il bilancio
dell'esperienza è fondamentale, le lotte politiche educano il proletariato. Dice un compagno operaio: "dopo ogni sconfitta il Partito rivoluzionario si tempra sempre
più e abbandona le false idee antiproletarie. Marx ci insegna a guardare la
storia di un paese e ad esaminare le "sconfitte" (che altro non sono le premesse
della Rivol), cioè a comprenderne i motivi per fare progredire sempre più il P
fino alla riuscita della sua rivoluzione”.
“Solo la sua
sconfitta lo convinse (il proletariato parigino) della verità che il più
insignificante miglioramento della sua situazione è
un'utopia
dentro la repubblica borghese, un'utopia che
diventa delitto non appena vuole attuarsi. Al posto delle sue rivendicazioni,
esagerate nella forma, nel contenuto meschine e persino ancora borghesi, e che
esso voleva strappare come concessioni alla repubblica di febbraio, subentrò
l'ardita parola di lotta rivoluzionaria: Abbattimento
della borghesia! Dittatura della classe operaia!
(Marx)”
La
partecipazione alla lotta politica da parte della classe operaia fa la
differenza tanto che persino la lotta per l'indipendenza nazionale, come in
Italia il Risorgimento (Gramsci applicò il marxismo nell'analisi del contributo
del proletariato alla storia della formazione dello stato nazionale come una
“rivoluzione passiva” nei Quaderni), sono legati alle rivendicazioni della
classe operaia:
“i popoli che avevano iniziato la lotta per la loro
indipendenza nazionale vennero dati in balìa alla prepotenza della Russia,
dell'Austria e della Prussia, ma in pari tempo la sorte di queste rivoluzioni
nazionali venne subordinata alla sorte della rivoluzione proletaria; esse
vennero spogliate della loro apparente autonomia, della loro apparente
indipendenza dal grande rivolgimento sociale. Né l'ungherese, né il polacco, né
l'italiano possono essere liberi fino a che rimane schiavo
l'operaio!”
Un testo utile, Le lotte di classe in
Francia, anche per demolire il culto del “popolo”, rivelarne la verità rispetto
all'immaginario corpo indistinto e cioè mostrare e dimostrare che dietro il velo
ideologico interclassista si nasconde l'antagonismo inconciliabile delle classi,
gli interessi inconciliabili tra operai e padroni.
In che situazione si trovava il proletariato
all'epoca delle rivoluzioni del '48? In un'epoca di crisi mondiale che provoca
miseria e disoccupazione, la borghesia porta avanti la sua rivoluzione contro i
residui feudali e le monarchie assolutiste e lo fa all'interno dei propri
confini per la formazione dello stato nazionale ma non può farlo da sola e fa
leva sul "popolo". Il culto del "popolo" come un tutto indistinto, senza classi
e, quindi, senza contrasti di classe è una mistificazione immaginaria a cui gli
scritti di Marx sugli avvenimenti in Francia nel '48 toglie il velo che la
ricopre, rivelando la sola verità, e cioè che l'antagonismo tra le classi in cui
è divisa le società finora esistite è, non solo ineliminabile, ma è anche
inconciliabile. Altrimenti i processi storici, l'evoluzione della storia degli
uomini, viene spiegata come capacità di singole persone, volontà e idee come
motori della storia e non, invece, come il bisogno di liberazione di classi
sociali a cui le catene del modo di produzione e dei rapporti sociali stanno
definitivamente strette, non fanno avanzare il progresso ed è per questo che
devono essere spezzate e la rivoluzione si rende
necessaria.
Marx descrive anche l'arruolamento dei
fascisti da parte della borghesia non appena la classe operaia si organizza.
"La borghesia doveva respingere le rivendicazioni del proletariato con
le armi alla mano"...”Essa (la borghesia) non si sentiva però abbastanza forte
per misurarsi da sola col proletariato. Inoltre era stata costretta, benché dopo
la più tenace resistenza e opponendo cento ostacoli diversi, ad aprire a poco a
poco e in parte le sue file, e a lasciarvi entrare dei proletari armati. Non
rimaneva dunque che una via d'uscita: opporre una parte
dei proletari all'altra.
A questo scopo il governo provvisorio
formò 24 battaglioni di guardie mobili, ciascuno di 1.000 uomini dai 15 ai 20
anni. Essi appartenevano per la maggior parte
al sottoproletariato, che in tutte le
grandi città forma una massa nettamente distinta dal proletariato industriale,
nella quale si reclutano ladri e delinquenti di ogni genere, che vivono dei
rifiuti della società; gente senza un mestiere definito,
vagabondi, gens sans feu et sans
aveu, diversi secondo il grado di civiltà
della nazione cui appartengono, ma che non perdono mai il carattere dei
lazzaroni. Facilmente influenzabili per l'età giovanile in cui il governo
provvisorio li reclutava, questi elementi erano perfettamente capaci tanto delle
più grandi azioni eroiche e della più esaltata abnegazione, quanto dei più
volgari atti di banditismo e della più sordida venalità. Il governo provvisorio
pagava loro un franco e 50 centesimi al giorno, cioè li comperava. Dette loro
una uniforme speciale, cioè li distinse esteriormente dalla blusa dell'operaio.
Come comandanti, in parte vennero dati loro ufficiali dell'esercito regolare; in
parte si scelsero essi stessi dei giovani figli di borghesi, le cui spacconate
di morte per la patria e di sacrificio per la repubblica li attiravano. In
questo modo il proletariato di Parigi trovò davanti a sé un esercito, tratto dal
suo seno, di 24.000 giovani forti, audaci, e prepotenti. Quando la guardia
mobile sfilò per Parigi, l'accolse con degli evviva. In essa riconosceva i suoi
combattenti d'avanguardia sulle barricate, e la considerava come la
guardia proletaria in opposizione alla guardia
nazionale borghese. Il suo errore era perdonabile. Accanto alla guardia mobile
il governo decise di raccogliere attorno a sé anche un esercito di operai
industriali. Il ministro Marie arruolò nel cosiddetti laboratori
nazionali centomila operai gettati sul lastrico dalla crisi e dalla rivoluzione.
Sotto questo nome pomposo non si celava altro che l'impiego degli operai
a lavori di
sterro noiosi, monotoni, improduttivi, per
un salario di 23 soldi. Workhouses inglesi all'aria
aperta: altro non erano questi laboratori
nazionali. In essi il governo provvisorio credette di aver trovato
un secondo esercito proletario contro
gli operai stessi. Questa volta la borghesia si
ingannava circa i laboratori nazionali, come gli operai si ingannavano circa la
guardia mobile. Essa aveva creato un esercito per la
sommossa".
All'interno di questo, l'agire della piccola
borghesia, anche quando è rivoluzionaria e dalla parte del popolo, degli operai,
va smascherata e combattuta perchè portatrice di parole d'ordine illusorie e, in
alcune vicende, concilianti.
L'ultimo concetto che riportiamo è l'illusione della parola d'ordine del
“diritto al lavoro” all'interno di un governo al servizio dei padroni
imperialisti che, al massimo, potrà essere il diritto all'assistenza: non è
forse la stessa, illusoria, ingannapopolo, fascista, misura politica del reddito
di cittadinanza grillina?
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