Il fascista Erdogan
come oramai sanno anche i bambini, ha violato e viola ogni giorno tutte le
regole previste dai trattati internazionali e la sua stessa Costituzione
interna, arrestando, uccidendo e torturando migliaia di persone.
Pienamente complice
è l’imperialismo italiano, con il suo governo, che deve versare 225 milioni,
mentre l’UE ha già versato alla Turchia quasi 100 milioni di euro per comprare
mezzi corazzati, come riporta l’articolo
di Repubblica di oggi.
Ma “Bruxelles
– dice il quotidiano ‘ingenuamente’ - non è in grado di sapere se questi mezzi
— a prova di mina e dotati di apparati per stanare i cecchini — siano stati per
caso usati nella presa di Afrin, l’enclave curda in Siria conquistata
dall’esercito turco.” Ma secondo la stessa inchiesta della rivista L’Espresso “svolta
con un pool investigativo internazionale … uno dei contratti risulta assegnato
alla fabbrica bellica di un parlamentare del partito conservatore di origine
religiosa fondato da Erdogan.”
Il massimo
dell’ipocrisia tra tutti questi assassini lo raggiunge il “democratico” Alexis
Tsipras: “Bene… ha detto al vertice il premier greco: «Dobbiamo essere molto
diretti con la parte turca sui loro obblighi, specialmente sul rispetto della
legge internazionale».
***
SE LA UE
PAGA LE ARMI DELLA TURCHIA
Marco
Ansaldo
Sì all’erogazione alla Turchia della seconda tranche
di fondi — altri 3 miliardi di euro — per contenere e aiutare i migranti che
premono alla frontiera d’Europa.
Ma con l’obbligo per Ankara, condannata per le
«azioni illegali nel Mediterraneo e nel Mar Egeo», di
«rispettare la legge internazionale e i rapporti di buon vicinato, normalizzare le relazioni con tutti gli Stati membri inclusa Cipro», invitandola a «una soluzione veloce e positiva delle questioni attraverso il dialogo». Insomma, un buffetto sulla guancia per Recep Tayyip Erdogan quello dato dal Consiglio europeo appena concluso a Bruxelles. Un gesto fatto di parole anche ferme, comunque respinte da Ankara che strilla di «critiche inaccettabili», ma recepito in realtà dai turchi come lieve rispetto all’entità della somma che sta per arrivare nelle loro casse.
«rispettare la legge internazionale e i rapporti di buon vicinato, normalizzare le relazioni con tutti gli Stati membri inclusa Cipro», invitandola a «una soluzione veloce e positiva delle questioni attraverso il dialogo». Insomma, un buffetto sulla guancia per Recep Tayyip Erdogan quello dato dal Consiglio europeo appena concluso a Bruxelles. Un gesto fatto di parole anche ferme, comunque respinte da Ankara che strilla di «critiche inaccettabili», ma recepito in realtà dai turchi come lieve rispetto all’entità della somma che sta per arrivare nelle loro casse.
Nessuno ha dubbi che da quando l’intesa è entrata in
vigore nel 2016 il fenomeno migratorio sia stato, a ragione o no, fermato. E
che per molto tempo la Turchia sia stata lasciata sola a gestire una massa di
profughi, in maggior parte siriani, che di anno in anno si sono riversati sul
suo territorio raggiungendo ora la ragguardevole cifra di 3,8 milioni.
In un Paese di nemmeno 80 milioni quei rifugiati
significano addirittura il 5 per cento in più degli abitanti. Nessuno Stato ha
mai sopportato un peso simile.
Le perplessità riguardano piuttosto la certezza sulla
gestione di questo enorme flusso di danaro sborsato dai singoli Stati europei.
L’Italia, ad esempio, è chiamata a versare 225 milioni di euro. L’inchiesta de L’Espresso,
svolta con un pool investigativo internazionale, rivela che l’Unione europea ha
già dato alla Turchia quasi 100 milioni di euro per comprare mezzi corazzati.
Lo ha fatto nel pieno controllo delle frontiere, dotandosi dei fondi
anti-profughi, ma Bruxelles non è in grado di sapere se questi mezzi — a prova
di mina e dotati di apparati per stanare i cecchini — siano stati per caso
usati nella presa di Afrin, l’enclave curda in Siria conquistata dall’esercito
turco.
Uno di questi contratti risulta assegnato alla
fabbrica bellica di un parlamentare del partito conservatore di origine
religiosa fondato da Erdogan.
Proprio in questa area Ankara ha in mente due fasi. Da
un lato, far tornare i profughi siriani, riportandoli nelle zone liberate
militarmente, come in quella appena sgomberata di Afrin e nelle altre città in
procinto di essere attaccate.
Dall’altro, proseguire la guerra contro i gruppi che
considera terroristi (le unità curde) e jihadisti, rafforzando le milizie
siriane ribelli sue alleate.
Una determinazione che la sta portando a stracciare
l’altolà americano sull’intoccabilità dei combattenti curdi, ritenuti da
Washington invece essenziali (vedi Kobane) nella lotta all’Isis.
Bene allora ha detto al vertice il premier greco
Alexis Tsipras: «Dobbiamo essere molto diretti con la parte turca sui loro
obblighi, specialmente sul rispetto della legge internazionale». La riunione di
Bruxelles si sposta adesso lunedì a Varna, sul Mar Nero, nella Bulgaria
presidente europea di turno, con il summit diretto fra Ue e Turchia e la
definitiva luce verde all’erogazione della somma pattuita.
Erdogan annuncia la sua presenza e già batte cassa:
«Non continuate a ritardare, dateci i soldi». Il mantra che risuona ad Ankara è
pacta sunt servanda. Giusto.
Però occorre vincolare il Sultano non con semplici
parole, ma con i fatti, costringendolo a impegni concreti e soprattutto
verificabili. Arrivando magari a usare gli stessi codici comportamentali e un
atteggiamento altrettanto duro. Pena il non rispetto, dalla controparte turca.
La Repubblica 24 marzo 2018
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