Trascrizione dell'intervento di
SAMIDOUN
Trattasi di trascrizione di intervento parlato.
A volte corretta dal relatore stesso, per renderne la forma più scorrevole
A volte corretta dal relatore stesso, per renderne la forma più scorrevole
Prima d’iniziare, desidero dire che oggi
è il 25 febbraio. Oggi è trascorso un anno dalla perdita del nostro compagno
Nayef Zayed, rinvenuto il 26 febbraio 2016 fuori dall’ambasciata palestinese a
Sofia, in Bulgaria, per terra e insanguinato. Era rimasto nell’ambasciata per 70
giorni dopo aver trascorso 22 anni in Bulgaria. Era evaso dalle carceri
israeliane nel 1990, riparando in Bulgaria per costruirsi una famiglia e
costituire la comunità palestinese a Sofia. E poco prima dello scadere dei
termini di prescrizione, lo Stato d’Israele ha
chiesto fosse arrestato ed estradato dalla polizia bulgara, dopo anni di crescente “collaborazione in termini di sicurezza” e di accordi per la sicurezza fra Bulgaria e Israele, sebbene la richiesta si basasse sull’adesione d’Israele al trattato d’estradizione del Consiglio d’Europa. Ha passato 70 giorni in ambasciata battendosi per la sua libertà e affrontando nemici di tre tipi: Stato d’Israele, Stato bulgaro e anche Autorità Palestinese, la cui ambasciata e l’ambasciatore hanno fatto di tutto per spingere Omar fuori dell’ambasciata stessa e rendergli in Bulgaria la vita difficile o impossibile, negandogli la possibilità di ricevere visite e minacciando di allontanarlo in ogni momento. Oggi non c’è ancora stata giustizia per la morte del martire Omar Nayef Zayed. Ed oggi riprendiamo quell’appello per la giustizia un anno dopo, ricordando questo compagno che ha lottato ed è morto per la Palestina.
chiesto fosse arrestato ed estradato dalla polizia bulgara, dopo anni di crescente “collaborazione in termini di sicurezza” e di accordi per la sicurezza fra Bulgaria e Israele, sebbene la richiesta si basasse sull’adesione d’Israele al trattato d’estradizione del Consiglio d’Europa. Ha passato 70 giorni in ambasciata battendosi per la sua libertà e affrontando nemici di tre tipi: Stato d’Israele, Stato bulgaro e anche Autorità Palestinese, la cui ambasciata e l’ambasciatore hanno fatto di tutto per spingere Omar fuori dell’ambasciata stessa e rendergli in Bulgaria la vita difficile o impossibile, negandogli la possibilità di ricevere visite e minacciando di allontanarlo in ogni momento. Oggi non c’è ancora stata giustizia per la morte del martire Omar Nayef Zayed. Ed oggi riprendiamo quell’appello per la giustizia un anno dopo, ricordando questo compagno che ha lottato ed è morto per la Palestina.
Nel 2017, il progetto sionista
israeliano sta giungendo al 70° anno. Se diamo uno sguardo a 100 anni dalla
dichiarazione di Balfour e ai 100 anni di resistenza palestinese al
colonialismo, notiamo che oggi lo Stato sionista è il principale esportatore di
tecnologie e pratiche per il controllo e la repressione e di ideologie e leggi
“antiterrorismo” utilizzate per separare le comunità dai loro movimenti di
liberazione nazionale e criminalizzare la solidarietà
internazionale ai popoli in lotta per la propria liberazione.
internazionale ai popoli in lotta per la propria liberazione.
Ogni giorno notiziari nel mondo e
specialmente in Nord America ed Europa diffondono propagnada sulla “guerra al
terrorismo” e la “minaccia del terrorismo”. In varie occasioni, la “minaccia del
terrorismo” è rappresentata con caratteristiche di discriminazione razziale:
araba, mussulmana, “straniera”. Ma la costruzione del “terrorismo” come minaccia
che comporta elevati investimenti in sicurezza e infrastrutture (carceri,
tecnologie repressive e nuove leggi) rispecchia l’alleanza in corso fra sionismo
e imperialismo contro il popolo palestinese, ma anche contro tutti i movimenti
di liberazione nazionale, liberazione sociale e giustizia sociale, distogliendo
l’attenzione dal terrorismo di massa del capitalismo e dell’imperialismo vissuto
dai lavoratori nel mondo, il terrorismo di Stato delle bombe e dei missili
americani ed alleati e il terrorismo coloniale d’insediamento sionista contro il
popolo palestinese in Palestina e quello esiliato dalla sua
patria.
Rappresento la Rete Samidoun per la solidarietà nei confronti dei prigionieri
palestinesi. Siamo una rete di attivisti a livello
internazionale, solidali verso la Palestina e i palestinesi, uniti nel sostenere
la libertà e la liberazione dei prigionieri palestinesi, del popolo palestinese
e della Palestina stessa. Come potete dedurre dal nostro nome, poniamo
attenzione specifica sui prigionieri politici palestinesi nelle carceri
israeliane – come pure sui prigionieri politici palestinesi, arabi e
internazionali nelle prigioni arabe e imperialiste. Ci concentriamo soprattutto
sulla solidarietà verso i prigionieri palestinesi per molte ragioni e crediamo
che queste solidarietà esplicita sia particolarmente importante in questo
momento.
Se guardiamo alla situazione palestinese
nel 2017, stiamo indubbiamente affrontando un periodo di crisi e di grande
difficoltà. Nessuna “unità nazionale” significativa va individuata fra quelle
forze considerate “leadership palestinese”, solo un gran senso di tradimento. La Autorità
Nazionale Palestinese e le sue forze di sicurezza
dipendono e sono asservite all’industria per la sicurezza degli Stati Uniti e
d’Israele che provvedono alla sua infrastruttura, al suo finanziamento e
sostegno. La Sinistra palestinese ha una lunga storia di 50 anni derivante da
una lotta palestinese di oltre 100 anni contro il colonialismo ma, come la
Sinistra a livello internazionale, sta attraversando un’epoca difficile accanto
al potenziale per il recupero e la rigenerazione di massa.
Eppure, malgrado la situazione,
frammentazione e l’esproprio possiamo continuare a parlare di movimento di
liberazione nazionale e di una resistenza palestinese che mai ha smesso di
lottare per 100 anni, che continua a battersi strenuamente in prima linea per la
liberazione dell’intera Palestina, affrontando sionismo, imperialismo e reazione
araba nella lotta per la liberazione della Palestina.
Quindi, se il nostro obiettivo è stare a
fianco del popolo palestinese e costruire sostegno e solidarietà al suo
movimento di liberazione nazionale e se vogliamo appoggiare la lotta palestinese
per ricostruire e ottenere che il suo fronte di liberazione nazionale consegua
la liberazione, consideriamo la solidarietà verso i prigionieri palestinesi come
particolarmente cruciale per diverse ragioni. Anzitutto, i prigionieri politici
palestinesi sono un simbolo dell’unità nazionale palestinese. Attualmente sono
oltre 7.000 i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.
Rappresentano tutti i partiti politici palestinesi e i settori della società. Si
tratta di dottori, insegnanti, avvocati, studenti, agricoltori, lavoratori e
combattenti per la libertà. Sono donne, uomini e bambini strappati alle loro
amate comunità e famiglie, spesso durante incursioni prima dell’alba in cui le
loro case sono invase da ingenti truppe di soldati dell’occupazione israeliana.
Oltre 550 prigionieri sono sottoposti a detenzione amministrativa, ovvero
carcerazione rinnovabile a tempo indeterminato senza imputazioni o processo,
secondo cui i palestinesi possono essere improvvisamente imprigionati per anni,
senza un processo. Rispetto ai palestinesi che affrontano i tribunali militari,
questi si oppongono a un sistema semplicemente designato a reprimere e
incarcerare palestinesi, un sistema senza nemmeno una parvenza di “giustizia”. I
tribunali militari sono parte integrante delle stesse cosiddette “Forze di
difesa israeliana” che occupano il Paese e sparano per uccidere i giovani
palestinesi. Vantando un tasso di detenzione del 99,74%, questi tribunali
militari sono un simbolo fondamentale d’ingiustizia.
Riguardo ai palestinesi di Gerusalemme e
della Palestina occupata nel 1948, i tribunali possono assumere un’apparenza
“civile”, ma in realtà si tratta della stessa struttura razzista, coloniale
d’insediamento. I palestinesi accusati di attività “nazionaliste” sono
etichettati come imputati di “sicurezza” e poi prigionieri di sicurezza, privati
di permessi, visite coniugali o di lavoro concessi ai detenuti israeliani
ebrei. Inoltre, per la maggior parte dei palestinesi fuori dalla Palestina la
detenzione è un problema rilevante. Dai combattenti come Rasmea Odeh detenuto in
USA, a quelli arabi per la Palestina come Georges Ibrahim Abdallah nelle
prigioni francesi da 32 anni, agli esiliati e profughi palestinesi e i loro
compagni pure detenuti in carceri arabe e imperialiste.
A causa del ruolo collaborazionista assunto dalla Autorità Palestinese, migliaia di prigionieri palestinesi aderenti a Fatah in prima linea nella lotta per la libertà del loro popolo sono nelle prigioni israeliane. Altre migliaia sono appartenenti a Hamas, FPLP, Jihad islamica e altre fazioni. E contrariamente alle dichiarazioni talvolta timide di “unità nazionale” da leadership di partito, in particolare di Fatah e Hamas, e fatte sotto gli auspici di vari regimi reazionari del Golfo e di altri arabi, l’unità nazionale ottenuta all’interno delle prigioni è quella della lotta comune contro l’oppressore e per la liberazione, anzitutto focalizzandola sullo scontro esistente contro l’occupazione sionista, l’apartheid, il razzismo e il colonialismo d’insediamento. E, così, contrariamente alla parvenza di unità nazionale sostenuta durante le elezioni sotto occupazione e alla concorrenza per il controllo della Autorità Palestinese, l’unità nazionale nelle carceri è una strada da seguire per la lotta palestinese e un esempio ispiratore in tempi oscuri.
A causa del ruolo collaborazionista assunto dalla Autorità Palestinese, migliaia di prigionieri palestinesi aderenti a Fatah in prima linea nella lotta per la libertà del loro popolo sono nelle prigioni israeliane. Altre migliaia sono appartenenti a Hamas, FPLP, Jihad islamica e altre fazioni. E contrariamente alle dichiarazioni talvolta timide di “unità nazionale” da leadership di partito, in particolare di Fatah e Hamas, e fatte sotto gli auspici di vari regimi reazionari del Golfo e di altri arabi, l’unità nazionale ottenuta all’interno delle prigioni è quella della lotta comune contro l’oppressore e per la liberazione, anzitutto focalizzandola sullo scontro esistente contro l’occupazione sionista, l’apartheid, il razzismo e il colonialismo d’insediamento. E, così, contrariamente alla parvenza di unità nazionale sostenuta durante le elezioni sotto occupazione e alla concorrenza per il controllo della Autorità Palestinese, l’unità nazionale nelle carceri è una strada da seguire per la lotta palestinese e un esempio ispiratore in tempi oscuri.
Ciò porta al secondo motivo per cui la
solidarietà internazionale ai prigionieri palestinesi è così importante. Essi
rappresentano la resistenza palestinese. Sono imprigionati perché in una delle
tante forme stanno resistendo al progetto sionista coloniale d’insediamento in
Palestina, sia con la lotta armata, la mobilitazione popolare o altri strumenti.
Sono detenuti in quanto rappresentanti di forze costituenti la resistenza. Ecco
perché tutti i maggiori partiti politici palestinesi sono proibiti ed
etichettati come “organizzazioni ostili vietate” e tutti i prigionieri
palestinesi sono “terroristi”. Abbiamo la responsabilità di appoggiare quelli
che conducono la lotta, che si battono in prima linea. E sono i prigionieri
palestinesi, il movimento di resistenza in prigione, che continua a resistere
quotidianamente dietro le sbarre.
E qui risulta il terzo punto per
motivare quanto è importante costruire la solidarietà internazionale nei
confronti dei prigionieri palestinesi. Essi sono leader della lotta, la vera leadership del popolo palestinese. Ecco perché
sono colpiti, rinchiusi e considerati come una minaccia al progetto sionista.
Ahmad Sa’adat, segretario generale del Fronte Popolare
per la Liberazione della Palestina è uno di questi
leader detenuti dallo Stato
israeliano. Il racconto sulla prigionia di Sa’adat, che accusa non solo lo Stato
d’Israele ma anche USA, Regno Unito e Autorità
Palestinese, in particolare rispecchia lo schieramento
internazionale di forze che cercano di reprimere la lotta di liberazione
palestinese e tentano di separare Sa’adat dal popolo palestinese, per
condizionare il movimento di liberazione. Preciserò che ciò non ha impedito a
Sa’adat di continuare ad essere un leader del movimento di liberazione nazionale palestinese e possiamo dirlo
analogamente per altre figure di leader imprigionati, appartenenti a partiti politici palestinesi, come Marwan
Barghouthi, Hasan Salameh e altri. Inoltre, nuovi quadri politici di
leadership emergono nelle
prigioni ogni giorno. Potrebbe sembrare un cliché
dire “le carceri sono una scuola rivoluzionaria” e molto
è cambiato nelle prigioni israeliane nel corso dei decenni. Tuttavia, è
assolutamente vero che prigionieri palestinesi escono di prigione con un
maggiore livello di formazione politica, impegno e strategia rispetto a prima e
che veri leader sono recentemente
emersi nelle carceri. Ad esempio, Bilal Kayed, per il quale avete organizzato
qui molte azioni e manifestazioni, arrestato appena ventenne, con scarsa
esperienza politica. È uscito di prigione come un leader
e perciò i sionisti hanno tentato di sottoporlo a
detenzione amministrativa immediatamente al suo rilascio e perciò grazie alla
fermezza del movimento palestinese in strada e la massiccia risposta
internazionale, oggi Bilal è libero.
Altri leader si contano: Khader Adnan autore di due
scioperi della fame per la libertà, in detenzione amministrativa; Mohammed
al-Qeeq che ha ottenuto la libertà dopo 94 giorni di sciopero della fame l’anno
scorso ed oggi al suo 19° giorno di sciopero della fame, dopo essere stato
nuovamente sottoposto in detenzione amministrativa, senza imputazione o
processo. E sia Adnan che al-Qeeq hanno partecipato alle grandi mobilitazioni
per Bilal Kayed. È la nuova leadership emergente dalle prigioni e attraverso la resistenza, riconosciuta
dall’occupante come una minaccia.
Le mobilitazioni internazionali per
Bilal Kayed e il tema di questa conferenza oggi ci portano al quarto punto.
Appoggiare prigionieri politici palestinesi è un ambito per la lotta
internazionalista e solidarietà reciproca. Oggi, a Gaza, palestinesi stanno
marciando con cartelli e striscioni per la libertà di tutti prigionieri politici
irlandesi che proseguono la lotta contro il colonialismo britannico (che ha
devastato sia Irlanda che Palestina). Esiste un’alleanza di lungo periodo e
sempre più crescente fra movimenti per la Liberazione
Nera e movimento per la Liberazione Palestinese che affrontano non
solo varie forme di razzismo, repressione e assoggettamento, inclusa la
detenzione e criminalizzazione di massa, ma la conoscenza diretta e i
trasferimenti di tecnologia fra Israele e dipartimenti di polizia statunitensi,
fra cui programmi di pratica congiunta e iniziative “contro il terrorismo” che
armano queste tecnologie contro popolazioni palestinesi e nere. Qui in Europa il
programma di finanziamento Horizon 2020
Research sta sovvenzionando programmi come LAW-TRAIN, dove oltre 5 milioni di euro sono
forniti a Bar Ilan University, al
ministero per la Pubblica Sicurezza israeliana
– capeggiato dall’estremista di destra Gilad Erdan, il
cui ministero è anche incaricato di fermare globalmente l’attivismo per
boicottaggio, disinvestimento e sanzioni – e alla Polizia
nazionale israeliana, allo scopo di “condividere
tecniche d’interrogatorio” collettivamente con la Polizia
nazionale spagnola e la Polizia
nazionale belga. Quando sentiamo funzionari di Stato
sollecitare “più sicurezza stile israeliano” come risposta al “terrorismo”
attraverso racconti ed esperienze di prigionieri politici palestinesi – e di
tutto il popolo palestinese – lo individuiamo come un minaccia a popoli
discriminati per la razza, a
migranti e profughi, ad arabi e africani in Europa, a lavoratori e a tutti i
movimenti per la giustizia e la liberazione sociale, dato che noi vediamo chi e
che cosa è colpito dalla “sicurezza stile israeliano”.
Lo vediamo pure rispecchiato nelle leggi
“antiterrorismo” usate sia per criminalizzare movimenti di liberazione nazionale
internazionalmente, che per reprimere movimenti locali per la giustizia e
contro l’oppressione e lo sfruttamento. In USA, Canada, Regno Unito e UE, negli
Stati coloniali d’insediamento e imperialisti troviamo leggi “antiterrorismo”
che vietano organizzazioni della resistenza palestinese come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, così come una serie di partiti politici e formazioni palestinesi come
Hamas e Jihad islamica. Troviamo gente che sconta
condanne a 65 anni nelle prigioni americane – gli Holy
Land Five – per aver raccolto fondi per la Palestina.
Notiamo molta paura e un intenso premunirsi per separare palestinesi sfollati
fuori della Palestina dalle loro organizzazioni di movimento per la liberazione
– collaboranti con le “organizzazioni proibite” elencate dallo Stato israeliano.
E vediamo queste stesse leggi adottate per vietare manifestazioni, irruzioni di
attivisti o imprigionare in regime d’isolamento o senza poter fruire di visite
famigliari, in Italia o Stati Uniti – proprio come vediamo nelle carceri
israeliane dove sono detenuti 7.000 prigionieri politici
palestinesi.
Quindi, per noi qui, costruire la
solidarietà ai prigionieri politici palestinesi è un modo per appoggiare l’unità
nazionale palestinese, la vera leadership palestinese in lotta, sostenere la resistenza palestinese e costruire
alleanze di mutuo soccorso e solidarietà per combattere l’alleanza di
imperialismo, sionismo e regimi reazionari che minacciano tutti noi. Perciò
sviluppiamo campagne per boicottare e isolare a livello internazionale Israele e
le imprese parte della sua infrastruttura carceraria e i suoi prodotti in ambito
internazionale e i prigionieri palestinesi hanno incoraggiato noi e il movimento
mondiale a intensificare la lotta per boicottaggio, disinvestimento e sanzioni.
Ecco perché organizziamo proteste ed azioni e ci uniamo sempre più con fermezza
ai movimenti locali contro razzismo, fascismo, repressione e carcere. Insieme ci
avviamo sul percorso verso la resistenza e la liberazione.
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