Riprendiamo
l'editoriale di Univ-Aut.org sulla giornata di lotta contro l'Unione
Europea del 25 marzo a Roma, scritto per mettere a fuoco alcuni degli
aspetti più controversi di quella giornata, in articolare
l'atteggiamento nei confronti dei dispositivi di controllo del
ministero degli Interni e la riflessione su quali piazze abbiano
davvero cercato di attaccare il nemico UE e quali ne siano, in fin
dei conti, semplici stampelle. Buona lettura.
La giornata di
contestazione all’Unione Europea del 25 marzo a Roma si è
presentata con un potenziale politico importante: l’occasione di
dare forma plastica e concreta all’inimicizia e all’ostilità
verso le politiche che la UE rivolge contro uomini e donne fin dalla
sua fondazione, e che negli ultimi anni - caratterizzati dalla crisi
economica e sistemica - si sono fatti sempre più insopportabili e
pesanti.
Un potenziale colto con
intelligenza dai movimenti e dai territori del No Sociale che, forti
della sfida
vinta con la manifestazione del 27 novembre a Roma e il successo della campagna per il No Sociale al referendum costituzionale, hanno saputo avviare un percorso di critica e conflitto contro le istituzioni internazionali della UE. Ponendosi l’obiettivo di rappresentare e dare corpo e sangue alle tendenze di rifiuto delle politiche di austerità e impoverimento, al bisogno di riscatto delle giovani generazioni di precari e studenti, alla libertà di movimento conquistata a caro prezzo dai migranti che tentano di superare le frontiere della Fortezza Europa.
vinta con la manifestazione del 27 novembre a Roma e il successo della campagna per il No Sociale al referendum costituzionale, hanno saputo avviare un percorso di critica e conflitto contro le istituzioni internazionali della UE. Ponendosi l’obiettivo di rappresentare e dare corpo e sangue alle tendenze di rifiuto delle politiche di austerità e impoverimento, al bisogno di riscatto delle giovani generazioni di precari e studenti, alla libertà di movimento conquistata a caro prezzo dai migranti che tentano di superare le frontiere della Fortezza Europa.
Era una piazza difficile,
senza dubbio. Ma il coraggio unito alla determinazione politica ha
portato dopo importanti assemblee nazionali tenutesi a Roma,
nella Marche con Abitare nella Crisi, a Bologna con “tempo di
riscatto”, a qualificare la giornata di lotta nella sua valenza
politica anche a partire dall’apparente distanza siderale
determinata dalla stanza dei bottoni dei burocrati della UE dalle
sofferenze da loro prodotte sulla vita di milioni e milioni di uomini
e donne. Il tutto avveniva in un clima di martellante europeismo
narrato come l’argine necessario all’avanzata dei nazionalismi e
dei populismi, quando sappiamo che queste posizioni sono utili l’una
all’altra per mantenere il dominio dell’UE della finanza e del
grande capitale sulle popolazioni, ed entrambe non disdegnano –
sebbene con tonalità differenti – di soggiogare il migrante, di
umiliare il povero, di massacrare il precario.
Aver legato il percorso
con una chiara e netta posizione contro il nazionalismo e la lucida
consapevolezza politica dell’irriformabilità della UE ha prodotto
uno spazio di movimento inedito e in discontinuità con i punti di
vista più tradizionali che si sono articolati durante la giornata,
la quale nel suo complesso dalla mattina alla sera ci sembra aver
mostrato non pochi limiti e debolezze di cui il governo Gentiloni ha
approfittato per sperimentare un passo in avanti nella prassi della
scienza dell’ordine pubblico.
Narrare la piazza per la
riforma di sinistra della UE (alla presenza di Libera del “siamo
tutti sbirri” si accompagnava quella del ministro Orlando
co-firmatario del decreto Minniti, che per coerenza sarebbe dovuto
essere cacciato a pedate) come una piazza di movimento, ha offerto al
ministro dell’Interno una prima possibilità di mettere a valore lo
“screening ideologico” e la differenziazione, così come
l’assetto quasi liturgico del corteo del concentramento a Piramide
ha permesso alla questura di dettarne ritmi e tempi, provocando con
centinaia di celerini una parte del corteo ritenuta troppo lenta,
mentre davanti altri, veloci, raggiungevano la piazza della Bocca
della Verità. A testa alta e in cordone la provocazione questurina è
stata respinta ma il dato dell’accettazione di un percorso
depotenziante il valore politico della giornata imposto dalla
questura e accettato dagli organizzatori della manifestazione resta
e, su questo limite, bisognerà riflettere per le future occasioni.
Il focus del ministro
degli interni Minniti d’altronde si è concentrato sul percorso che
con maggiore intransigenza ha avuto il merito di cogliere i dati
materiali e non ideologici della critica all’Unione Europea e
all’emergere del nazionalismo, presentando in piazza le istanze
concrete del conflitto sociale legato alle giovani generazioni di
studenti e precari, inquilini resistenti e occupanti di casa
proveniente da tutta Italia, e operai della logistica insieme a
numerosi attivisti e attiviste impegnati in variegate espressioni
delle resistenze sociali.
Contro queste esperienze
si è scatenata la criminalizzazione a mezzo stampa e la repressione
preventiva che ha utilizzato il ricorso a più di 2000
identificazioni pre-corteo, all'internamento dentro una sorta di CIE
per quasi 200 manifestanti, a fogli di via e perquisizioni, fino ad
un sostanziale apparentamento con il jihadismo costruito
mediaticamente attraverso il mix tra il post-attentato di Londra e
“l’allarme” per la giornata di Roma. E’ bastata la
presenza delle istanze più alte e critiche al disgraziato presente
di fame, sofferenze e lutti provocato dall’ordine della UE per
smascherare “il sovrano”, nudo delle sue vesti di democrazia
formale, e armato fino ai denti di dispositivi repressivi così detti
“non convenzionali”.
A ben vedere nel resto
d’Europa le scene che abbiamo visto a Roma sabato scorso sono la
norma, e francamente in un contesto mediatico e politico del genere
sarebbe invece stato sorprendente un atteggiamento poliziesco diverso
da questo. Di conseguenza deve essere rinnovato l'impegno collettivo
a fare in modo che il Re Nudo si mostri inefficace a mettere in
discussione la libertà di dissentire dal presente nelle forme che
gli sfruttati e le sfruttate ritengono più utili.
Del resto l’emersione di
Minniti a unico esponente politico in prima pagina sui giornali e nel
dibattito pubblico rende bene l’idea della fase in cui ci troviamo.
Un Partito Democratico allo sbando dopo la Caporetto del 4 Dicembre
ha imposto al paese un governo tecnico de facto, dove Gentiloni non
può far nulla che non sia gradito ad un Renzi fintamente messosi da
parte. L’unico imperativo dell’esecutivo è assicurare la
transizione verso la prossima tornata elettorale assicurandosi che la
situazione politica resti tranquilla. Come di consueto in queste
fasi, emerge la Ragion di Stato ad approvare tutti quei provvedimenti
che un governo “politico” difficilmente potrebbe far passare.
Il decreto Minniti è
l’esempio di questo modo di agire, e dovremo necessariamente capire
come riuscire ad attaccarlo per evitare che si trasformi in
dispositivo permanente di controllo, consuetudine dello Stato oltre i
singoli equilibri politici. Nel farlo, dovremo rifiutare però di
stare all’interno del recinto dove quel dispositivo vuole
rinchiuderci: proprio come abbiamo fatto il 25 marzo dobbiamo
osare anche l’impossibile per segnalare “ai nostri” che vivono
il disagio abitativo, la precarietà diffusa, le mille forme di
impoverimento che c’è chi ostinatamente si contrappone, lotta e
resiste, senza mai chinare il capo o sottrarsi alle proprie
responsabilità anche davanti al rischio.
D’altronde nel tempo del
riscatto possibile è giusto e legittimo osare l’impossibile. Ciò
ha significato anche ritenere il 25 marzo un momento quasi dovuto
dove tentare con ogni mezzo l’azione della critica e della
contestazione, e in un clima dove tutti i media hanno imposto la
narrazione della paura, lo spezzone che abbiamo contribuito a
costruire è stato quello più ricco di energie conflittuali
provenienti dalle lotte concrete e soprattutto di giovani precari e
studenti che hanno avuto uno spazio non addomesticato per poter
esprimere la propria rabbia. Vogliamo quindi partire da qui per
immaginare altri ritmi del tempo di riscatto che ci porteranno a
nuove contestazioni e giornate di conflitto sociale.
Aver raggiunto la Bocca
della verità a testa alta e in cordone e guardando fisso negli occhi
la macchina repressiva che aveva determinato il regime di paura,
selezione, prevenzione e controllo del conflitto sociale è un dato
da cui ripartire assumendo criticamente anche i limiti complessivi di
una giornata di mobilitazione irregimentata tra differenziazione e
liturgia. Non vogliamo avanzare l’ipotesi per cui il dispositivo
degli interni diventerà norma, che troppo si accompagna al “si
salvi chi può”, ma neanche ritenere effimera l’eccezione della
dimostrazione di forza dello stato utile solo ad assuefarci alla
repressione e al controllo sociale, riteniamo infatti che quanto
accaduto sabato scorso debba spingere i movimenti sociali
ad esprimere una rinnovata intelligenza creativa dell’iniziativa
e a massificare e potenziare il coinvolgimento di molto e molte nei
percorsi dei conflitti e delle resistenze.
E’ chiaro che lo scarto
non si dà nei termini dell’invenzione geniale del singolo
attivista e neanche di qualche centinaia di manifestanti in più, al
contrario lo scarto si può dare solo continuando con ostinazione a
osare l’impossibile all’interno dei contesti sociali dove
insistono le militanze.
Per quanto ci riguarda
infatti l’ipotesi di iniziativa all’interno degli ambiti
giovanili più colpiti della precarietà e dall’università azienda
resta uno degli assi decisivi per costruire collettivamente la leva
antagonista e fare in modo che le misure tra i grandi organismi
internazionali e la propria condizione di precario e sfruttato si
accorcino per meglio colpire la controparte, d’altronde come
centinaia di studenti e studentesse a Bologna hanno imparato nelle
ultime settimane, le barricate non servono solo a difendersi, ma
camminandoci sopra si vede meglio l’orizzonte.
Individuare
territorialmente le articolazioni, le collocazioni del potere e lì
situatamente romperle per aprire gli spazi dell’allargamento. Alla
ricerca dei tornelli in ogni città. Nel tempo del riscatto
possibile continuiamo a dar adito, ad incitare l'ingovernabilità.
L'assemblea studentesca del 12 marzo a Bologna ha rappresentato un
momento di notevole importanza da non disperdere ma da confermare
come metodo di confronto, organizzazione e generalizzazione delle
istanze sociali che si esprimono nei territori. Oltre le
specificità, in cammino collettivo dentro e contro l'università, le
scuole, i luoghi di lavoro e le metropoli.
Così, più maturi a
partire dai limiti e dai punti di forza di questa importante giornata
di lotta, invitiamo tutti e tutte a prepararsi per una nostra
primavera politica attrezzandoci di sano realismo… quello che
sa osare l’impossibile!
Pubblicato in NOTES
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