13 attivisti sindacali della Maruti condannati al carcere a vita per aver lottato per formare il sindacato e per l’abolizione del sistema del lavoro in appalto
19
marzo, 2017
Il
pomeriggio del 18 marzo 13 nostri fratelli – 12 di questi sono
membri del Maruti Suzuki Workers Union – sono stati condannati al
carcere a vita con l'accusa infondata di ‘omicidio’ dalla Sezione
Aggiunta del Tribunale di Gurgaon. Altri 4 operai sono stati
condannati a 5 anni. Altri 14 a 3 anni, ma ne hanno già trascorsi 4
in carcere, quindi sono stati rilasciati. Ai restanti 117 lavoratori
assolti, che hanno passato più di 4 anni in carcere, non sappiamo
ancora chi risarcirà loro gli anni perduti. Sono 148 i lavoratori
tenuti in carcere dal 2012 senza libertà senza cauzione e 2500 i
lavoratori prima illegalmente licenziati e poi continuamente
perseguitati dalla repressione di Stato.
Respingiamo
la menzogna che è stato ‘processo obiettivo’. L'accusa e la
sentenza non si basano su alcuna prova ma su falsi testimoni e puro
odio di classe.
[Per
i dettagli sull’argomento vedi:
https://marutisuzukiworkersunion.wordpress.com/2017/03/09/judicial-verdict-on-10-march-appeal-and-update-on-justice-for-maruti-workers/
].
I
lavoratori non sono in nessun modo coinvolti nella sfortunata morte
di Avanish Kumar Dev, un
dirigente amico dei lavoratori che li aveva aiutati per la registrazione del Sindacato, come è stato definitivamente dimostrato dalla difesa durante il processo. Gli incidenti del 18 luglio 2012 sono stati innescati da un supervisore che ha aggredito con insulti a sfondo di casta un operaio Dalit, Jiyalal, e deciso la sospensione del lavoratore, poi divenuto il ‘primo accusato’ nel processo. L'intero caso è parte delle manovre della Direzione per mettere fine al sindacato, un attacco allo stesso diritto all’organizzazione sindacale, in particolare alle rivendicazioni di abolizione del sistema di lavoro in appalto che stava sollevando, e al simbolo che è diventato della lotta di tutti i lavoratori.
dirigente amico dei lavoratori che li aveva aiutati per la registrazione del Sindacato, come è stato definitivamente dimostrato dalla difesa durante il processo. Gli incidenti del 18 luglio 2012 sono stati innescati da un supervisore che ha aggredito con insulti a sfondo di casta un operaio Dalit, Jiyalal, e deciso la sospensione del lavoratore, poi divenuto il ‘primo accusato’ nel processo. L'intero caso è parte delle manovre della Direzione per mettere fine al sindacato, un attacco allo stesso diritto all’organizzazione sindacale, in particolare alle rivendicazioni di abolizione del sistema di lavoro in appalto che stava sollevando, e al simbolo che è diventato della lotta di tutti i lavoratori.
La
natura di questo processo è stata evidente sin dall'inizio, per il
modo sprezzantemente repressivo in cui, dopo il 18 luglio 2012,
migliaia di lavoratori sono stati continuamente perseguitati dal
blocco formato dalla direzione, governo, apparati di polizia,
amministrazioni e Uffici del Lavoro. Questo processo - realizzato
mentre Gurgaon e Manesar erano trasformate in campi di Polizia - è
apertamente antioperaio e fortemente influenzato dagli interessi
della direzione dell’azienda, per 'dare l'esempio', seminare paura
e terrore tra tutti i lavoratori industriali del paese, in
particolare nella cintura tra Gurgaon e Neemrana, in Haryana e
Rajasthan. Nelle argomentazioni finali - molto simili a quelle della
sentenza dell’Alta Corte di Chandigarh del maggio 2013, che ha
negato ai lavoratori la libertà su cauzione – la Procura ha
evocato la 'pena di morte' per i lavoratori, ha parlato della
necessità di ristabilire la 'fiducia' dei capitali, e ha citato la
campagna del Primo Ministro per richiamare gli investitori di tutto
il mondo 'Make in India'. La fiducia dei capitalisti stranieri e
nazionali dipende da una cosa: una forza lavoro a basso costo e
disciplinata, dunque niente sindacati né rivendicazioni.
Attaccando
selettivamente l'intero organismo dell'Unione, i signori dell’Azienda
vogliono dirci che il movimento dei lavoratori, il diritto
all’organizzazione e gli altri diritti sindacali, così come i
diritti umani dei lavoratori in tutto il paese, saranno semplicemente
schiacciati dai capitalisti e dallo Stato (con mezzi illegali e
legali). Hanno
attaccato i membri del nostro sindacato solo perché sono stati alla
guida della lotta contro le forme di sfruttamento in fabbrica
praticate dall’azienda e
dal 2011 stavano conducendo una lunga legittima lotta per i diritti
sindacali e la dignità, in permanente unità tra dipendenti stabili
e lavoratori precari dell’appalto, rivendicando l'abolizione del
sistema di lavoro in appalto, la dignità sul posto di lavoro e la
fine delle pratiche di sfruttamento da parte della direzione. Il
1° marzo 2012 il nostro Sindacato è stato finalmente registrato.
Questa affermazione lavoratori non era accettabile per la direzione,
che ha cercato di schiacciare il nostro Sindacato, specie dopo la
presentazione, nell’aprile 2012, della nostra Piattaforma, che
rivendicava l'abolizione del sistema del lavoro in appalto. Così
hanno cospirato per esasperare lo scontro, fino al 18 luglio 2012.
La
nostra lotta, piena di vitalità e speranze, ha trasmesso energie
positive ad altri lavoratori per combattere simili condizioni di
sfruttamento in tutta l’area industriale e anche oltre, dalla Honda
alla Rico, dalla Asti alla Shriram Pistons, dalla Daikin AC alla
Bellsonica, per citarne solo alcuni. Nell'interesse delle direzioni
aziendali, occorreva che questa affermazione collettiva dei
lavoratori fosse schiacciata e che ‘imparassero la lezione’.
Lotte ed episodi simili di repressione dei movimenti dei lavoratori
ci sono state alla Graziano Trasmissions di Noida, alla Regent
Ceramics di Puducherry, alla Pricol in Chennai ecc. Questa sentenza è
nel solco di questa repressione, e ne accelera il passo. Così le
aree industriali sono state trasformate in campi di Polizia.
L’AD
della Maruti Suzuki, RC Bhargava, ha dichiarato che si tratta di una
‘guerra di classe’. E ciò che il governo sta ubbidientemente
facendo è trasformare le vertenze tra lavoratori e aziende in un
problema di ‘ordine pubblico’, per criminalizzare i lavoratori in
lotta per i loro diritti all’organizzazione sindacale e contro il
sistema dell’appalto. Noi condanniamo questa criminalizzazione dei
lavoratori.
Tanta
e continua repressione non ci ha né impauriti, né stancati. Ha solo
accelerato l’unità dei lavoratori al di là delle divisioni tra
lavoratori stabili e a contratto e l’affermazione indipendente di
classe che, contro i continui attacchi dell’attuale regime
Aziende-Stato di sfruttamento-repressione, possiamo portare avanti la
lotta. Già dal 9 marzo centinaia di migliaia di lavoratori delle
aree industriali hanno fatto azioni di solidarietà e il 16 marzo
oltre 100.000 hanno fatto scioperi della fame in Haryana, Rajasthan,
Uttar Pradesh, Tamil Nadu. Il 18 marzo, subito dopo la sentenza,
30.000 lavoratori in 5 fabbriche Maruti Suzuki hanno fatto una
fermata [“tool down”] di un'ora in solidarietà, nonostante la
direzione, come sempre, abbia cercato di impedirlo intimando di
lavorare e annunciando una multa di 8 giorni di salario. Dal 16 marzo
ci sono state diverse manifestazioni di lavoratori, studenti,
attivisti dei diritti umani ed altre organizzazioni democratiche in
oltre 20 città, e anche petizioni, dichiarazioni e iniziative di
solidarietà in 21 paesi.
Il
23 marzo – anniversario dell’esecuzione di Shaheed Bhagat Singh –
la Maruti Suzuki Mazdoor Sangh (MSMS), coordinamento dei lavoratori
la di tutte le 6 fabbriche Maruti Suzuki, hanno proclamato il 'Chalo
Manesar', chiamando a raccolta migliaia di lavoratori per un presidio
di protesta a Manesar. Facciamo appello a tutte le forze amiche dei
lavoratori a partecipare a questa protesta.
Riteniamo inoltre necessaria una giornata nazionale di protesta,
indicativamente il 4 aprile. In questo momento decisivo e cruciale,
facciamo appello a tutti i lavoratori e alle forze dalla parte dei
lavoratori a sostenere la richiesta di liberare i lavoratori
condannati, a condurre una lotta prolungata per garantire giustizia e
diritti per i lavoratori, e a manifestare la loro solidarietà in
ogni modo possibile.
23
marzo: ko Chalo Manesar!
Liberare
i lavoratori Maruti!
Basta
col regime di sfruttamento-repressione nelle cinture industriali!
Comitato
di Lavoro Provvisorio Maruti
Suzuki Workers Union
18 marzo 2017
18 marzo 2017
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