Un’assemblea partecipata, oltre cento le presenze: dal Piemonte, dalla Toscana, dall’Emilia Romagna, dal Lazio, dalla Campania.
Operai della Fiat di
Pomigliano e di Mirafiori, dell’Alenia e delle Coop. rosse, della Città
della Scienza napoletana e dei servizi pubblici (magari privatizzati
come l’azienda di trasporto pubblico fiorentina ceduta da Renzi a
Moretti delle RFI, dove basta che – da dipendete – ci si schieri a
tutela dei diritti dei parenti delle vittime della strage di Viareggio
per essere licenziati).
I vari interventi
hanno ricostruito il clima di caserma che si vive nelle fabbriche e nei
luoghi di lavoro in generale. Licenziamenti finalizzati a disciplinare
la forza-lavoro non soltanto nei momenti di massima conflittualità ma
anche in termini preventivi. Un minimo dissenso e si torna a casa, senza
giusta causa (ecco perché Renzi ed il suo governo confindustriale
vorrebbero eliminare l’obbligo di reintegro previsto dall’art. 18 dello
Statuto dei lavoratori, peraltro già ampiamente compresso dalla Legge
Fornero).
Un compagno di
Mirafiori racconta di come abbia dovuto subire veri e propri pedinamenti
per mesi, sia dentro che fuori la fabbrica, fino ad essere licenziato,
per aver svolto attività sindacale conflittuale. In un altro caso, una
semplice maglietta con un messaggio critico nei confronti delle
politiche aziendali, peraltro indossata in orari e luoghi non
lavorativi, ha comportato il licenziamento di un operaio, nascosto
dietro le ragioni della rottura del rapporto fiduciario. Altre volte
basta un’intervista alla tv nella quale si evidenziano oggettive
deficienze del servizio offerto, per essere spediti a casa. Più
interventi sono venuti da operai/facchini della logistica, legati alle
cooperative rosse ed alla Granarolo che hanno animato negli ultimi tempi
un’importante battaglia, sia di sindacalizzazione che di rivendicazione
dei diritti sui luoghi di lavoro, che è partita dal rifiuto di
accettare una decurtazione del 35% del salario. Proprio gli “ultimi”
della classe,
gli immigrati – regolari o meno che fossero –, spesso con difficoltà di
inserimento, linguistiche, di comprensione del quadro normativo,
sottopagati, hanno animato una lotta che ha portato i suoi frutti, in
termini materiali e simbolici, proiettandosi anche in una dimensione
intercategoriale.
La repressione, tuttavia, non assume soltanto i connotati dell’atto estremo, del licenziamento, ma di tutta una serie di pressioni e provvedimenti sanzionatori che incidono sulla qualità
del lavoro, sull'agibilità politico-sindacale nei luoghi di lavoro,
sullo stesso salario. La lotta degli operatori del trasporto pubblico
fiorentino privatizzato, ad esempio, è costata ben 850 denunce per
interruzioni di pubblico servizio, 4 giorni di sospensione dal lavoro
per ogni aderente allo sciopero e 360.000 euro di multa complessivi.
Da più parti è stata indicata la necessità di sperimentare percorsi
di coinvolgimento dei lavoratori in una prospettiva di lotta che muova
passi decisi contro i licenziamenti politici, che non riguardano
soltanto i diretti interessati ma tutti i lavoratori, essendo soltanto
la punta dell’iceberg, il grimaldello con cui il padronato scardina le
avanguardie della classe per indebolire tutto il corpo lavorativo. Per dare forza a tale prospettiva, è stato proposto da alcuni compagni che, quantomeno le organizzazioni sindacali di base, conflittuali, si coordinino per non firmare alcun accordo con la parte padronale in contesti aziendali ove si siano consumati licenziamenti politici e siano stati adottati provvedimenti sanzionatori tesi a colpire l’agibilità sindacale. Nessun accordo senza un preventivo ritiro di tali provvedimenti.
Nota:
* Di seguito gli organizzatori dell'evento: Comitato cassaintegrati
Fiat di Pomigliano d’Arco / Unione Sindacale di Base / Confederazione
COBAS / S.I. COBAS / Clash City Worker / Laboratorio Politico Iskra /
Rete dei Comunisti / Comunisti per l’Organizzazione di Classe /
Collettivo AutorganizzatoUno strumento indispensabile per capire di che parliamo - si può richiedere a pcro.red@gmail.com
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