La difesa dei quattro No Tav: "Il terrorismo è un'altra cosa"
Al processo per l'assalto al cantiere di Chiomonte parla l'avvocato Novaro: "L'accusa di eversione è esclusa dalla stessa Cassazione, e comunque quell'attacco non ha mai messo a rischio l'opera"
Assoluzione dall'accusa di terrorismo, concessione dell'attenuante di aver agito per "motivi di particolare valore morale e sociale", concessione della sospensione condizionale della pena in base al calcolo di una condanna che si aggira intorno ai due anni: sono le richieste dell'avvocato Claudio Novaro, difensore dei quattro attivisti No Tav nel processo che li vede accusati di terrorismo per l'attacco del 14 maggio 2013 al cantiere di Chiomonte. Un'accusa per la quale l'accusa ha chiesto 9 anni e 6 mesi.
Novaro è stato il primo difensore a parlare affrontando, in una arringa durata due ore, la sola imputazione di terrorismo, quella stessa che già la Cassazione ha fatto vacillare con un pronunciamento in relazione alla misura cautelare impugnata prima al riesame e poi alla Suprema Corte. La Cassazione ha infatti confermato il carcere ai quattro imputati ma in ragione degli altri reati contestati, e in particolare al possesso di armi da guerra, riferito alle molotov. Tant'è vero che Mattia Zanotti, Niccolò Blasi, Claudio Alberto e Chiara Zenobi sono detenuti dal 9 dicembre scorso in regime di massima sicurezza con divieti di colloqui, divieto di comunicare tra loro e con alcuni periodi di isolamento. "La carcerazione sofferta dai quattro signori che sono dentro le gabbie - ha detto Claudio Novaro - è purtroppo consona a quella violenza terroristica di cui forzatamente sono stati accusati. Per questo ritengo che sia arrivato il momento di ricondurre anche questo aspetto alla ragionevolezza e discutere dei reati corretti quelli che anche la Cassazione ha riconosciuto motivati".
Proprio la Cassazione viene citata dai difensori per la qualificazione del reato di terrorismo con le sue precedenti sentenze. In particolare viene i citata la sentenza del processo Pellissero partito proprio da Torino: "Non basta che la finalità terroristica sia ideativa ma è necessario che nel comportamento si possa concretizzare questa finalità eversiva. Non può essere finalità terroristica la volontà se non c'è l'idoneità offensiva delle condotte". E nel blitz al cantiere che si discute nel processo, secondo la difesa, non si riscontra in alcun modo l'idoneità offensiva degli imputati. Né si ritiene che l'azione degli imputati sia mai stata in grado di mettere lo Stato in condizione di rinunciare all'opera. "Siamo nel campo dell'iperbole fantastica - ha detto Novaro - quando parliamo di un'opera messa a rischio dall'azione No Tav di quella notte". "E temo che ci troviamo anche di fronte a un grave deficit di conoscenza politica" ha aggiunto.
"Il gesto del maggio 2013 non aveva alcun altro intento che quello simbolico e di comunicazione politica, nessuno può davvero aver pensato che quell'azione potesse rallentare i lavori. Se ci confrontiamo con pubblicazioni come la Lavanda, come hanno fatto i pubblici ministeri, non possiamo non sapere che nessuno qui si pone il problema della interlocuzione politica. I nuovi movimenti anarchici da cui provengono pubblicazioni come lavanda e evidentemente gli imputati non si pongono minimamente la questione, non appartiene al lessico culturale, all'alfabeto politico di quelle aree il tema della interlocuzione politica. Qui è tutta un'altra storia, che non riguarda nessun rapporto diretto con le istituzioni. La violenza che possiamo condannare è solo quella diretta al povero compressore, che è l'unica vera vittima di quell'azione. Ma che non è riconducibile in alcun modo alla violenza terroristica".
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