Turchia: poteri speciali alla polizia e stretta repressiva sulla
In
un nuovo giro di vite che ha già causato aspre polemiche e critiche, il
governo turco ha annunciato che intende dare alle forze dell'ordine
maggiori poteri.
Il ministero degli esteri ha ultimato lunedì la redazione del "pacchetto di riforma della sicurezza interna" e ha inviato alla presidenza della Grande assemblea nazionale della Turchia (Tbmm), il parlamento turco, perché ne calendarizzi la discussione. Il primo firmatario del provvedimento è il premier Ahmet Davutoglu che a ottobre aveva annunciato norme straordinarie per prevenire manifestazioni violente dopo l’uccisione di circa 50 manifestanti, da parte della polizia ma anche di gruppi islamisti radicali o nazionalisti di estrema destra nel corso delle proteste popolari organizzate dai partiti curdi e dall’estrema sinistra turca contro il sostegno di Ankara ai jihadisti dello Stato Islamico che assediano Kobane (nel Kurdistan siriano).
Secondo le norme contenute nella nuova proposta di legge in discussione in parlamento, infatti, aumenterà il periodo di detenzione preventiva consentito, l'uso della pistola d'ordinanza potrà essere usata in un numero maggiore di casi e le intercettazioni telefoniche degli indagati saranno più facili. Sulla base del provvedimento governativo la polizia potrà ascoltare le conversazioni telefoniche di un sospetto per ben 48 ore senza dover chiedere l'autorizzazione di un giudice. Gli agenti inoltre potranno trattenere in stato di fermo fino a 24 ore chiunque venga arrestato durante una "manifestazione non autorizzata", estendibili a 48 nel caso di "manifestazioni violente".
Inasprimento delle pene – da tre mesi a tre anni di reclusione - anche nei confronti di chi canterà slogan o esporrà bandiere o simboli di organizzazioni dichiarate illegali, come ad esempio il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) o alcuni gruppi marxisti turchi. Inoltre gli agenti potranno sparare contro manifestanti che lanciano molotov contro la polizia "fino a quando l'attacco sarà neutralizzato". Si tratta di comportamenti e pene in gran parte già applicate dalle forze di sicurezza e dalla magistratura di Ankara nei confronti dei dissidenti politici, dei militanti curdi e dei manifestanti scesi in piazza in questi anni contro il governo, ma che ora verranno di fatto legalizzati e sanciti da una vera e propria controriforma repressiva scattata dopo la vittoria elettorale dei liberalislamisti dell’Akp prima alle elezioni amministrative e poi alle presidenziali.
Come se non bastasse, le nuove norme che saranno presto approvate dal parlamento – dove l’Akp dispone di un’ampia maggioranza che mette il governo a riparo da eventuali brutte sorprese - introducono anche un nuovo requisito per ottenere la cittadinanza turca, quello di rispettare la "moralità generale". Una donna straniera che deciderà di sposare un cittadino turco dovrà dimostrare di essersi comportata in conformità con alcune norme morali sancite per legge altrimenti potrebbe vedersi rifiutare la concessione della cittadinanza. Nel testo presentato dall’esecutivo, ha informato il quotidiano Hurriyet, si fa riferimento all’espressione “genel ahlak”, in italiano traducibile come “moralità generale”, in riferimento ad una serie di norme di fatto religiose che prescindono da eventuali carichi pendenti con la giustizia del proprio paese normalmente valutati per la concessione del passaporto. Una svolta moralista e pesantemente restrittiva di fatto annunciata dal presidente Erdogan quando, pochi giorni fa, nel corso di un Summit dedicato a donne e giustizia, l’ex premier ha detto chiaramente che l’eguaglianza tra i due sessi “non è naturale” e che le donne devono stare al loro posto.
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Il ministero degli esteri ha ultimato lunedì la redazione del "pacchetto di riforma della sicurezza interna" e ha inviato alla presidenza della Grande assemblea nazionale della Turchia (Tbmm), il parlamento turco, perché ne calendarizzi la discussione. Il primo firmatario del provvedimento è il premier Ahmet Davutoglu che a ottobre aveva annunciato norme straordinarie per prevenire manifestazioni violente dopo l’uccisione di circa 50 manifestanti, da parte della polizia ma anche di gruppi islamisti radicali o nazionalisti di estrema destra nel corso delle proteste popolari organizzate dai partiti curdi e dall’estrema sinistra turca contro il sostegno di Ankara ai jihadisti dello Stato Islamico che assediano Kobane (nel Kurdistan siriano).
Secondo le norme contenute nella nuova proposta di legge in discussione in parlamento, infatti, aumenterà il periodo di detenzione preventiva consentito, l'uso della pistola d'ordinanza potrà essere usata in un numero maggiore di casi e le intercettazioni telefoniche degli indagati saranno più facili. Sulla base del provvedimento governativo la polizia potrà ascoltare le conversazioni telefoniche di un sospetto per ben 48 ore senza dover chiedere l'autorizzazione di un giudice. Gli agenti inoltre potranno trattenere in stato di fermo fino a 24 ore chiunque venga arrestato durante una "manifestazione non autorizzata", estendibili a 48 nel caso di "manifestazioni violente".
Inasprimento delle pene – da tre mesi a tre anni di reclusione - anche nei confronti di chi canterà slogan o esporrà bandiere o simboli di organizzazioni dichiarate illegali, come ad esempio il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) o alcuni gruppi marxisti turchi. Inoltre gli agenti potranno sparare contro manifestanti che lanciano molotov contro la polizia "fino a quando l'attacco sarà neutralizzato". Si tratta di comportamenti e pene in gran parte già applicate dalle forze di sicurezza e dalla magistratura di Ankara nei confronti dei dissidenti politici, dei militanti curdi e dei manifestanti scesi in piazza in questi anni contro il governo, ma che ora verranno di fatto legalizzati e sanciti da una vera e propria controriforma repressiva scattata dopo la vittoria elettorale dei liberalislamisti dell’Akp prima alle elezioni amministrative e poi alle presidenziali.
Come se non bastasse, le nuove norme che saranno presto approvate dal parlamento – dove l’Akp dispone di un’ampia maggioranza che mette il governo a riparo da eventuali brutte sorprese - introducono anche un nuovo requisito per ottenere la cittadinanza turca, quello di rispettare la "moralità generale". Una donna straniera che deciderà di sposare un cittadino turco dovrà dimostrare di essersi comportata in conformità con alcune norme morali sancite per legge altrimenti potrebbe vedersi rifiutare la concessione della cittadinanza. Nel testo presentato dall’esecutivo, ha informato il quotidiano Hurriyet, si fa riferimento all’espressione “genel ahlak”, in italiano traducibile come “moralità generale”, in riferimento ad una serie di norme di fatto religiose che prescindono da eventuali carichi pendenti con la giustizia del proprio paese normalmente valutati per la concessione del passaporto. Una svolta moralista e pesantemente restrittiva di fatto annunciata dal presidente Erdogan quando, pochi giorni fa, nel corso di un Summit dedicato a donne e giustizia, l’ex premier ha detto chiaramente che l’eguaglianza tra i due sessi “non è naturale” e che le donne devono stare al loro posto.
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