"...Noi
diciamo “In morte della Famiglia” per dire in modo provocatorio
che la famiglia è un anello chiave della marcia verso il moderno
fascismo del governo e dello Stato. Il moderno fascismo non potrebbe
realizzarsi senza fare della famiglia una sua base principale, sia in
senso di subordinazione, di essere piegata, funzionale alle scelte
del governo e dello Stato, sia in senso di sostenitrice attiva,
combattente in termini ideologici, di simbolo e propaganda di valori
di quelle scelte politiche.
La
famiglia, soprattutto proletaria, è il luogo centrale in cui si
gestisce un’economia sociale sempre più povera, si amministrano i
salari sempre più ridotti o inesistenti, si gestiscono gli aumenti
del costo della vita. La famiglia proletaria garantisce nella fase di
attacco, di crisi, di attutire l’impatto devastante di queste
politiche. L’assistenza tra familiari, da normale relazione tra
persone basata sui legami sentimentali diventa un obbligo, diventa
uno schiavismo insopportabile per le donne, e spesso provoca crisi e
depressione. Nella famiglia ritornano i lavoratori licenziati,
restano per anni figli disoccupati. La famiglia comunque garantisce
il loro sostentamento e di limitare conseguenze più gravi e più
pericolose per il sistema sociale.
La
famiglia, per questo sistema, deve fare da paracadute alle
frustrazioni, alla messa in crisi di posizioni di privilegio
dell’uomo in famiglia.
Ma
la famiglia, in particolare la famiglia medio, e a volte anche
piccolo borghese, ma influenzante anche settori di famiglie
proletarie, svolge nella marcia verso il moderno fascismo, anche una
funzione attiva, sostenitrice di valori reazionari, come la difesa
della sicurezza, i figli alla patria, il controllo sui giovani ecc.
Non c’è scampo per le donne, le catene della famiglia diventano
sempre più strette anche se a volte vengono indorate.
Per le
proletarie, per le donne delle masse popolari questa famiglia è
sempre più un ritorno ad un moderno medioevo, con fenomeni di
abbrutimento, di violenza, di apparente ritorno al passato,
soprattutto nei rapporti uomo–donna, che trovano la loro
manifestazione più eclatante appunto nei femminicidi. La ‘famiglia’
per la chiesa, per il governo, per lo Stato
è diventata invece la “sacra famiglia”. Volutamente sempre più
astratta, più neutra, non reale. Ma la famiglia è una realtà
concreta, in quelle proletarie non si arriva alla quarta ma anche
alla terza settimana non si riesce a mandare i figli agli asili per
le rette alte, in queste famiglie le donne consumano anni della loro
vita ad assistere gli anziani, devono fare le serve in casa e fuori
casa perchè è spesso il solo lavoro che si trova e quando hai uno
straccio di lavoro più decente, per esempio in fabbrica, con i turni
non riesci per giorni o settimane a stare insieme a tuo marito e ai
tuoi figli, ecc.
Non c’è poi la “famiglia”. Ci sono “le famiglie”, le famiglie dei borghesi, dei capitalisti,
dei ricchi, in cui come diceva Marx il fondamento dei rapporti tra
uomo e donna, tra genitori e figli è dato solo dal capitale, dalla
proprietà privata, in cui l’unico valore che si tramanda è quello
della capacità di far soldi e spesso le donne sono delle ricche
prostitute legalizzate o delle ligie/oscure segretarie delle oscure
scalate dei mariti finanzieri, banchieri, padroni che siano. E ci
sono le famiglie dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, in cui
nel come tirare avanti, nel come arrangiarsi, nelle speranze deluse
di una vita migliore, si consuma la vita e anche spesso i sentimenti,
in cui le uniche “distrazioni” per le donne due volte sfruttate,
due volte oppresse, devono essere i reality show delle tv, in cui, però, si insinuano, abbrutiti e senza neanche la
contropartita degli scintillanti miliardi dei borghesi, i valori
della borghesia: la proprietà che può essere solo verso la donna e
i figli, il ruolo del maschio che schiacciato sul lavoro, nella
società si rivale sulla “propria” moglie, la misera ideologia di gelosia, maschilista e fascista verso le donne.
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