venerdì 3 aprile 2020

pc 3 aprile - Un detenuto muore nel carcere di Bologna - L'urgenza di una azione congiunta: Facciamoli uscire!

Le condizioni di detenzione nelle carceri italiane sono da tempo connotate da una situazione di grave sovraffollamento e da preoccupanti carenze igienicosanitarie.
Da questo punto di vista non fa eccezione la Casa Circondariale “Rocco d’Amato” (Dozza) di Bologna, che presenta un sovraffollamento quasi doppio rispetto alla capienza regolamentare, con una presenza di quasi 900 detenuti per 492 posti. La maggior parte dei detenuti condividono in due celle singole di 10 mq, più due di bagno, nel quale si lavano anche le stoviglie. Manca l’acqua calda nelle docce della maggior parte delle sezioni. Sono presenti persone particolarmente vulnerabili, con problematiche di HIV, epatite e
tubercolosi, oltre a tutte le principali patologie oncologiche, metaboliche, cardiache e respiratorie. Persone particolarmente a rischio in caso di epidemia.
A fronte di tale situazione l’emergenza coronavirus rischia di innescare una “bomba epidemiologica” destinata a mettere gravemente a repentaglio la salute dei detenuti.
Un’eventualità rispetto alla quale l’unica “prevenzione” adottata è stata quella di sospendere i colloqui diretti con i familiari e la presenza di volontari, misura vessatoria e comunque inutile, visto che il personale del carcere proviene comunque dall’esterno. Non esistono dispositivi di protezione individuale per i detenuti, né tamponi. Solo al personale della penitenziaria sono state distribuite mascherine di carta.

L’assistenza medica ed infermieristica interna è totalmente inadeguata a fronte di tale evenienza.
Nelle attuali condizioni non è dunque possibile assicurare l’adozione delle misure indispensabili per evitare contagi.
Infatti, proprio alla Dozza si è purtroppo registrato, ieri 2 aprile, il primo caso di un detenuto morto per aver contratto il covid-19 e si contano diversi altri casi sia tra i detenuti che tra gli operatori.
Su tale situazione, comune a tutte le carceri a livello nazionale, sono intervenute numerose associazioni e personalità del mondo del diritto per chiedere l’adozione di misure di amnistia o indulto, per favorire la liberazione del maggior numero di detenuti, a partire da quelli anziani e malati, unica soluzione per evitare quello che, da più parti, viene definito “rischio carneficina”.
Con il D. L. 17 marzo 2020 n. 18 il governo ha disposto che, salvo alcune eccezioni, fino al 30 giugno 2020 i detenuti a cui rimane una pena non superiore a 18 mesi possano scontarla, su istanza, presso il domicilio, con l’impiego del braccialetto elettronico.
Una previsione peggiorativa rispetto alle norme precedenti (legge 199/ 2010), che comunque restano anch’esse in vigore come potenziale canale di accesso verso la detenzione domiciliare.
Il problema è che per poter beneficiare delle misure alternative è necessario che i detenuti dispongano di domicili idonei, condizione che molti, soprattutto migranti, non hanno.
Per far fronte a queste esigenze le associazioni Bianca Guidetti Serra e Mutuo Soccorso per la Libertà di Espressione hanno lanciato un appello alla solidarietà militante per reperire luoghi idonei allo scopo.
Ovviamente tale iniziativa si inserisce in una campagna più generale per una soluzione politica del problema che, ripetiamo, può essere garantita solo da un provvedimento di amnistia.
Attualmente sono stati resi disponibili a Bologna due appartamenti e sono state già inoltrate le richieste al Tribunale di Sorveglianza di cui si attende risposta entro pochi giorni.
L’iniziativa però richiede risorse economiche abbastanza cospicue (pagamento utenze, affitto, vitto e altre necessità) e l’attivazione di una rete di sostegno che si possa occupare della consegna dei generi di prima necessità in un momento in cui la possibilità di movimento è fortemente limitata dai decreti emergenziali.
Facciamo appello a tutte le realtà di movimento, alle associazioni, agli avvocati e ai singoli per partecipare a questa azione solidale, per fare uscire più persone possibile.

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