domenica 29 marzo 2020

pc 29 marzo - Carceri e coronavirus, a che punto siamo? A cura di SRP


Negano i pestaggi gli assassini in divisa, e invocano per loro impunità, taser, telecamere e garanzie funzionali, mentre continuano a calpestare quelle costituzionali dei detenuti, oltre che i più elementari diritti umani.

« ... a seguito delle manifestazioni di protesta messe in atto da parte di numerosi detenuti impauriti a causa dell’allarme Coronavirus, il giorno della rivolta sono entrati in 5 o 6, incappucciati e con manganelli. I detenuti sono stati massacrati di botte, trasferiti solo con ciabatte e pigiama e tenuti in isolamento per i successivi 6/ 7 giorni»

« Il giorno del trasferimento, il 12/03/2020, durante la notte, mentre si trovava presso la Casa circondariale di Foggia, le guardie esterne sono entrate in cella e hanno pestato i detenuti. Successivamente al trasferimento non ho più ricevuto notizie. Dopo dieci giorni, durante una chiamata, mio marito mi ha riferito che ci sono state altre violenze all’interno del carcere di Viterbo »

« In data 9 marzo mio fratello, durante la telefonata, mi ha riferito quanto segue: in piena notte è stato picchiato a manganellate e portato via in pigiama e ciabatte per essere trasferito in un’altra struttura, dopo la rivolta fatta alcuni giorni prima »

« Oltre allo spavento anche le mazzate mi sono preso dalla polizia, in questi giorni ho avuto un attacco di ansia, la notte non dormo più, ho tanta paura, io che non ho fatto niente le ho prese. Ci hanno sequestrato tutti i viveri, siamo stati giorni senza caffè, sigarette, detersivi, cibo. Ci hanno levato tutto! ».

Sono solo alcune delle testimonianze contenute nell’esposto in Procura della rete emergenza carcere, in seguito alle violenze della polizia nel carcere di Foggia.  

Ma a Opera anche ieri, 28 marzo, alcuni detenuti sono riusciti a comunicare a un gruppo di solidali sopraggiunti presso le mura del carcere, di quanto, ancora adesso, vengono deprivati: Riferiscono di non avere cibo, di non avere la televisione e la radio e che ci sono quindici reclusi infetti.

Sono settimane che il cibo viene loro negato, come un gesto di
rappresaglia delle guardie carcerarie e dell'amministrazione penitenziaria compiuto a seguito della rivolta.
Il cibo, come il bastone, sono l’arma del padrone. Il cibo negato, lo sciopero della fame, incoraggiato come "protesta civile" dalla stessa polizia penitenziaria esposta al rischio del contagio, sono aspetti significativi di un’unica strategia:
indebolire i corpi dei detenuti laddove non bastassero le botte e le tragiche condizioni igieniche e di sovraffollamento, la desolidarizzazione anche attraverso i trasferimenti punitivi dei rivoltosi.

Temono altre rivolte, e hanno ragione ad avere paura: dopo 2 settimane di sciopero della fame inascoltato, è salita alta la tensione nel carcere di Civitavecchia (un carcere che su 311 posti regolamentari conta 532 detenuti), dove i reclusi della I Sezione sembra abbiano «tentato di sequestrare» un poliziotto, ma la rivolta è stata subito “sedata” da polizia ed esercito.

E mentre la bomba virale sta per scoppiare anche nelle carceri (20 detenuti colpiti da Covid-19, oltre 200 quelli in quarantena), investendo tutto il territorio nazionale per il contagio diffuso dalle guardie (200 poliziotti positivi e 400 in quarantena), gli autori dei pestaggi negano ogni responsabilità e le varie procure affidano le inchieste per le rivolte all’antiterrorismo.

E questo è un dettaglio molto significante, perché un’accusa in tal senso equivarrebbe ad aprire le porte del 41 bis a tutti i rivoltosi. Ciò è grave quanto un massacro, perché dice a tutti i detenuti che si sono ribellati che possono e devono essere torturati e uccisi per aver osato lottare.

Dalle carceri è partito il seme di una rivolta, una spinta alla lotta per difendere la propria salute e quella dei propri cari, in continuità, anche cronologicamente, con l’azione, gli scioperi dei lavoratori.
Ora il destino di queste lotte è nella solidarietà, dentro e fuori le mura del carcere, perché la salute è un diritto di tutti.

Solidarietà ai rivoltosi e alle loro famiglie!

Sono le guardie carcerarie, i responsabili di questa macelleria messicana, che devono pagare!
Vogliamo che siano arrestati e processati!

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