Torino, rider pakistano muore a 31 anni di coronavirus:
Si
riaccende la polemica sulla mancanza di protezione per i
ciclofattorini. Glovo: abbiamo distribuito mascherine e avviato la
modalità di consegna senza contatti
Da
Peshawar era arrivato a Torino alcuni anni fa Sher Khan, 32 anni, metà
afgano, metà pakistano. E qui aveva trovato una bella sistemazione, una
casa a Barriera di Milano, un reddito dignitoso, l'asilo
politico, la patente e un'auto, tanto che stava pensando di far arrivare in città anche la moglie e la figlia che aveva lasciato in Pakistan.
Aveva un lavoro Sher Khan, anzi due: un posto da operaio in fabbrica con uno stipendio che arrotondava facendo consegne a domicilio con le piattaforme del food delivery. Ma il coronavirus l'ha portato via e ora la comunità pakistana in Piemonte ha lanciato una raccolta fondi per pagare le spese del funerale e aiutare la famiglia.
Sher Khan al suo arrivo in Italia era stato accolto nello Sprar del Comune di Torino gestito dalla coop Babel ed era un bell'esempio di integrazione. Tutti edrano al corrente del suo lavoro in fabbrica, ma la sua foto è stata riconosciuta anche da molti rider suoi colleghi, che sapevano anche che aveva dei problemi di salute, che gli sono state fatali dopo essere stato contagiato.
Attorno alla sua morte si è riaccesa anche la polemica dei ciclofattorini, che da quando l'epidemia di Covid-19 è scoppiata hanno denunciato le scarse misure di protezione, presentando anche un esposto in procura. Tra le criticità riscontrate, oltre alla mancanza di mascherine e disinfettanti, anche quella che i rider non vengono sottoposti a visite mediche prima di essere arruolati attraverso le piattaforme di consegna attivate sui loro smartphone.
politico, la patente e un'auto, tanto che stava pensando di far arrivare in città anche la moglie e la figlia che aveva lasciato in Pakistan.
Aveva un lavoro Sher Khan, anzi due: un posto da operaio in fabbrica con uno stipendio che arrotondava facendo consegne a domicilio con le piattaforme del food delivery. Ma il coronavirus l'ha portato via e ora la comunità pakistana in Piemonte ha lanciato una raccolta fondi per pagare le spese del funerale e aiutare la famiglia.
Sher Khan al suo arrivo in Italia era stato accolto nello Sprar del Comune di Torino gestito dalla coop Babel ed era un bell'esempio di integrazione. Tutti edrano al corrente del suo lavoro in fabbrica, ma la sua foto è stata riconosciuta anche da molti rider suoi colleghi, che sapevano anche che aveva dei problemi di salute, che gli sono state fatali dopo essere stato contagiato.
Attorno alla sua morte si è riaccesa anche la polemica dei ciclofattorini, che da quando l'epidemia di Covid-19 è scoppiata hanno denunciato le scarse misure di protezione, presentando anche un esposto in procura. Tra le criticità riscontrate, oltre alla mancanza di mascherine e disinfettanti, anche quella che i rider non vengono sottoposti a visite mediche prima di essere arruolati attraverso le piattaforme di consegna attivate sui loro smartphone.
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