Per i 680 operai “diretti” dell’azienda siciliana in amministrazione straordinaria dopo il fallimento del progetto di rilancio del gruppo proprietario piemontese, c’è la cassa integrazione a zero ore (una media di 1000 euro al mese) che durerà fino a ottobre prossimo; per circa 150 lavoratori dell’indotto della ex-Fiat la mobilità prevista dall’area di crisi industriale complessa si è trasformata in mobilità in

deroga (si è scesi progressivamente dai circa 900 euro mensili del 2017 ai poco più di 550 odierni).
Ma per altri 120 dell’indotto, gli ultimi tra gli ultimi, da marzo non c’è più nulla, perché per i licenziati post-jobs act c’era solo la Naspi, pure quella diminuita fino a 500 euro. Ora è finita anche la  Naspi e per loro non esiste alcun ammortizzatore sociale.

Termini Imerese è il paradigma di come Covid-19 sta travolgendo intere comunità ed economie già di per sé fragili.. Si aggiunge la ‘quarantena diffusa’ che obbliga a casa ognuno, impedendo anche lavori estemporanei che garantivano un minimo sostentamento a tante famiglie. E, ultima riflessione, nel caso degli operai di Blutec e indotto, si tratta di persone che negli anni avevano conquistato un lavoro regolare e apparentemente stabile.

Da quando la Fiat, dieci anni fa, ha chiuso la fabbrica perché produrre auto in quell'angolo di Sicilia costava troppo, è iniziata una via crucis industriale che ha messo in ginocchio l'economia di un intero territorio. Si è passati dai quattromila operai (tra diretti e indotto) che sfornavano la Cinquecento, la Panda, la 126, a più settecento famiglie che non vedono più un futuro davanti a sè. Hanno vissuto gli anni della grande speranza, quando Fiat dava tanto al Paese e riceveva altrettanto. Poi quelli delle improbabili scommesse di chi è subentrato al gruppo oggi più americano che italiano. Infine alla sfida visionaria di Blutec, finita nei faldoni della magistratura.