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(Sulla 4° parte) - Ritornando alla situazione interna alla
Cina che ha prodotto quest'ultima epidemia, il saggio in forme chiare
ne dimostra il legame con la restaurazione capitalista che alla fine
della Rivoluzione culturale per mano della frazione del PCC facente
capo a Deng
Xiaoping
ha prodotto il colpo di Stato che ha rovesciato la
direzione maoista del partito e costruito tappa dopo tappa, da Deng a
Xi Ping, l'odierna Cina divenuta su questa base una nuova potenza
imperialista con i piedi di argilla.
Nuova potenza imperialista scintillante
e aggressiva nel mercato mondiale sì da divenire protagonista delle
nuova contesa interimperialista nel mondo.
La nuova Cina di Xi Ping ha trasferito
in forme moderne e ai limiti selvaggi le condizioni di produzione per
il profitto, di sfruttamento e impoverimento di massa che sono il
fondamento strutturale di quest'ultima epidemia; e nello stesso tempo
gli effetti di esse nel settore chiave della sanità. Come in tutti i
paesi capitalisti e imperialisti, la Cina ha destinato la
maggiorparte dei fondi alle infrastrutture necessarie allo sviluppo
spettacolare del paese, mentre l'assistenza sanitaria e l'istruzione
sono rimasti estremamente bassi.
E proprio nel sistema sanitario si sono
addensati in forma più radicali e perfino più selvaggi i fattori di
prodotti scadenti, malasanità che hanno provocato una serie di
scandali e morti che il saggio puntualmente elenca.
Ma dopo questo, il saggio giustamente
mette in mostra come il passaggio sia stato lo smantellamento degli
straordinari sviluppi che proprio in materia di sanità e di salute
pubblica la Cina socialista guidata dal PCC di Mao Tse tung aveva
trasformato questo paese da paese povero del terzo mondo a paese in
cui anche tutti i suoi nemici ne riconoscevano i successi, dalla
mortalità infantile crollata, all'aspettativa di vita salita dai 45
ai 68 anni, alla alfabetizzazione medica di base, con il grandioso
esempio dei “medici scalzi” che ha permesso la costruzione di un
solido sistema sanitario dal basso, nonostante i livelli di
smantellamento della povertà materiale restassero ancora
insufficienti.
La restaurazione capitalista è stata
una vera e propria controrivoluzione in campo sanitario, che ha
riportato indietro la ruota della storia, rendendo la vita delle
masse proletarie e povere della nuova Cina capitalista sempre più
alla mercè delle malattie, con tantissime fasce della popolazione
priva di un'assicurazione medica di base.
Vi sono state in Cina scioperi,
proteste, azioni dirette per contrastare questo processo, ma ciò non
ha evitato il prodursi di nuove malattie trasmissibili, al ritmo di
uno/due anni.
Qui affonda la genesi e lo sviluppo del
coronavirus in questo paese.
Coronavirus non è un “virus cinese”,
è un virus del capitalismo selvaggio nella fase dell'imperialismo
putrescente che ha trovato nella Cina una clamorosa manifestazione.
Tutto questo è fondamentale che i
comunisti e il movimento proletario lo comprendano e assimilino,
perchè anche attraverso questo si comprenda che è il socialismo la
soluzione strategica all'”impero delle pandemie”.
(dal Saggio) L'età
dell'oro
I parallelismi con
l'attuale caso cinese sono particolarmente rilevanti. Il COVID-19 non
può essere compreso senza tener conto dei modi in cui gli ultimi
decenni di sviluppo della Cina all'interno del sistema capitalistico
globale e attraverso di esso, hanno plasmato il sistema sanitario del
paese e lo
stato della salute pubblica in generale. L'epidemia, per quanto nuova, è quindi simile ad altre crisi della sanità pubblica che l'hanno preceduta, che tendono a prodursi quasi con la stessa regolarità delle crisi economiche e ad essere considerate in modo simile da parte della stampa popolare – come se fossero casuali, degli eventi del tipo “cigno nero”, assolutamente imprevedibili e senza precedenti. La realtà, tuttavia, è che queste crisi sanitarie ricorrono secondo schemi caotici e ciclici, resi più probabili da una serie di contraddizioni strutturali integrate nella natura della produzione e della vita proletaria entro il regime capitalistico. Proprio come nel caso dell'influenza spagnola, il coronavirus è stato originariamente in grado di prendere piede e propagarsi rapidamente a causa di un diffuso degrado dell'assistenza sanitaria di base presso l'insieme della popolazione. Ma proprio perché questo degrado ha avuto luogo nel mezzo di una crescita economica spettacolare, è stato oscurato dallo splendore di città scintillanti e di fabbriche enormi. La realtà, tuttavia, è che in Cina le spese destinate a beni pubblici come l'assistenza sanitaria e l'istruzione rimangono estremamente basse, mentre la maggior parte della spesa pubblica è stata indirizzata verso infrastrutture in “mattoni e malta”: ponti, strade ed elettricità a basso costo per la produzione.
stato della salute pubblica in generale. L'epidemia, per quanto nuova, è quindi simile ad altre crisi della sanità pubblica che l'hanno preceduta, che tendono a prodursi quasi con la stessa regolarità delle crisi economiche e ad essere considerate in modo simile da parte della stampa popolare – come se fossero casuali, degli eventi del tipo “cigno nero”, assolutamente imprevedibili e senza precedenti. La realtà, tuttavia, è che queste crisi sanitarie ricorrono secondo schemi caotici e ciclici, resi più probabili da una serie di contraddizioni strutturali integrate nella natura della produzione e della vita proletaria entro il regime capitalistico. Proprio come nel caso dell'influenza spagnola, il coronavirus è stato originariamente in grado di prendere piede e propagarsi rapidamente a causa di un diffuso degrado dell'assistenza sanitaria di base presso l'insieme della popolazione. Ma proprio perché questo degrado ha avuto luogo nel mezzo di una crescita economica spettacolare, è stato oscurato dallo splendore di città scintillanti e di fabbriche enormi. La realtà, tuttavia, è che in Cina le spese destinate a beni pubblici come l'assistenza sanitaria e l'istruzione rimangono estremamente basse, mentre la maggior parte della spesa pubblica è stata indirizzata verso infrastrutture in “mattoni e malta”: ponti, strade ed elettricità a basso costo per la produzione.
Nel frattempo, la
qualità dei prodotti del mercato interno è spesso pericolosamente
bassa. Per decenni l'industria cinese ha prodotto esportazioni di
alta qualità e di alto valore, realizzate secondo i più alti
standard globali per il mercato mondiale, come iPhone e chip per
computer. Ma i beni destinati ai consumi sul mercato interno hanno
standard incredibilmente scadenti, il che provoca regolari scandali e
alimenta una profonda sfiducia da parte della popolazione. In molti
casi si avverte un innegabile eco che ricorda The
Jungle di
Sinclair e altri racconti dell'Età dell'oro americana. Il più
grosso caso avvenuto di recente, lo scandalo del latte alla melanina
del 2008, ha causato la morte di una dozzina di neonati e il ricovero
ospedaliero di decine di migliaia di persone (anche se i colpiti sono
stati forse qualche centinaio di migliaia). Da allora, numerosi
scandali hanno scosso con regolarità il pubblico: nel 2011, quando è
stato scoperto che l'olio recuperato dalle trappole per grassi dei
canali di scolo veniva utilizzato nei ristoranti di tutto il paese, o
nel 2018, quando dei vaccini difettosi uccisero diversi bambini, e in
seguito un anno dopo, quando dozzine di persone sono state ricoverate
in ospedale in seguito alla somministrazione di falsi
vaccini anti HPV.
Storie meno pesanti sono anche più diffuse e costituiscono un
panorama familiare per chiunque viva in Cina: preparato per zuppe
istantanee in polvere tagliato con sapone in modo da contenere i
costi; imprenditori che vendono maiali morti per cause misteriose ai
villaggi vicini; pettegolezzi dettagliati su quali negozi di strada
hanno maggiori probabilità di farti ammalare.
Un tempo, prima
dell'incorporazione pezzo per pezzo della Cina nel sistema
capitalistico globale, servizi come l'assistenza sanitaria venivano
forniti (perlopiù nelle città) nell'ambito del “sistema danwei”,
erano cioè legati all'impresa in cui si lavorava o (principalmente,
ma non esclusivamente, nelle campagne) erano forniti gratuitamente da
cliniche sanitarie locali gestite da un abbondante personale di
"medici
scalzi".
I
successi dell'assistenza sanitaria dell'era socialista –
come i suoi successi nel campo dell'istruzione di base e
dell'alfabetizzazione – furono tanto sostanziali che persino i
critici più severi del paese dovettero
riconoscerli.
La schistosomiasi,
che ha afflitto il paese per secoli, è stata sostanzialmente
spazzata via in gran parte del suo epicentro storico, salvo
ripresentarsi con vigore nel momento in cui il sistema sanitario
socialista ha iniziato a essere smantellato. La mortalità infantile
è crollata e, nonostante la carestia che accompagnò il Grande Balzo
in avanti, l'aspettativa di vita è salita da 45 a 68 anni tra il
1950 e l'inizio degli anni '80. Le vaccinazioni e le pratiche
sanitarie di base si sono diffuse su scala generale, e così pure le
informazioni di base sulla nutrizione e sulla salute pubblica, nonché
l'accesso ai medicinali rudimentali – tutto ciò era gratuito e
accessibile a tutta la popolazione. Nel frattempo, il sistema dei
medici scalzi ha contribuito a diffondere conoscenze mediche
fondamentali – sebbene limitate – a una vasta fetta della
popolazione, permettendo la costruzione di un solido sistema
sanitario dal basso in condizioni di grave povertà materiale. Vale
la pena ricordare che tutto ciò è avvenuto in un momento in cui la
Cina era un paese più povero, a livello di reddito pro capite, della
media dei paesi dell'Africa subsahariana di oggi.
A partire da quel
momento [inizio anni '80] una combinazione di trascuratezza e
privatizzazione ha notevolmente degradato questo sistema, proprio
mentre la rapida urbanizzazione e una produzione industriale non
regolamentata di beni per uso domestico e alimentare rendevano tanto
più necessaria la generalizzazione dell'assistenza sanitaria – per
non menzionare l'altrettanto importante necessità di stabilire
chiare norme in materia alimentare, sanitaria e di sicurezza.
Oggigiorno la spesa pubblica cinese per la difesa della salute è,
secondo i dati
dell'Organizzazione
mondiale della sanità, di 323 dollari pro capite. Questa cifra è
bassa anche in comparazione con quella di altri paesi a "reddito
medio-alto", ed è circa la metà di quanto spendono Brasile,
Bielorussia e Bulgaria. La regolamentazione è minima o inesistente,
con conseguenti numerosi scandali analoghi a quelli sopra menzionati.
Nel frattempo, gli effetti di questa situazione ricadono con maggiore
forza sulle centinaia di milioni di lavoratori emigranti interni, per
i quali qualsiasi diritto alle cure sanitarie di base svanisce
completamente nel momento in cui lasciano la loro città natale
rurale (luogo in cui, sotto il sistema hukou,
sono residenti permanenti indipendentemente della loro effettiva
residenza, il che significa che le risorse pubbliche rimanenti non
sono accessibili altrove).
Apparentemente, la
sanità pubblica sarebbe dovuta essere sostituita
alla
fine degli anni Novanta con un sistema più privatizzato (sebbene
gestito tramite lo stato), in cui una combinazione di contributi –
tanto da parte delle imprese quanto da parte dei dipendenti –
avrebbe dovuto sostenere i costi dell'assistenza medica, delle
pensioni e dell'assicurazione sulla casa. Ma questo regime di
previdenza sociale è stato minato da una sistematica carenza di
fondi, nella misura in cui i contributi "dovuti" da parte
dei datori di lavoro spesso semplicemente non sono versati, facendo
sì che la stragrande maggioranza dei lavoratori debba pagare di
tasca propria. Secondo l'ultima stima nazionale disponibile, solo il
22% dei lavoratori emigranti interni aveva un'assicurazione medica di
base. Il mancato versamento di contributi al sistema di previdenza
sociale non è, tuttavia, un semplice atto malevolo da parte di
padroni individualmente corrotti, è invece ampiamente dovuto al
fatto che i margini di profitto ridotti non lasciano spazio alle
indennità sociali. Nei
nostri calcoli
abbiamo scoperto che in un hub industriale come Dongguan chiedere di
sborsare le somme al momento non pagate necessarie per garantire ai
lavoratori la previdenza sociale, dimezzerebbe i profitti industriali
e porterebbe molte aziende al fallimento. Per compensare le enormi
lacune esistenti, la Cina ha istituito un regime medico supplementare
di carattere basilare a copertura di pensionati e lavoratori
autonomi, sistema che paga in media solo poche centinaia di yuan per
persona all'anno.
Questo sistema
medico assediato produce di per sé delle terribili tensioni sociali.
Numerosi membri del personale medico vengono uccisi ogni anno e
dozzine vengono feriti negli attacchi di pazienti arrabbiati o, più
spesso, dei familiari dei pazienti che muoiono durante le cure.
L'attacco più recente è avvenuto alla vigilia di Natale, quando a
Pechino un medico è stato pugnalato
a
morte dal figlio di una paziente, che riteneva che sua madre fosse
morta per le cure ospedaliere scadenti. Un sondaggio
condotto
tra i medici ha rilevato che un incredibile 85% di loro aveva subito
violenza sul luogo di lavoro e un altro, del 2015, ha rilevato
che
il 13% dei medici in Cina era stato aggredito fisicamente nel corso
dell'anno precedente. I medici cinesi visitano ogni anno il quadruplo
dei
pazienti rispetto i loro colleghi statunitensi, ma sono pagati meno
di $ 15.000 all'anno – in termini relativi si tratta di una cifra
inferiore al reddito pro capite (16.760 USD), mentre negli Stati
Uniti il salario del medico medio (circa 300.000 USD) è quasi cinque
volte più del reddito pro capite (60.200 USD). Prima della sua
chiusura (nel 2016) e l'arresto dei suoi creatori, l'ormai defunto
blog
di censimento dei disordini di Lu Yuyu e Li Tingyu riportava
le notizie di diversi scioperi e proteste da parte degli operatori
sanitari ogni mese [viii].
Nel 2015 – l'ultimo anno per il quale sono presenti per intero i
dati da loro meticolosamente raccolti – erano riportati 43 eventi
del genere. Hanno anche registrato dozzine di "incidenti da cure
mediche [proteste]" ogni mese, protagonisti familiari di
pazienti, con 368 registrati nel 2015.
In
tali condizioni di massiccio disinvestimento pubblico dal sistema
sanitario, non sorprende che il COVID-19 abbia preso piede così
facilmente. In combinazione con il fatto che nuove malattie
trasmissibili emergono in Cina al ritmo di una ogni 1-2 anni,
sembrano sussistere le condizioni affinché tali epidemie continuino.
Come nel caso dell'influenza spagnola, le condizioni generalmente
degradate della sanità pubblica per la popolazione proletaria hanno
permesso che il virus prendesse piede e, da lì, si diffondesse
rapidamente. Ma, ancora una volta, non è solo una questione di
distribuzione. Dobbiamo anche capire come il virus stesso sia stato
prodotto.
(Sulla 5° parte) – La trasformazione
dell'agricoltura in agricoltura capitalista, come anello della
produzione capitalista globalizzata, è una delle ragioni, se non
proprio la ragione fondamentale, del processo che libera i virus
vecchi e nuovi dal contesto naturale e dagli animali naturali che ne
sono portatori e li trasmette all'uomo, spesso con il tramite di popolazioni
scacciate dal loro territorio e costrette nel loro approvvigionamento
elementare ad entrare in contatto e a distruggere a loro volta gli
habitat naturali degli animali portatori del virus.
Il capitalismo rapace diventa quindi il vero responsabile nel suo processo di aggressione alla cosiddetta “natura selvaggia”, che ormai non esiste più, e ne scoperchia il 'vaso di pandora' dei virus aggressivi e del cosiddetto “spillover” che permette la trasmissione da animali a uomo.
Wallace spiega le cause di ciò che avviene, mostrandoci un uso diverso dell'analisi delle cose che bisogna conoscere per non affidarsi quotidianamente a scienziati, virologi, o apprendisti stregoni, impegnati ormai in un'operazione esclusiva di cura degli effetti mortali e ben poco sul fronte di un'"aggressione" di conoscenza scientifica, non del coronavirus, ma del sistema del capotale che lo ha prodotto.
Il capitalismo rapace diventa quindi il vero responsabile nel suo processo di aggressione alla cosiddetta “natura selvaggia”, che ormai non esiste più, e ne scoperchia il 'vaso di pandora' dei virus aggressivi e del cosiddetto “spillover” che permette la trasmissione da animali a uomo.
Wallace spiega le cause di ciò che avviene, mostrandoci un uso diverso dell'analisi delle cose che bisogna conoscere per non affidarsi quotidianamente a scienziati, virologi, o apprendisti stregoni, impegnati ormai in un'operazione esclusiva di cura degli effetti mortali e ben poco sul fronte di un'"aggressione" di conoscenza scientifica, non del coronavirus, ma del sistema del capotale che lo ha prodotto.
Certo il coronavirus ha invaso, con un meccanismo ancora non del tutto spiegato, dalla Cina all'Italia, dall'Italia agli Stati Uniti, quasi a mostrarci la faccia nera della globalizzazione capitalista, che altro non è che il normale funzionamento del sistema imperialista analizzato scientificamente da Marx e Lenin e proprio per questo attaccato o attaccabile innanzitutto dalle grandi rivoluzioni, dall'Ottobre in Russia alla Grande rivoluzione culturale proletaria in Cina, che sono, se ne facciano tutti una ragione, l'unica risposta a coloro che insistono sulla domanda: “Quando finirà?”, “Come ne usciremo?”. Non finirà mai, né ne usciremo mai, se non ciclicamente, come le crisi economiche.
E su questo non ci aiutano, se non
nella descrizione degli eventi, un ambientalismo che agita masse
consistenti ma non è in grado per la sua natura di classe di
chiamare le cose con il loro nome.
(Dal saggio) Non
c'è più una natura selvaggia
Nel
caso dell'epidemia in corso, la storia è meno semplice dei casi di
influenza suina o aviaria, che sono così chiaramente associati al
cuore del sistema agroindustriale. Da un lato, le origini esatte del
virus non sono ancora del tutto chiare. È possibile
che
provenga da suini, che sono uno dei tanti animali domestici e
selvatici commerciati nel mercato di Wuhan, che sembra essere
l'epicentro dell'epidemia, nel qual caso la causa potrebbe essere più
simile ai casi di cui sopra di quanto non appaia. Più probabile,
tuttavia, sembra essere l'origine del virus dai pipistrelli o forse
dai serpenti, gli uni e gli altri solitamente prelevati in natura.
Anche in questo caso esiste tuttavia una qualche relazione con il
sistema agro-industriale, dal momento che il declino della
disponibilità e della sicurezza della carne di maiale a causa
dell'epidemia di peste suina africana ha fatto sì che l'aumento
della domanda di carne sia spesso soddisfatto dalla vendita di carne
di selvaggina "selvatica" in questi mercati del pesce. Ma
si può davvero affermare, anche senza che esista un legame diretto
con l'agricoltura industriale, che gli stessi processi economici sono
in qualche modo complici di questa epidemia?
La
risposta è sì, ma in modo diverso. Ancora una volta, Wallace indica
non una, ma due vie principali attraverso le quali il capitalismo
contribuisce a sviluppare e scatenare epidemie sempre più mortali.
La prima, delineata sopra, è quella direttamente legata
all'industria, in cui i virus vengono gestiti all'interno di ambienti
industriali che sono stati pienamente inclusi nella logica
capitalistica. La seconda è indiretta, e si sviluppa attraverso
l'espansione e l'estrazione capitalista nell'entroterra, dove virus
precedentemente sconosciuti vengono essenzialmente raccolti dalle
popolazioni selvatiche [animali] e poi distribuiti lungo i circuiti
dei capitali globali. Le due vie non sono del tutto separate, è
ovvio, ma il secondo caso sembra essere quello che descrive meglio
l'emergere dell'attuale epidemia [ix].
In questo caso, la crescente domanda di corpi di animali selvatici
per consumo, per uso medico o (come nel caso dei cammelli e della
MERS) per una varietà di funzioni culturalmente significative,
costruisce nuove catene di merci globali costituite da beni
"selvaggi". In altri casi le catene di valore
agro-ecologiche preesistenti si estendono semplicemente in sfere
precedentemente "selvagge", cambiando le ecologie locali e
modificando l'interfaccia tra l'umano e il non umano.
Wallace
stesso è chiaro su questo punto, spiegando
diverse dinamiche che creano malattie più gravi nonostante i virus
stessi già esistano in ambienti "naturali". L'espansione
della stessa produzione industriale "potrebbe spingere gli
alimenti selvatici sempre più capitalizzati in profondità
provenienti dall'ultimo dei paesaggi primari [ancora non toccati],
andando a pescare una più ampia varietà di agenti patogeni
potenzialmente protopandemici". In altre parole, man mano che
l'accumulazione di capitale si estende a nuovi territori, gli animali
vengono spinti in aree meno accessibili dove entreranno in contatto
con ceppi di malattie precedentemente isolati - il tutto mentre
questi stessi animali stanno diventando merci vendibili, dal momento
che "anche le specie di sussistenza più selvagge vengono
inserite in catene del valore agricole". Allo stesso modo,
questa espansione avvicina gli esseri umani a questi animali e questi
ambienti, e ciò "può aumentare l'interfaccia e lo spillover
tra
le popolazioni selvatiche non umane e la nuova ruralità
urbanizzata". Ciò dà al virus maggiori opportunità e risorse
per mutare in un modo che gli consente di infettare l'uomo,
aumentando la probabilità di spillover
biologico.
La stessa geografia dell'industria non è ad ogni modo mai così
nettamente urbana o rurale, proprio come l'agricoltura industriale
monopolistica fa uso di fattorie sia su larga scala che su piccola
scala: “in una fattoria [azienda agricola] di un imprenditore ai
margini della foresta, un animale da cibo può catturare un agente
patogeno prima di essere spedito in un impianto di lavorazione carni
situato nell'anello esterno di una grande città. "
Il
fatto è che la sfera "naturale" è già sussunta da un
sistema capitalistico completamente globale che è riuscito a
cambiare le condizioni climatiche di base e a devastare gli
ecosistemi pre-capitalisti [x]
sino al punto che quelli ancora intatti non funzionano più come
avrebbero potuto fare in passato. Anche qui ci si trova di fronte a
un ulteriore fattore causale, poiché, secondo Wallace, tutti questi
processi di devastazione ecologica riducono "il tipo di
complessità ambientale con cui la foresta interrompe le catene di
trasmissione". In realtà, quindi, è erroneo pensare a tali
aree come alla naturale "periferia" di un sistema
capitalista. Il capitalismo è già globale e già totalizzante. Non
c'è più un limite o un confine al di là del quale c'è qualche
sfera rimasta allo stato naturale, non capitalista; né esiste una
grande catena di sviluppo in cui i paesi "arretrati"
seguono quelli che li precedono nel loro cammino lungo la catena del
valore; né c'è un qualche spazio autenticamente selvaggio in grado
di essere preservato in una sorta di condizione pura, incontaminata.
Al contrario, il capitale non ha che un retroterra ad esso
subordinato e completamente inserito nelle catene del valore globali.
I sistemi sociali che da ciò derivano – dal presunto "tribalismo"
fino alla rinascita delle religioni fondamentaliste in senso
anti-moderno – sono prodotti interamente contemporanei e sono di
fatto quasi sempre collegati, spesso in maniera abbastanza diretta,
ai mercati globali. Lo stesso si può dire dei sistemi biologici ed
ecologici che ne risultano, poiché le aree "selvagge" sono
in realtà immanenti a questa economia globale, sia in un senso
astratto in quanto dipendono dal clima e dagli ecosistemi correlati,
sia nel senso diretto di essere collegati a quelle stesse catene del
valore globali.
Questo
fatto produce le condizioni necessarie per la trasformazione di ceppi
virali "selvaggi" in pandemie globali. Ma il COVID-19 non è
certo il peggiore di questi. Un'illustrazione ideale del principio di
base – e del pericolo globale – si riscontra invece nel caso
dell'ebola. Il virus ebola [xi]
è un chiaro caso di un serbatoio virale esistente che si riversa
nella popolazione umana. Le prove attuali suggeriscono che i suoi
ospiti originari sono diverse specie di pipistrelli nativi
dell'Africa occidentale e centrale, che agiscono come vettori ma non
sono essi stessi colpiti dal virus. Questo invece non è vero per gli
altri mammiferi selvatici, come primati e duiker [l'antilope
africana], che contraggono periodicamente il virus e soffrono di
focolai rapidi e ad alto tasso di mortalità. L'ebola ha un ciclo di
vita particolarmente aggressivo al di fuori delle specie che ne sono
portatrici sane. Attraverso il contatto con uno di questi ospiti
selvaggi, anche gli esseri umani possono essere infettati, con
risultati devastanti. Si sono verificate diverse importanti epidemie
e il tasso di mortalità nella maggior parte dei casi è stato
estremamente elevato, quasi sempre superiore al 50%. Il più
grande focolaio registrato,
che è continuato sporadicamente dal 2013 al 2016 in diversi paesi
dell'Africa occidentale, ha provocato 11.000 morti. Il tasso di
mortalità per i pazienti ospedalizzati durante il focolaio era
compreso tra il 57 e il 59%, ed è stato molto più elevato per tutti
coloro che sono rimasti senza accesso agli ospedali. Negli ultimi
anni, diversi vaccini sono stati sviluppati da società private, ma
meccanismi di approvazione lenti e severe limitazioni legate ai
diritti di proprietà intellettuale si sono combinati con la diffusa
mancanza di un'infrastruttura sanitaria nel produrre una situazione
in cui i
vaccini hanno fatto poco per fermare la più recente – e al momento
la più lunga – epidemia di questo tipo,
concentrata nella Repubblica Democratica del Congo (RDC).
La
malattia viene spesso presentata come se si trattasse di qualcosa di
analogo a un disastro naturale – nella migliore delle ipotesi
casuale, nella peggiore imputata alle pratiche culturali "poco
igieniche" dei poveri che vivono nelle foreste. Ma il contesto
temporale entro il quale si sono sviluppate le due grandi epidemie
menzionate (2013-2016 in Africa occidentale e 2018-presente nella
RDC) non è casuale. Entrambe si sono verificate proprio quando
l'espansione delle industrie primarie ha spostato ulteriormente le
popolazioni che vivono nelle foreste e sconvolto gli ecosistemi
locali. In effetti, questo sembra essere vero per la maggioranza dei
casi più recenti, poiché, come spiega
Wallace,
"ogni epidemia di ebola sembra connessa
a
cambiamenti nell'uso del suolo di natura capitalista, a partire dal
primo scoppio a Nzara, in Sudan nel 1976, dove una fabbrica
finanziata dagli inglesi filava e tesseva cotone locale". Allo
stesso modo, le epidemie del 2013 in Guinea si sono verificate subito
dopo che un nuovo governo aveva iniziato ad aprire il paese ai
mercati globali e vendere grandi estensioni di terra a conglomerati
agroalimentari internazionali. L'industria dell'olio di palma –
nota per il suo ruolo nella deforestazione e nella distruzione
ecologica in tutto il mondo – sembra essere stata particolarmente
colpevole, poiché le sue monocolture da un lato devastano le
barriere ecologiche che aiutano a interrompere le catene di
trasmissione; dall'altro attraggono le specie di pipistrelli che
servono come serbatoio naturale per il virus. [xii]
Nel
frattempo, la vendita di grandi appezzamenti di terra a società
commerciali agroforestali comporta sia l'espropriazione delle
popolazioni che abitano le foreste, sia l'interruzione delle loro
forme locali di produzione e di raccolto dipendenti dall'ecosistema.
Questo spesso costringe i poveri delle zone rurali a spingersi più
all'interno nella foresta, mentre le loro relazioni tradizionali con
quell'ecosistema vengono distrutte. Il risultato è che la loro
sopravvivenza dipende sempre più dalla caccia alla selvaggina o
dalla raccolta di flora e legname locali per la vendita sui mercati
globali. Tali
popolazioni
diventano quindi i bersagli contro i quali sono indirizzate le ire
delle organizzazioni ambientaliste globali, le quali le denigrano
bollandole alla stregua di "bracconieri" e "taglialegna
illegali", indicandole come responsabili della deforestazione e
della distruzione ecologica, cause che sono invece all'origine della
loro necessità a intrattenere questo tipo di commercio. Spesso, il
processo prende una svolta molto più oscura, come in Guatemala, dove
dopo la fine della guerra civile i paramilitari anticomunisti sono
stati trasformati in forze di sicurezza "verdi", con il
compito di "proteggere" la foresta dal disboscamento
illegale, dalla caccia e dal narcotraffico, ovvero gli unici mestieri
disponibili per i residenti indigeni, che erano stati spinti a tali
attività proprio a causa della repressione violenta che avevano
dovuto affrontare da parte di quegli stessi paramilitari durante la
guerra. [xiii]
Da allora tale modello è stato riprodotto in tutto il mondo,
applaudito su post dei social media nei paesi ad alto reddito che
celebrano l'esecuzione di "bracconieri" (spesso catturata
dalla telecamera) da parte di presunte forze di sicurezza "verdi".
[xiv]
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