lunedì 30 marzo 2020

pc 30 marzo - Speciale proletari comunisti 5 - Commento al saggio "Contagio sociale - Chuang - 4° e 5° parte

Commentiamo la quarta e quinta parte dell'articolo-saggio: “Contagio sociale - guerra di classe micro-biologica in Cina” del blog Chuang: - riportando sempre, in coda ad ogni commento, i testi di questi capitoli.
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(Sulla 4° parte) - Ritornando alla situazione interna alla Cina che ha prodotto quest'ultima epidemia, il saggio in forme chiare ne dimostra il legame con la restaurazione capitalista che alla fine della Rivoluzione culturale per mano della frazione del PCC facente capo a Deng Xiaoping ha prodotto il colpo di Stato che ha rovesciato la direzione maoista del partito e costruito tappa dopo tappa, da Deng a Xi Ping, l'odierna Cina divenuta su questa base una nuova potenza imperialista con i piedi di argilla.
Nuova potenza imperialista scintillante e aggressiva nel mercato mondiale sì da divenire protagonista delle nuova contesa interimperialista nel mondo.
La nuova Cina di Xi Ping ha trasferito in forme moderne e ai limiti selvaggi le condizioni di produzione per il profitto, di sfruttamento e impoverimento di massa che sono il fondamento strutturale di quest'ultima epidemia; e nello stesso tempo gli effetti di esse nel settore chiave della sanità. Come in tutti i paesi capitalisti e imperialisti, la Cina ha destinato la maggiorparte dei fondi alle infrastrutture necessarie allo sviluppo spettacolare del paese, mentre l'assistenza sanitaria e l'istruzione sono rimasti estremamente bassi.
E proprio nel sistema sanitario si sono addensati in forma più radicali e perfino più selvaggi i fattori di prodotti scadenti, malasanità che hanno provocato una serie di scandali e morti che il saggio puntualmente elenca.

Ma dopo questo, il saggio giustamente mette in mostra come il passaggio sia stato lo smantellamento degli straordinari sviluppi che proprio in materia di sanità e di salute pubblica la Cina socialista guidata dal PCC di Mao Tse tung aveva trasformato questo paese da paese povero del terzo mondo a paese in cui anche tutti i suoi nemici ne riconoscevano i successi, dalla mortalità infantile crollata, all'aspettativa di vita salita dai 45 ai 68 anni, alla alfabetizzazione medica di base, con il grandioso esempio dei “medici scalzi” che ha permesso la costruzione di un solido sistema sanitario dal basso, nonostante i livelli di smantellamento della povertà materiale restassero ancora insufficienti.
La restaurazione capitalista è stata una vera e propria controrivoluzione in campo sanitario, che ha riportato indietro la ruota della storia, rendendo la vita delle masse proletarie e povere della nuova Cina capitalista sempre più alla mercè delle malattie, con tantissime fasce della popolazione priva di un'assicurazione medica di base.
Vi sono state in Cina scioperi, proteste, azioni dirette per contrastare questo processo, ma ciò non ha evitato il prodursi di nuove malattie trasmissibili, al ritmo di uno/due anni.
Qui affonda la genesi e lo sviluppo del coronavirus in questo paese.
Coronavirus non è un “virus cinese”, è un virus del capitalismo selvaggio nella fase dell'imperialismo putrescente che ha trovato nella Cina una clamorosa manifestazione.
Tutto questo è fondamentale che i comunisti e il movimento proletario lo comprendano e assimilino, perchè anche attraverso questo si comprenda che è il socialismo la soluzione strategica all'”impero delle pandemie”.

(dal Saggio) L'età dell'oro
I parallelismi con l'attuale caso cinese sono particolarmente rilevanti. Il COVID-19 non può essere compreso senza tener conto dei modi in cui gli ultimi decenni di sviluppo della Cina all'interno del sistema capitalistico globale e attraverso di esso, hanno plasmato il sistema sanitario del paese e lo
stato della salute pubblica in generale. L'epidemia, per quanto nuova, è quindi simile ad altre crisi della sanità pubblica che l'hanno preceduta, che tendono a prodursi quasi con la stessa regolarità delle crisi economiche e ad essere considerate in modo simile da parte della stampa popolare – come se fossero casuali, degli eventi del tipo “cigno nero”, assolutamente imprevedibili e senza precedenti. La realtà, tuttavia, è che queste crisi sanitarie ricorrono secondo schemi caotici e ciclici, resi più probabili da una serie di contraddizioni strutturali integrate nella natura della produzione e della vita proletaria entro il regime capitalistico. Proprio come nel caso dell'influenza spagnola, il coronavirus è stato originariamente in grado di prendere piede e propagarsi rapidamente a causa di un diffuso degrado dell'assistenza sanitaria di base presso l'insieme della popolazione. Ma proprio perché questo degrado ha avuto luogo nel mezzo di una crescita economica spettacolare, è stato oscurato dallo splendore di città scintillanti e di fabbriche enormi. La realtà, tuttavia, è che in Cina le spese destinate a beni pubblici come l'assistenza sanitaria e l'istruzione rimangono estremamente basse, mentre la maggior parte della spesa pubblica è stata indirizzata verso infrastrutture in “mattoni e malta”: ponti, strade ed elettricità a basso costo per la produzione.
Nel frattempo, la qualità dei prodotti del mercato interno è spesso pericolosamente bassa. Per decenni l'industria cinese ha prodotto esportazioni di alta qualità e di alto valore, realizzate secondo i più alti standard globali per il mercato mondiale, come iPhone e chip per computer. Ma i beni destinati ai consumi sul mercato interno hanno standard incredibilmente scadenti, il che provoca regolari scandali e alimenta una profonda sfiducia da parte della popolazione. In molti casi si avverte un innegabile eco che ricorda The Jungle di Sinclair e altri racconti dell'Età dell'oro americana. Il più grosso caso avvenuto di recente, lo scandalo del latte alla melanina del 2008, ha causato la morte di una dozzina di neonati e il ricovero ospedaliero di decine di migliaia di persone (anche se i colpiti sono stati forse qualche centinaio di migliaia). Da allora, numerosi scandali hanno scosso con regolarità il pubblico: nel 2011, quando è stato scoperto che l'olio recuperato dalle trappole per grassi dei canali di scolo veniva utilizzato nei ristoranti di tutto il paese, o nel 2018, quando dei vaccini difettosi uccisero diversi bambini, e in seguito un anno dopo, quando dozzine di persone sono state ricoverate in ospedale in seguito alla somministrazione di falsi vaccini anti HPV. Storie meno pesanti sono anche più diffuse e costituiscono un panorama familiare per chiunque viva in Cina: preparato per zuppe istantanee in polvere tagliato con sapone in modo da contenere i costi; imprenditori che vendono maiali morti per cause misteriose ai villaggi vicini; pettegolezzi dettagliati su quali negozi di strada hanno maggiori probabilità di farti ammalare.
Un tempo, prima dell'incorporazione pezzo per pezzo della Cina nel sistema capitalistico globale, servizi come l'assistenza sanitaria venivano forniti (perlopiù nelle città) nell'ambito del “sistema danwei”, erano cioè legati all'impresa in cui si lavorava o (principalmente, ma non esclusivamente, nelle campagne) erano forniti gratuitamente da cliniche sanitarie locali gestite da un abbondante personale di "medici scalzi". I successi dell'assistenza sanitaria dell'era socialista – come i suoi successi nel campo dell'istruzione di base e dell'alfabetizzazione – furono tanto sostanziali che persino i critici più severi del paese dovettero riconoscerli. La schistosomiasi, che ha afflitto il paese per secoli, è stata sostanzialmente spazzata via in gran parte del suo epicentro storico, salvo ripresentarsi con vigore nel momento in cui il sistema sanitario socialista ha iniziato a essere smantellato. La mortalità infantile è crollata e, nonostante la carestia che accompagnò il Grande Balzo in avanti, l'aspettativa di vita è salita da 45 a 68 anni tra il 1950 e l'inizio degli anni '80. Le vaccinazioni e le pratiche sanitarie di base si sono diffuse su scala generale, e così pure le informazioni di base sulla nutrizione e sulla salute pubblica, nonché l'accesso ai medicinali rudimentali – tutto ciò era gratuito e accessibile a tutta la popolazione. Nel frattempo, il sistema dei medici scalzi ha contribuito a diffondere conoscenze mediche fondamentali – sebbene limitate – a una vasta fetta della popolazione, permettendo la costruzione di un solido sistema sanitario dal basso in condizioni di grave povertà materiale. Vale la pena ricordare che tutto ciò è avvenuto in un momento in cui la Cina era un paese più povero, a livello di reddito pro capite, della media dei paesi dell'Africa subsahariana di oggi.
A partire da quel momento [inizio anni '80] una combinazione di trascuratezza e privatizzazione ha notevolmente degradato questo sistema, proprio mentre la rapida urbanizzazione e una produzione industriale non regolamentata di beni per uso domestico e alimentare rendevano tanto più necessaria la generalizzazione dell'assistenza sanitaria – per non menzionare l'altrettanto importante necessità di stabilire chiare norme in materia alimentare, sanitaria e di sicurezza. Oggigiorno la spesa pubblica cinese per la difesa della salute è, secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità, di 323 dollari pro capite. Questa cifra è bassa anche in comparazione con quella di altri paesi a "reddito medio-alto", ed è circa la metà di quanto spendono Brasile, Bielorussia e Bulgaria. La regolamentazione è minima o inesistente, con conseguenti numerosi scandali analoghi a quelli sopra menzionati. Nel frattempo, gli effetti di questa situazione ricadono con maggiore forza sulle centinaia di milioni di lavoratori emigranti interni, per i quali qualsiasi diritto alle cure sanitarie di base svanisce completamente nel momento in cui lasciano la loro città natale rurale (luogo in cui, sotto il sistema hukou, sono residenti permanenti indipendentemente della loro effettiva residenza, il che significa che le risorse pubbliche rimanenti non sono accessibili altrove).
Apparentemente, la sanità pubblica sarebbe dovuta essere sostituita alla fine degli anni Novanta con un sistema più privatizzato (sebbene gestito tramite lo stato), in cui una combinazione di contributi – tanto da parte delle imprese quanto da parte dei dipendenti – avrebbe dovuto sostenere i costi dell'assistenza medica, delle pensioni e dell'assicurazione sulla casa. Ma questo regime di previdenza sociale è stato minato da una sistematica carenza di fondi, nella misura in cui i contributi "dovuti" da parte dei datori di lavoro spesso semplicemente non sono versati, facendo sì che la stragrande maggioranza dei lavoratori debba pagare di tasca propria. Secondo l'ultima stima nazionale disponibile, solo il 22% dei lavoratori emigranti interni aveva un'assicurazione medica di base. Il mancato versamento di contributi al sistema di previdenza sociale non è, tuttavia, un semplice atto malevolo da parte di padroni individualmente corrotti, è invece ampiamente dovuto al fatto che i margini di profitto ridotti non lasciano spazio alle indennità sociali. Nei nostri calcoli abbiamo scoperto che in un hub industriale come Dongguan chiedere di sborsare le somme al momento non pagate necessarie per garantire ai lavoratori la previdenza sociale, dimezzerebbe i profitti industriali e porterebbe molte aziende al fallimento. Per compensare le enormi lacune esistenti, la Cina ha istituito un regime medico supplementare di carattere basilare a copertura di pensionati e lavoratori autonomi, sistema che paga in media solo poche centinaia di yuan per persona all'anno.
Questo sistema medico assediato produce di per sé delle terribili tensioni sociali. Numerosi membri del personale medico vengono uccisi ogni anno e dozzine vengono feriti negli attacchi di pazienti arrabbiati o, più spesso, dei familiari dei pazienti che muoiono durante le cure. L'attacco più recente è avvenuto alla vigilia di Natale, quando a Pechino un medico è stato pugnalato a morte dal figlio di una paziente, che riteneva che sua madre fosse morta per le cure ospedaliere scadenti. Un sondaggio condotto tra i medici ha rilevato che un incredibile 85% di loro aveva subito violenza sul luogo di lavoro e un altro, del 2015, ha rilevato che il 13% dei medici in Cina era stato aggredito fisicamente nel corso dell'anno precedente. I medici cinesi visitano ogni anno il quadruplo dei pazienti rispetto i loro colleghi statunitensi, ma sono pagati meno di $ 15.000 all'anno – in termini relativi si tratta di una cifra inferiore al reddito pro capite (16.760 USD), mentre negli Stati Uniti il salario del medico medio (circa 300.000 USD) è quasi cinque volte più del reddito pro capite (60.200 USD). Prima della sua chiusura (nel 2016) e l'arresto dei suoi creatori, l'ormai defunto blog di censimento dei disordini di Lu Yuyu e Li Tingyu riportava le notizie di diversi scioperi e proteste da parte degli operatori sanitari ogni mese [viii]. Nel 2015 – l'ultimo anno per il quale sono presenti per intero i dati da loro meticolosamente raccolti – erano riportati 43 eventi del genere. Hanno anche registrato dozzine di "incidenti da cure mediche [proteste]" ogni mese, protagonisti familiari di pazienti, con 368 registrati nel 2015.
In tali condizioni di massiccio disinvestimento pubblico dal sistema sanitario, non sorprende che il COVID-19 abbia preso piede così facilmente. In combinazione con il fatto che nuove malattie trasmissibili emergono in Cina al ritmo di una ogni 1-2 anni, sembrano sussistere le condizioni affinché tali epidemie continuino. Come nel caso dell'influenza spagnola, le condizioni generalmente degradate della sanità pubblica per la popolazione proletaria hanno permesso che il virus prendesse piede e, da lì, si diffondesse rapidamente. Ma, ancora una volta, non è solo una questione di distribuzione. Dobbiamo anche capire come il virus stesso sia stato prodotto.

(Sulla 5° parte) La trasformazione dell'agricoltura in agricoltura capitalista, come anello della produzione capitalista globalizzata, è una delle ragioni, se non proprio la ragione fondamentale, del processo che libera i virus vecchi e nuovi dal contesto naturale e dagli animali naturali che ne sono portatori e li trasmette all'uomo, spesso con il tramite di popolazioni scacciate dal loro territorio e costrette nel loro approvvigionamento elementare ad entrare in contatto e a distruggere a loro volta gli habitat naturali degli animali portatori del virus. 
Il capitalismo rapace diventa quindi il vero responsabile nel suo processo di aggressione alla cosiddetta “natura selvaggia”, che ormai non esiste più, e ne scoperchia il 'vaso di pandora' dei virus aggressivi e del cosiddetto “spillover” che permette la trasmissione da animali a uomo. 
Wallace spiega le cause di ciò che avviene, mostrandoci un uso diverso dell'analisi delle cose che bisogna conoscere per non affidarsi quotidianamente a scienziati, virologi, o apprendisti stregoni, impegnati ormai in un'operazione esclusiva di cura degli effetti mortali e ben poco sul fronte di un'"aggressione" di conoscenza scientifica, non del coronavirus, ma del sistema del capotale che lo ha prodotto.

Certo il coronavirus ha invaso, con un meccanismo ancora non del tutto spiegato, dalla Cina all'Italia, dall'Italia agli Stati Uniti, quasi a mostrarci la faccia nera della globalizzazione capitalista, che altro non è che il normale funzionamento del sistema imperialista analizzato scientificamente da Marx e Lenin e proprio per questo attaccato o attaccabile innanzitutto dalle grandi rivoluzioni, dall'Ottobre in Russia alla Grande rivoluzione culturale proletaria in Cina, che sono, se ne facciano tutti una ragione, l'unica risposta a coloro che insistono sulla domanda: “Quando finirà?”, “Come ne usciremo?”. Non finirà mai, né ne usciremo mai, se non ciclicamente, come le crisi economiche.
E su questo non ci aiutano, se non nella descrizione degli eventi, un ambientalismo che agita masse consistenti ma non è in grado per la sua natura di classe di chiamare le cose con il loro nome.

(Dal saggio) Non c'è più una natura selvaggia
Nel caso dell'epidemia in corso, la storia è meno semplice dei casi di influenza suina o aviaria, che sono così chiaramente associati al cuore del sistema agroindustriale. Da un lato, le origini esatte del virus non sono ancora del tutto chiare. È possibile che provenga da suini, che sono uno dei tanti animali domestici e selvatici commerciati nel mercato di Wuhan, che sembra essere l'epicentro dell'epidemia, nel qual caso la causa potrebbe essere più simile ai casi di cui sopra di quanto non appaia. Più probabile, tuttavia, sembra essere l'origine del virus dai pipistrelli o forse dai serpenti, gli uni e gli altri solitamente prelevati in natura. Anche in questo caso esiste tuttavia una qualche relazione con il sistema agro-industriale, dal momento che il declino della disponibilità e della sicurezza della carne di maiale a causa dell'epidemia di peste suina africana ha fatto sì che l'aumento della domanda di carne sia spesso soddisfatto dalla vendita di carne di selvaggina "selvatica" in questi mercati del pesce. Ma si può davvero affermare, anche senza che esista un legame diretto con l'agricoltura industriale, che gli stessi processi economici sono in qualche modo complici di questa epidemia?
La risposta è sì, ma in modo diverso. Ancora una volta, Wallace indica non una, ma due vie principali attraverso le quali il capitalismo contribuisce a sviluppare e scatenare epidemie sempre più mortali. La prima, delineata sopra, è quella direttamente legata all'industria, in cui i virus vengono gestiti all'interno di ambienti industriali che sono stati pienamente inclusi nella logica capitalistica. La seconda è indiretta, e si sviluppa attraverso l'espansione e l'estrazione capitalista nell'entroterra, dove virus precedentemente sconosciuti vengono essenzialmente raccolti dalle popolazioni selvatiche [animali] e poi distribuiti lungo i circuiti dei capitali globali. Le due vie non sono del tutto separate, è ovvio, ma il secondo caso sembra essere quello che descrive meglio l'emergere dell'attuale epidemia [ix]. In questo caso, la crescente domanda di corpi di animali selvatici per consumo, per uso medico o (come nel caso dei cammelli e della MERS) per una varietà di funzioni culturalmente significative, costruisce nuove catene di merci globali costituite da beni "selvaggi". In altri casi le catene di valore agro-ecologiche preesistenti si estendono semplicemente in sfere precedentemente "selvagge", cambiando le ecologie locali e modificando l'interfaccia tra l'umano e il non umano.
Wallace stesso è chiaro su questo punto, spiegando diverse dinamiche che creano malattie più gravi nonostante i virus stessi già esistano in ambienti "naturali". L'espansione della stessa produzione industriale "potrebbe spingere gli alimenti selvatici sempre più capitalizzati in profondità provenienti dall'ultimo dei paesaggi primari [ancora non toccati], andando a pescare una più ampia varietà di agenti patogeni potenzialmente protopandemici". In altre parole, man mano che l'accumulazione di capitale si estende a nuovi territori, gli animali vengono spinti in aree meno accessibili dove entreranno in contatto con ceppi di malattie precedentemente isolati - il tutto mentre questi stessi animali stanno diventando merci vendibili, dal momento che "anche le specie di sussistenza più selvagge vengono inserite in catene del valore agricole". Allo stesso modo, questa espansione avvicina gli esseri umani a questi animali e questi ambienti, e ciò "può aumentare l'interfaccia e lo spillover tra le popolazioni selvatiche non umane e la nuova ruralità urbanizzata". Ciò dà al virus maggiori opportunità e risorse per mutare in un modo che gli consente di infettare l'uomo, aumentando la probabilità di spillover biologico. La stessa geografia dell'industria non è ad ogni modo mai così nettamente urbana o rurale, proprio come l'agricoltura industriale monopolistica fa uso di fattorie sia su larga scala che su piccola scala: “in una fattoria [azienda agricola] di un imprenditore ai margini della foresta, un animale da cibo può catturare un agente patogeno prima di essere spedito in un impianto di lavorazione carni situato nell'anello esterno di una grande città. "
Il fatto è che la sfera "naturale" è già sussunta da un sistema capitalistico completamente globale che è riuscito a cambiare le condizioni climatiche di base e a devastare gli ecosistemi pre-capitalisti [x] sino al punto che quelli ancora intatti non funzionano più come avrebbero potuto fare in passato. Anche qui ci si trova di fronte a un ulteriore fattore causale, poiché, secondo Wallace, tutti questi processi di devastazione ecologica riducono "il tipo di complessità ambientale con cui la foresta interrompe le catene di trasmissione". In realtà, quindi, è erroneo pensare a tali aree come alla naturale "periferia" di un sistema capitalista. Il capitalismo è già globale e già totalizzante. Non c'è più un limite o un confine al di là del quale c'è qualche sfera rimasta allo stato naturale, non capitalista; né esiste una grande catena di sviluppo in cui i paesi "arretrati" seguono quelli che li precedono nel loro cammino lungo la catena del valore; né c'è un qualche spazio autenticamente selvaggio in grado di essere preservato in una sorta di condizione pura, incontaminata. Al contrario, il capitale non ha che un retroterra ad esso subordinato e completamente inserito nelle catene del valore globali. I sistemi sociali che da ciò derivano – dal presunto "tribalismo" fino alla rinascita delle religioni fondamentaliste in senso anti-moderno – sono prodotti interamente contemporanei e sono di fatto quasi sempre collegati, spesso in maniera abbastanza diretta, ai mercati globali. Lo stesso si può dire dei sistemi biologici ed ecologici che ne risultano, poiché le aree "selvagge" sono in realtà immanenti a questa economia globale, sia in un senso astratto in quanto dipendono dal clima e dagli ecosistemi correlati, sia nel senso diretto di essere collegati a quelle stesse catene del valore globali.
Questo fatto produce le condizioni necessarie per la trasformazione di ceppi virali "selvaggi" in pandemie globali. Ma il COVID-19 non è certo il peggiore di questi. Un'illustrazione ideale del principio di base – e del pericolo globale – si riscontra invece nel caso dell'ebola. Il virus ebola [xi] è un chiaro caso di un serbatoio virale esistente che si riversa nella popolazione umana. Le prove attuali suggeriscono che i suoi ospiti originari sono diverse specie di pipistrelli nativi dell'Africa occidentale e centrale, che agiscono come vettori ma non sono essi stessi colpiti dal virus. Questo invece non è vero per gli altri mammiferi selvatici, come primati e duiker [l'antilope africana], che contraggono periodicamente il virus e soffrono di focolai rapidi e ad alto tasso di mortalità. L'ebola ha un ciclo di vita particolarmente aggressivo al di fuori delle specie che ne sono portatrici sane. Attraverso il contatto con uno di questi ospiti selvaggi, anche gli esseri umani possono essere infettati, con risultati devastanti. Si sono verificate diverse importanti epidemie e il tasso di mortalità nella maggior parte dei casi è stato estremamente elevato, quasi sempre superiore al 50%. Il più grande focolaio registrato, che è continuato sporadicamente dal 2013 al 2016 in diversi paesi dell'Africa occidentale, ha provocato 11.000 morti. Il tasso di mortalità per i pazienti ospedalizzati durante il focolaio era compreso tra il 57 e il 59%, ed è stato molto più elevato per tutti coloro che sono rimasti senza accesso agli ospedali. Negli ultimi anni, diversi vaccini sono stati sviluppati da società private, ma meccanismi di approvazione lenti e severe limitazioni legate ai diritti di proprietà intellettuale si sono combinati con la diffusa mancanza di un'infrastruttura sanitaria nel produrre una situazione in cui i vaccini hanno fatto poco per fermare la più recente – e al momento la più lunga – epidemia di questo tipo, concentrata nella Repubblica Democratica del Congo (RDC).
La malattia viene spesso presentata come se si trattasse di qualcosa di analogo a un disastro naturale – nella migliore delle ipotesi casuale, nella peggiore imputata alle pratiche culturali "poco igieniche" dei poveri che vivono nelle foreste. Ma il contesto temporale entro il quale si sono sviluppate le due grandi epidemie menzionate (2013-2016 in Africa occidentale e 2018-presente nella RDC) non è casuale. Entrambe si sono verificate proprio quando l'espansione delle industrie primarie ha spostato ulteriormente le popolazioni che vivono nelle foreste e sconvolto gli ecosistemi locali. In effetti, questo sembra essere vero per la maggioranza dei casi più recenti, poiché, come spiega Wallace, "ogni epidemia di ebola sembra connessa a cambiamenti nell'uso del suolo di natura capitalista, a partire dal primo scoppio a Nzara, in Sudan nel 1976, dove una fabbrica finanziata dagli inglesi filava e tesseva cotone locale". Allo stesso modo, le epidemie del 2013 in Guinea si sono verificate subito dopo che un nuovo governo aveva iniziato ad aprire il paese ai mercati globali e vendere grandi estensioni di terra a conglomerati agroalimentari internazionali. L'industria dell'olio di palma – nota per il suo ruolo nella deforestazione e nella distruzione ecologica in tutto il mondo – sembra essere stata particolarmente colpevole, poiché le sue monocolture da un lato devastano le barriere ecologiche che aiutano a interrompere le catene di trasmissione; dall'altro attraggono le specie di pipistrelli che servono come serbatoio naturale per il virus. [xii]
Nel frattempo, la vendita di grandi appezzamenti di terra a società commerciali agroforestali comporta sia l'espropriazione delle popolazioni che abitano le foreste, sia l'interruzione delle loro forme locali di produzione e di raccolto dipendenti dall'ecosistema. Questo spesso costringe i poveri delle zone rurali a spingersi più all'interno nella foresta, mentre le loro relazioni tradizionali con quell'ecosistema vengono distrutte. Il risultato è che la loro sopravvivenza dipende sempre più dalla caccia alla selvaggina o dalla raccolta di flora e legname locali per la vendita sui mercati globali. Tali popolazioni diventano quindi i bersagli contro i quali sono indirizzate le ire delle organizzazioni ambientaliste globali, le quali le denigrano bollandole alla stregua di "bracconieri" e "taglialegna illegali", indicandole come responsabili della deforestazione e della distruzione ecologica, cause che sono invece all'origine della loro necessità a intrattenere questo tipo di commercio. Spesso, il processo prende una svolta molto più oscura, come in Guatemala, dove dopo la fine della guerra civile i paramilitari anticomunisti sono stati trasformati in forze di sicurezza "verdi", con il compito di "proteggere" la foresta dal disboscamento illegale, dalla caccia e dal narcotraffico, ovvero gli unici mestieri disponibili per i residenti indigeni, che erano stati spinti a tali attività proprio a causa della repressione violenta che avevano dovuto affrontare da parte di quegli stessi paramilitari durante la guerra. [xiii] Da allora tale modello è stato riprodotto in tutto il mondo, applaudito su post dei social media nei paesi ad alto reddito che celebrano l'esecuzione di "bracconieri" (spesso catturata dalla telecamera) da parte di presunte forze di sicurezza "verdi". [xiv]

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