Una corrispondenza
Con questo articolo vogliamo
concentrarci sul “piano economico straordinario” annunciato dal governo
Fakhfakh lo scorso 21 marzo in risposta alla crisi attuale da Covid-19.
Esso dovrebbe essere accompagnato da un
piano sanitario di cui attualmente non si hanno ancora i dettagli salvo
l’annuncio di voler procedere alla somministrazione di 10.000 tamponi
nelle prossime settimane.
Nel piano del governo solo il 15% della
popolazione (1,5 milioni di persone) dovrà continuare a lavorare nei
settori essenziali mentre i restanti 10 milioni resteranno confinati a
casa. Questo annuncio è stato accompagnato dalla parola d’ordine “non
perdere né un posto di lavoro né un’azienda”.
Il governo ha quindi stanziato 2.500
milioni di dinari tunisini (800 milioni di €), circa il 2% del PIL, per
finanziare tale piano articolato in due gruppi di provvedimenti, uno per
i lavoratori e uno per le aziende.
Per quanto concerne i lavoratori i provvedimenti messi in campo prevedono:
- 300 milioni di dinari (circa 100 milioni di euro) per la cassa integrazione (chomage technique) per operai e salariati
- 150 milioni di dinari destinati ai poveri sotto forma di sussidi
- Rinvio di pagamento di debiti bancari per 6 mesi per i lavoratori con un salario fino a 1.000 dinari mensili (poco più di 300 €)
Per quanto riguarda invece le aziende:
- rinvio del pagamento delle tasse di 3 mesi a partire dal 3 aprile e dei contributi sociali per i lavoratori (CNSS) del secondo trimestre per 3 mesi, nonché dei debiti bancari e finanziari per 6 mesi
- Circa i debiti fiscali e con la dogana sarà applicato un beneficio settennale.
- 500 milioni di dinari a garanzia di nuovi crediti per le aziende
- Restituzione dell’IVA nell’ultimo mese
- Creazione di un fondo di investimento dal valore globale di 700 milioni di dinari per la ricapitalizzazione delle aziende colpite.
- Permettere alle aziende totalmente esportatrici di smerciare una quota tra il 30% e il 50% dei propri prodotti sul mercato nazionale.
- Accordare la possibilità alle società di rivalutare i loro beni immobili
- Annullamento delle penalità per i pagamenti in ritardo attribuibili all’attuale crisi per una durata massima di 6 mesi.
- Sospensione provvisoria delle procedure giudiziarie contro i “crimini finanziari”.
Inoltre 500 milioni di dinari saranno
invece destinati per rafforzare lo stock strategico di beni di prima
necessità del paese (alimentari e medicinali).
Il governo ha anche promesso di impegnarsi
perché vi sia una sospensione di due mesi nel pagamento delle bollette
di elettricità e gas, acqua, telefono.
Ciò che salta subito agli occhi è che
grosso modo 1/5 di questa manovra è diretta ai lavoratori e ai settori
sociali poveri mentre i 4/5 sono a beneficio delle aziende.
È bene inoltre ricordare sempre che il 50%
dell’economia tunisina è rappresentato dal lavoro nero e dal sommerso:
decine e decine di migliaia di lavoratori che non beneficeranno di tali
incentivi e che intanto sono stati già messi alla porta dalle aziende
per cui lavorano a cui è stata imposta la chiusura in seguito all’ultimo
decreto anticoronavirus (altro che non perdere nessun posto di
lavoro!).
Più in generale le aziende beneficeranno
quindi due volte di queste misure: non sostenendo né i propri lavoratori
a contratto né quelli in nero e avendo sgravi fiscali notevoli.
Ma due provvedimenti a favore delle aziende meritano di essere approfonditi:
- La sospensione delle procedure per “crimini fiscali” è un altro grande regalo che il regime tunisino post-rivolta fa ai grandi uomini d’affari collusi con l’ex regime di Ben Ali, recentemente riabilitati con una sorta di “riappacificazione nazionale” promossa dall’ex presidente defunto Essebsi e duramente contestata da un movimento sorto ad hoc Manich Msemah (io non perdono n.d.a.).
- Un altro regalo è invece rivolto alle aziende totalmente esportatrici, spesso straniere, che godendo già di enormi benefici (non pagamento imposte per i primi 10 anni, contributi fino al 50% dal governo sul salario dei lavoratori, possibilità di importare macchinari senza pagare la dogana, possibilità di esportare il 100% dei profitti ecc.) si troveranno in una posizione altamente concorrenziale rispetto ai produttori nazionali producenti gli stessi beni.
Capitalisti stranieri che nonostante tutti
questi benefici non garantiscono neanche il minimo delle condizioni
minime di salute e sicurezza dei lavoratori: recentemente un
imprenditore italiano operante a Nabeul si era rifiutato di acquistare
guanti e mascherine e a mettere in condizione i lavoratori di rispettare
la distanza di sicurezza.
Ricordiamo ancora una volta che il
miliardo e 600 milioni di dollari già incassati dalla Tunisia sui 2
miliardi e 800 milioni totali di credito concesso dal FMI è vincolato e
non può essere utilizzato per l’emergenza ma per pagare il debito
estero. In tal senso un ministro dell’attuale esecutivo è arrivato a
dichiarare che la crisi del COVID-19 ha “salvato il paese” dai vincoli
ferrei imposti dall’organizzazione internazionale circa le manovre
finanziare del governo per poter ottenere la successiva tranche di
credito, che ha quindi “chiuso un occhio” nei confronti dell’esecutivo
Fakhfakh circa questo piano economico d’emergenza.
Anche in Tunisia quindi, l’associazione
patronale UTICA ha fatto pressioni portando a casa il risultato, perché
la crisi attuale la paghino i lavoratori, i proletari, il popolo
tunisino e non i padroni, con la particolarità che in presenza di
rapporti neocoloniali il capitale straniero di provenienza imperialista
ha anche avuto la propria fetta di guadagno.
Intanto si moltiplicano gli espropri
proletari spontanei con assalto ai camion di farina a Kasserine e più
recentemente a Meknassi (governatorato di Sidi Bouzid).
Non solo la crisi sanitaria quindi ma anche quella sociale è pronta a scoppiare…
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