Quest’anno
è stato presentato il 27 marzo a Palazzo Montecitorio alla presenza del
Presidente della Repubblica, che, ricordiamolo, ha firmato il “decreto sicurezza”!
Nonostante le limitazioni che l’essere un organismo statale
comporta, è forte la denuncia DI FATTO delle pratiche reazionarie e moderno fasciste,
anche con l’entrata in vigore del “decreto sicurezza”, soprattutto nei confronti
dei migranti: l’Espresso che qui si unisce a tanti altri organismi e singoli che
denunciano o si battono contro i soprusi razzisti e fascisti, parla di “detenzione
abusiva di essere umani… regressione politica, etico, culturale…” e tanto
altro.
***
Quei prigionieri senza colpa
L’internamento dei migranti che non hanno commesso alcun
reato è diventato normalità. Come nel buio del Novecento
Ormai si è giunti a credere che sia ovvio, normale,
legittimo internare uno straniero – solo perché straniero. Senza che abbia
commesso alcun reato. Questa pratica repressiva è un’eredità inquietante del
Novecento europeo che l’ha inaugurata. Prima non esisteva. Eppure oggi non si
può ignorare a quali crimini sia giunta quella scellerata politica di ecologia
della nazione, di pulizia etnica, di detenzione abusiva di esseri umani.
Il rapporto offerto dal Garante nazionale Mauro Palma, che
fa il punto sul trattamento dei migranti in Italia negli ultimi tre anni, è una
lettura raggelante. Ed è lo specchio di quella profonda regressione politica,
etico, culturale che non sembra trovare argine.
Tutto è peggiorato, in particolare nell’ultimo anno, dopo il
cosiddetto “decreto sicurezza”. La detenzione si estende e si moltiplica in uno
spazio e in un tempo indefinito. Ormai sembra lecito
trattenere i migranti ovunque, non solo nei famigerati Centri di permanenza per il rimpatrio, ma anche nelle stazioni di polizia, negli hotspot, i punti di smistamento, situati vicino agli sbarchi nei Centri governativi di prima accoglienza, persino quelli per minori, sui ponti di navi militari, imbarcazioni delle Ong e mercantili, negli ambulatori e nei locali delle forze dell’ordine all’interno degli aeroporti. Non c’è luogo che non sembri idoneo; il giudizio è affidato alle autorità politico-amministrative.
trattenere i migranti ovunque, non solo nei famigerati Centri di permanenza per il rimpatrio, ma anche nelle stazioni di polizia, negli hotspot, i punti di smistamento, situati vicino agli sbarchi nei Centri governativi di prima accoglienza, persino quelli per minori, sui ponti di navi militari, imbarcazioni delle Ong e mercantili, negli ambulatori e nei locali delle forze dell’ordine all’interno degli aeroporti. Non c’è luogo che non sembri idoneo; il giudizio è affidato alle autorità politico-amministrative.
Si ammettono così zone buie, sottratte a ogni controllo,
nelle quali non giunge lo sguardo dei cittadini. I migranti possono essere
esposti a soprusi e vessazioni, senza che nulla trapeli all’esterno. Dove
finisce l‘accoglienza e dove comincia l’espulsione? In che modo la protezione
diventa un alibi per legittimare l’internamento?
Certo è che negli hotspot – un termine inglese che tenta
ipocritamente di coprire l’oscenità della selezione – si consegnano esser umani
inermi, e spogli di ogni diritto, al potere esercitato dai burocrati della
sicurezza. E questi piccoli sovrani possono decidere arbitrariamente grazie
all’ambiguità giuridica dei centri di smistamento che ormai assomigliano sempre
più sbarrati. A onta della Costituzione italiana, che nell’articolo 13 prevede
la libertà di movimento per tutti, e a dispetto della convezione europea dei
diritti umani. L’Italia è stata già più volte condannata. Ad esempio nel caso
di un gruppo di tunisini trattenuti senza motivo nel centro di Lampedusa
(“Khlaifia e altri”, 15 dicembre 2016).
Insomma chi arriva può essere fatto prigioniero: questa è
ormai la legge non scritta. Attenzione, però! Non vale per chi sbarca con le
navi da crociera, per gli affaristi russi, per i petrolieri sauditi. Vale per
la “subumanità” alla deriva, per i migranti neri, le scorie della
globalizzazione, le cui vite di scarto non interessano nessuno.
Il Ministro dell’interno Salvini, spalleggiato dai Cinque
Stelle, ha ripreso e rilanciato in grande stile la guerra dello Stato contro i
migranti. Emblematica è la storia della nave “Diciotti”, il pattugliatore della
guardia costiera italiana che, dopo aver tratto in salvo 177 migranti, è
diventata per giorni la loro assurda, illegale prigione. Importante è vedere,
dietro l’abuso di potere, la strategia politica che mira a estendere la
detenzione degli stranieri perfino in mare. I ponti delle imbarcazioni che
hanno soccorso i naufraghi, diventano con un rovesciamento ignobile, luoghi di
reclusione. Le navi vengono adibite a carceri. Così si favoriscono i
respingimenti di massa. Ma c’0è di più: quei migranti, prigionieri proprio lì
dove avevano scorso la salvezza, sono esseri umani usati come ostaggi per
dirimere conflitti che una politica inetta e incompetente non è neppure in
grado di affrontare.
E quando la politica fa acqua si ricorre alla gestione
poliziesca. All’indomani del “decreto sicurezza”, visti gli effetti, si po'
dire che la detenzione sia diventata l’arma preferita, lo strumento cardine
usato dal governo gialloverde conto i migranti. D’altronde che cos‘altro
resterebbe, una volta smantellato il sistema dello Sprar, quella rete di
protezione e accoglienza che aveva appena cominciato a funzionare? Il “merito”
di aver buttato per strada migliaia di richiedenti asilo, come se nulla fosse,
non va riconosciuto soltanto a Salvini. I cinque stelle hanno fatto la loro
parte con gli slogan propagandistici sul “business dei migranti”. Sembrano
ancora vantarsene. Il risultato è che, per denunciare singoli casi di corruzione
nel bilancio, è stato soppresso direttamente il sistema d’accoglienza. Tanto
che importa della vita di quei quattro stranieri? Prima gli italiani!
L’unica eccezione sono i Centri per il rimpatrio. Luoghi per
eccellenza della detenzione, questi campi di internamento, che prima si
chiamavano Cie (Centri di identificazione ed espulsione) sono stati tollerati
e, anzi, avallati dai governi di centrosinistra. Li ha introdotti la legge
Turco-Napolitano il 6 marzo 1998; la Bossi-Fini ha inasprito le misure. Si è trattato
da allora di un più e un meno, una battaglia sul numero dei giorni di
detenzione, come se questo on significasse già accettare l’obbrobrio. Le cifre
del Garante sullo stato attuale dei Centri per ili rimpatrio sono molto
eloquenti. Nel 2018 sono state internate 4.092 persone; meno della metà, il
43%, sono state rimpatriate. E ancora: per buona parte di loro, cioè il 23%, si
è trattato di un errore, perché non avrebbero dovuto essere neppure trattenute.
Il “decreto sicurezza” estende la detenzione da 90 fino a 180 giorni. si
prevede inoltre la moltiplicazione di questi centri. Tornerà a funzionare anche
la sezione maschile di Ponte Galeria, quelle gabbie immonde vicino
all’aeroporto di Fiumicino, dove si può praticare con disinvoltura la
zoologizzazione degli umani, la loro trasformazione in bestie senza alcun
rispetto per la dignità.
A che cosa servono i Centri per il rimpatrio? A nulla, si
vorrebbe rispondere. Eppure questi campi di detenzione, che appartengono già
all’universo concentrazionario, hanno un valore simbolico. Chi è dentro,
costretto senza alcun processo alla paradossale condizione di
espulso-trattenuto, viene condannato all’immobilità e alla invisibilità può
subire qualsiasi sopraffazione, senza che ciò venga alla luce. Questo riguarda tanto
più il rimpatrio di cui poco si sa e che si traduce quasi sempre in una
partenza improvvisa, in una sosta indefinita in aeroporto, un volo straziante,
con le manette ai polsi, su un charter-prigione.
Anche per chi calcola in termini di costi-benefici diventa
difficile sostenere l’utilità di tenere in ostaggio pochi migranti capitati nei
lacci del poliziotto di turno e nelle maglie della cattiva sorte. Dato che
questo dispositivo non ha arrestato la migrazione, non è difficile intuire che
si tratta di un messaggio propagandistico tutto rivolto all’interno. Si vuol
far credere di difendere così l’ordine pubblico fomentando l’odio, alimentando
la paura, spingendo i cittadini a cedere i loro stessi diritti in nome di una
fantomatica sicurezza. C’è da chiedersi già adesso quanto tempo sarà necessario
per riparare un danno culturale e politico così grave inflitto alla democrazia.
L’Espresso 14 apr. 19
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