Venti condanne (e tre assoluzioni) da un massimo di un anno e quattro mesi a sei mesi di reclusione per aver spintonato alcuni poliziotti, aggredito un gruppo di studenti del Fuan e l’allora consigliere comunale e regionale di Fratelli d’Italia, Massimo Marrone: sono le richieste fatte dal pubblico ministero Manuela Pedrotta al processo per gli scontri avvenuti il pomeriggio del 25 novembre 2015 al campus Einaudi. Due fascistlli del movimento studentesco di destra furono portati all’ospedale Gradenigo, uno con il setto nasale fratturato, mentre Marrone si fece medicare al Mauriziano. Le accuse, a vario titolo, sono di resistenza, lesioni, violenza privata e furto. Furono ore movimentate, iniziate al mattino — come ha ricostruito il pm nella requisitoria — quando un gruppo di giovani appartenente al Collettivo universitario autonomo (Cua) fece irruzione nella saletta «Borsellino», concessa al Fuan, sradicando la porta, imbrattando l’interno e portando via alcuni oggetti. Verso le 17, mentre quelli del Fuan erano tornati per sistemare il locale, arrivò un gruppo di studenti di sinistra che — secondo le indagini della Digos — iniziarono a prendere di mira «gli avversari politici», tra insulti, frasi intimidatorie, lancio di farina e uova. Poco prima, erano invece stati spintonati un paio di agenti in abiti borghesi, che erano entrati nella palazzina per un controllo. Poco dopo, ci fu l’azione degli antifascisti, «senza che nessuna alcuna azione violenta potesse giustificare una reazione», ha sottolineato l’accusa.
Quattro sospette false testimonianze
Diversa la versione delle difese — tra cui gli avvocati Claudio Novaro e Roberto Lamacchia — che segue il racconto di alcuni imputati: ovvero, che Marrone, a un certo punto, sia andato verso uno degli antifascisti, prendendolo per il bavero. E, da lì, sarebbe partita l’aggressione, «per togliere dalle grinfie dei fascisti» il compagno, ha detto il pm. Per il quale, questa ricostruzione non è credibile, tanto che, alla fine, ha chiesto al tribunale la trasmissione degli atti per quattro testimonianze: i ragazzi, avrebbero mentito. La pena più alta, un anno e quattro mesi, è stata chiesta per Mattia De Brasi, 27 anni, mentre un anno è la condanna richiesta per la coetanea Maria Edgarda Marcucci: la giovane che andò a combattere contro l’Isis in Siria e che è in attesa della decisione della sezione misure di prevenzione del tribunale, dove rischia due anni di sorveglianza speciale e il divieto di dimora a Torino.
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