Come è stata la tua missione con la Open Arms?
In realtà è andata come me l’aspettavo dal punto di vista del metodo di come lavorano. Sono una Ong strutturata nella quale intervengono volontari che si intersecano su un equipaggio fisso. I ruoli sono prestabiliti ed il metodo di lavoro è comunque democratico. Io ero li per raccontare la frontiera con i miei disegni, ma ho dato una mano come tutti gli altri quando era necessario. La cosa interessante è che i volontari provengono da storie diverse e anche le motivazioni sono di varia natura. L’aspetto umanitario nella scelta di partecipare resta comunque quello preponderante.
Cosa hai visto in mare?
La cosa impressionante è la difficoltà del soccorso, trovare un gommone nel mare è come cercare un ago in un pagliaio, non è così semplice come pare se non hai assistenza aerea. Abbiamo passato ore in mare con le lance per cercare i gommoni. Ancora più complicate sono i soccorsi quando il mare è mosso. La squadra con la quale mi sono trovato ha lavorato in maniera impeccabile, non hanno sbagliato nulla nel salvataggio e vi assicuro che non è semplice.
Dopo l’introduzione del codice Minniti, e dopo il sequestro delle due navi delle Ong com’è adesso la situazione nel mare davanti le coste libiche?
Ora è rimasta solo la nave Acquarius di Sos Mediterranée, il che vuol dire che i soccorsi sono affidati di fatto ai libici che operano con la Capitaneria di Porto italiana, di fatto le
navi militari e quelle impegnate nelle operazioni di Frontex non stanno partecipando ai soccorsi da mesi. Quello che i governi europei volevano ottenere lo hanno di fatto ottenuto. Quello che avviene in quel tratto di mare non lo saprà nessuno, eppure le partenze continuano.
Ma dal punto di vista del diritto internazionale questo cosa significa?
Voi vi ricordate quando Reagan bombardò Gheddafi per la questione del Golfo della Sirte? Allora, gli Usa fecero appello al diritto internazionale dicendo che la zona rivendicata da Gheddafi era fuori dagli accordi internazionali. Oggi paradossalmente assistiamo alla stessa vicenda, ovvero che l’Italia e la Libia hanno esteso la zona di competenza della Libia con un accordo bilaterale che non ha valore giuridico in quanto non regolato dal diritto internazionale. Di fatto la Open Arms è sotto sequestro con un procedimento che non può prevalere sul diritto internazionale, e la Juventa (l’altra nave sequestrata) perché nei soccorsi ha operato con “eccesso umanitario”. Ma al di la della disquisizione tecnica sulle acque libiche e la zona SAR, il fattore grave è che si riconosce la Libia come paese sicuro. Ovvero che le persone che scappano dai lager e chiedono di essere soccorse dovrebbero essere riconsegnati ai libici. Proprio ieri l’altro l’Onu stessa nei suoi rapporti, ha ribadito che è impossibile assicurare protezione nei confronti dei migranti dato che avvengono strupri torture ed esecuzioni.
Cosa ti ha colpito di più in questa vicenda?
Mi ha colpito vedere un bambino libico, malato di leucemina, con il carrello della flebo che navigava con i due suoi fratelli per raggiungere l’Europa per curarsi. Una scena surreale, trovare di notte su di un gommone in mezzo al mare queste persone. Mi ha colpito vedere un ragazzo di 22 anni che dopo poche ore dal nostro salvataggio è morto per gli stenti e la fame a seguito della sua permanenza in un lager in Libia. Mi ha colpito una donna eritrea che mi ha detto grazie per averci salvato dal mare e dalla Libia. Ma la cosa che mi ha fatto più male è stato il sequestro della open arms.
Cioè?
Cioè che su questa strada finiamo per istituire il reato di solidarietà, una cosa che mi fa vergognare profondamente. Non so davvero come si possa pensare che chi lavora nei soccorsi possa riconsegnare queste persone ad uno stato che non assicura loro la protezione. Sparare sulla croce rossa, questo e non altre sta succedendo, mettere sotto accusa chi salva vite non penso sia un vanto per il nostro paese, incriminare il capitano della Open Arms ed alcuni membri per associazione a delinquere finalizzata all’immimgrazione clandestina è un reato che non sta in piedi dal punto di vista giuridico, e ancora di più dal punto di vista morale. Lo ripeto ancora una volta, la Libia non è un paese sicuro, occorrerebbe evacuare i migranti da quello Stato, non riportarceli.
Francesco Piobbichi * operatore sociale del progetto della Fcei – Mediterranean Hope
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