Gli operai producono tutto ciò che serve a tutti, ma, di questi tutti, quanti rivolgeranno un pensiero ai due operai morti a Livorno? Quanti si chiederanno perché due operai sono morti di morte violenta, prematuramente e non per malattia? Quanti reclameranno giustizia per essi e condanna per i responsabili della loro morte? Quanti, pur non conoscendoli, vivranno la loro morte come un po’ la morte di se stessi e si sentiranno, almeno in cuor proprio, vicini agli affetti che i due operai livornesi lasciano? Lo faranno gli operai più vicini, lo faranno altri operai per solidarietà di classe. Solo essi, o quasi solo essi, non altri.
Invece quando muoiono i corifei del capitalismo, è tutta un’altra storia. I corifei sono,
nella tragedia greca antica, i capi del coro. I corifei del capitalismo sono coloro che capeggiano e guidano il coro del consenso culturale popolare al sistema capitalista. I corifei sono tanti, ma brillano in particolare gli intrattenitori culturali, i presentatori, i cantanti, gli attori, gli uomini e le donne di spettacolo e di sport. Sono essi che, onnipresenti in televisione e sugli altri mass media, occupano il tempo libero (quando ce n’è) di operai e altri proletari, giovani e non solo, contribuiscono decisamente a formare la coscienza della simpatia per il sistema capitalista e dell’adesione ai suoi valori (l’arricchimento facile e individuale con i quiz, la cultura superficiale, il pressapochismo e il disimpegno come regole di vita, il divismo, l’acquisizione di modelli e stili di vita lontani dalla realtà della lotta di classe).
I corifei del capitalismo sono facitori di consenso culturale e quindi sociale, cinghia di trasmissione dei valori borghesi e piccolo-borghesi anche fra operai e proletari, cassa di risonanza di un mondo che agli operai in primo luogo non appartiene.
Presentati come persone perbene, i corifei celano, sotto la maschera del perbenismo, lo stretto abbraccio agli interessi dei padroni. Essi ingannano e stordiscono operai e proletari, sono contenti di farlo (volete mettere la differenza tra fare i guitti del padrone, con frizzi e lazzi, e andare a rompersi la schiena e rischiare la vita ogni giorno in fabbrica o in cantiere o nei campi?) e per i loro servizi vengono ben pagati e omaggiati. Omaggiati ed esaltati anche quando muoiono, con titoloni sui giornali, aperture di telegiornali e radiogiornali, pianti collettivi e saluti del presidente della repubblica.
Invece ai due operai livornesi sono toccati la schiavitù sul cantiere e la morte violenta, la miseria sociale in vita e la mistificazione delle vere ragioni della loro morte. Per quanto il sistema capitalista, con lo strenuo appoggio dei suoi corifei, si affanni a celarsi sotto pennellate di interclassismo, la morte e il sangue squarciano inesorabilmente la maschera della realtà dello sfruttamento degli operai.
Saluti e onori agli operai di Livorno