di Marco Santopadre
Dopo aver rinviato a giudizio decine di ex ministri, deputati
e dirigenti indipendentisti del PDeCAT, di ERC e della CUP, il giudice
del Tribunale Supremo Pablo Llarena ha ordinato ieri pomeriggio
l’arresto per il candidato President della Generalit Jordi Turull, per
l’ex presidente del Parlament Carme Forcadell, per l’ex eurodeputato e
ministro degli Esteri catalano Raül Romeva, per Dolors Bassa e per Josep
Rull, accogliendo la richiesta del Procuratore generale dello Stato e
del partito fascista Vox (costituitosi parte civile).
Tutti gli arrestati sono accusati di ribellione, per aver organizzato il referendum del 1 ottobre, e quattro di loro anche di malversazione per aver finanziato la consultazione proibita con fondi pubblici. Rischiano tutti una condanna fino a 30 anni di carcere, nonostante gli imputati siano inquisiti per comportamenti politici e di natura pacifica ma in applicazione di un capo d’accusa che parla esplicitamente di ‘ribellione violenta’ nei confronti dello Stato.
I nuovi arresti hanno decapitato i partiti indipendentisti e hanno fortemente alterato la composizione di un Parlament eletto, il 21 dicembre scorso, già sotto ricatto e sotto minaccia. Non solo due parlamentari – uno è l’ex President Carles Puigdemont – si trovano in esilio all’estero e non potranno
essere presenti alla prevista seduta d’investitura del nuovo President (nel frattempo finito in carcere preventivo), ma ora anche altri deputati della maggioranza sovranista uscita dalle urne sono stati arrestati.
Sempre ieri sera il giudice Llarena ha firmato un nuovo euro-ordine di arresto contro l’ex-presidente catalano Carles Puigdemont e contro i 4 ex-ministri in esilio con lui a Bruxelles e ha spiccato un mandato internazionale di arresto contro la leader di ERC Marta Rovira che ieri aveva annunciato con una lettera di aver scelto l’esilio e di trovarsi in Svizzera dove si è rifugiata già da alcune settimane l’ex portavoce e deputata della Cup, Anna Gabriel, anche lei rimandata a giudizio ieri dal Tribunale Supremo.
Immediata è scattata la protesta indetta dall’associazionismo indipendentista trasversale e dai Comitati di Difesa della Repubblica.
Alle 19 i manifestanti hanno bloccato la Avinguda Diagonal di Barcellona. Un’ora più tardi diecimila persone si sono concentrate in Placa de Catalunya rispondendo all’appello di Omnium Cultural e dell’Assemblea Nacional Catalana.
Contemporaneamente altre migliaia di persone sono scese in piazza a poca distanza, rispondendo invece all’appello dei CDR (Comitati di Difesa della Repubblica) e della sinistra anticapitalista che oltre a denunciare la repressione spagnola criticano l’atteggiamento remissivo di PDeCAT ed ERC e la loro volontà di costituire un governo autonomista invece di implementare la Repubblica dichiarata simbolicamente il 27 ottobre. I Mossos d’Esquadra, la polizia autonoma in assetto antisommossa ora direttamente agli ordini di Madrid, ha operato varie cariche che si sono saldate con 35 feriti, 15 dei quali hanno dovuto far ricorso alle strutture sanitarie. Ai poliziotti i manifestanti hanno gridato, invocando la convocazione dello sciopero generale: “non vi meritate la bandiera catalana che portate”, “fuori le forze di occupazione” e “nessun passo indietro”.
Manifestazioni contro gli arresti sono state realizzate ieri sera in altre città catalane, la più numerosa a Vic. A Tarragona i militanti dei CDR hanno bloccato i binari ferroviari e l’autostrada reclamando la liberazione dei prigionieri politici. Altrettanto è avvenuto nei pressi della frontiera con la Francia a Puigcerdà. A Lleida i Mossos hanno caricato un corteo dei CDR che era entrato all’interno della locale stazione ferroviaria con l’intenzione di bloccare i binari. Nuove e più massicce manifestazioni popolari sono state già convocate nella giornata di oggi.
Ieri mattina il giudice del Tribunale Supremo spagnolo (“vicino” al Partito Popolare) aveva deciso di rimandare a giudizio, con l’accusa di ribellione, tredici tra dirigenti e deputati indipendentisti. Tra questi l’ex president Carles Puigdemont (in esilio in Belgio), l’ex vice presidente Oriol Junqueras (già in carcere), sette ex consellers del governo catalano (Joaquim Forn, Jordi Turull, Raül Romeva, Clara Ponsati – in esilio a Londra -, Josep Rull, Toni Comín – in esilio in Belgio – e Dolors Bassa), l’ex presidente del Parlament Carme Forcadell, l’ex presidente dell’Anc Jordi Sànchez (già in carcere), quello di Òmnium cultural Jordi Cuixart (anche lui già in carcere da mesi) e la segretaria generale di Esquerra Republicana Marta Rovira che però non si è presentata all’udienza del Tribunale Supremo.
Altri cinque ex membri dell’ex governo catalano sono stati rinviati a giudizio per disobbedienza e malversazione di fondi pubblici insieme a cinque componenti dell’ufficio di presidenza del Parlament. Come detto, tra i rinviati a giudizio, venticinque in tutto, ci sono anche Anna Gabriel, ex deputata regionale e portavoce della Cup, e l’altra ex deputata della Cup Mireia Boya. È stata archiviata invece la causa contro l’ex segretaria generale del PDeCat, Marta Pascal, e l’ex presidente catalano Artur Mas.
Paradossalmente – ma è la storia degli ultimi anni nei rapporti tra Madrid e Barcellona -la nuova pesante offensiva giudiziaria contro i partiti e le organizzazioni sovraniste catalane da parte della magistratura spagnola è scattata nonostante il consistente passo indietro dei partiti maggioritari dello schieramento catalanista.
Giovedì infatti la sinistra indipendentista non ha votato a favore dell’elezione di Jordi Turull a President, dopo le rinunce prima di Puigdemont e poi di Jordi Sanchez dovute non solo all’intransigenza di Madrid ma anche alle schermaglie e alla competizione tra PDeCAT ed ERC. La Cup, ha spiegato, non vuole sommare i suoi voti a quelli di una maggioranza che ha tradito lo spirito disobbediente e di rottura manifestato il 1 ottobre da milioni di persone e che ora pretenderebbe di governare all’insegna di un impossibile ritorno all’autonomismo. “Sovranità, unilateralità e disobbedienza sono l’unica maniera reale di fare Repubblica” ha detto il capogruppo della Cup, Carles Riera, annunciando il ritorno all’opposizione della sinistra anticapitalista. “Diamo per concluso il procés e le alleanze formate durante il procés. Passiamo all’opposizione nelle strade e nelle istituzioni, combattendo lo Stato e l’autonomismo” ha detto il dirigente indipendentista, che ha reclamato “un processo costituente dal basso, appoggiato dalle istituzioni, per costruire la Repubblica dalle piazze. La gente che ha partecipato al referendum del 1 ottobre non si merita i vostri passi indietro”. “E’ nelle piazze che bisogna radicare l’unità del sovranismo” ha concluso Riera, invitando PDeCAT ed ERC a mettere da parte “gli interessi di partito, le poltrone e gli uffici” per dedicarsi agli “interessi del paese e delle classi popolari”.
Nel suo intervento, il candidato President Jordi Turull aveva accuratamente evitato di nominare la Repubblica Catalana, di rivendicare il referendum del 1 ottobre e di annunciare l’inizio della pur prevista fase costituente che si sarebbe dovuta aprire in seguito alla rottura con lo Stato Spagnolo.
Per evitare il mantenimento da parte di Madrid del commissariamento delle istituzioni catalane, avevano spiegato PDeCAT ed ERC. Ma lo Stato Spagnolo non sembra essersi accorto del passo indietro dei sovranisti ed ha risposto con una nuova ondata di arresti.
Intanto il 20 marzo, la stragrande maggioranza dei deputati del Congresso di Madrid ha respinto la proposta di legge presentata da ERC – Sinistra Repubblicana della Catalogna – che mirava a rendere punibili i responsabili dei crimini commessi dai franchisti durante il regime, ai quali invece la Ley de Amnistia varata nel 1977 concede la totale immunità, rendendo impossibile per i parenti delle vittime della repressione fascista intentare causa contro aguzzini e torturatori, molti dei quali sono stati promossi nel frattempo ai massimi gradi della gerarchia militare o amministrativa.
Contro la modifica proposta dai repubblicani catalani non hanno votato compattamente solo il Partito Popolare e l’altro partito di destra Ciudadanos, ma anche i deputati del Partito Socialista Operaio Spagnolo di Pedro Sanchez.
A dimostrazione che il problema non è la ‘destra’ di Rajoy, ma un regime che comprende i tre pilastri politici di un paese che da quarant’anni preserva i privilegi di una oligarchia passata indenne dal cambio di regime.
Tutti gli arrestati sono accusati di ribellione, per aver organizzato il referendum del 1 ottobre, e quattro di loro anche di malversazione per aver finanziato la consultazione proibita con fondi pubblici. Rischiano tutti una condanna fino a 30 anni di carcere, nonostante gli imputati siano inquisiti per comportamenti politici e di natura pacifica ma in applicazione di un capo d’accusa che parla esplicitamente di ‘ribellione violenta’ nei confronti dello Stato.
I nuovi arresti hanno decapitato i partiti indipendentisti e hanno fortemente alterato la composizione di un Parlament eletto, il 21 dicembre scorso, già sotto ricatto e sotto minaccia. Non solo due parlamentari – uno è l’ex President Carles Puigdemont – si trovano in esilio all’estero e non potranno
essere presenti alla prevista seduta d’investitura del nuovo President (nel frattempo finito in carcere preventivo), ma ora anche altri deputati della maggioranza sovranista uscita dalle urne sono stati arrestati.
Sempre ieri sera il giudice Llarena ha firmato un nuovo euro-ordine di arresto contro l’ex-presidente catalano Carles Puigdemont e contro i 4 ex-ministri in esilio con lui a Bruxelles e ha spiccato un mandato internazionale di arresto contro la leader di ERC Marta Rovira che ieri aveva annunciato con una lettera di aver scelto l’esilio e di trovarsi in Svizzera dove si è rifugiata già da alcune settimane l’ex portavoce e deputata della Cup, Anna Gabriel, anche lei rimandata a giudizio ieri dal Tribunale Supremo.
Immediata è scattata la protesta indetta dall’associazionismo indipendentista trasversale e dai Comitati di Difesa della Repubblica.
Alle 19 i manifestanti hanno bloccato la Avinguda Diagonal di Barcellona. Un’ora più tardi diecimila persone si sono concentrate in Placa de Catalunya rispondendo all’appello di Omnium Cultural e dell’Assemblea Nacional Catalana.
Contemporaneamente altre migliaia di persone sono scese in piazza a poca distanza, rispondendo invece all’appello dei CDR (Comitati di Difesa della Repubblica) e della sinistra anticapitalista che oltre a denunciare la repressione spagnola criticano l’atteggiamento remissivo di PDeCAT ed ERC e la loro volontà di costituire un governo autonomista invece di implementare la Repubblica dichiarata simbolicamente il 27 ottobre. I Mossos d’Esquadra, la polizia autonoma in assetto antisommossa ora direttamente agli ordini di Madrid, ha operato varie cariche che si sono saldate con 35 feriti, 15 dei quali hanno dovuto far ricorso alle strutture sanitarie. Ai poliziotti i manifestanti hanno gridato, invocando la convocazione dello sciopero generale: “non vi meritate la bandiera catalana che portate”, “fuori le forze di occupazione” e “nessun passo indietro”.
Manifestazioni contro gli arresti sono state realizzate ieri sera in altre città catalane, la più numerosa a Vic. A Tarragona i militanti dei CDR hanno bloccato i binari ferroviari e l’autostrada reclamando la liberazione dei prigionieri politici. Altrettanto è avvenuto nei pressi della frontiera con la Francia a Puigcerdà. A Lleida i Mossos hanno caricato un corteo dei CDR che era entrato all’interno della locale stazione ferroviaria con l’intenzione di bloccare i binari. Nuove e più massicce manifestazioni popolari sono state già convocate nella giornata di oggi.
Ieri mattina il giudice del Tribunale Supremo spagnolo (“vicino” al Partito Popolare) aveva deciso di rimandare a giudizio, con l’accusa di ribellione, tredici tra dirigenti e deputati indipendentisti. Tra questi l’ex president Carles Puigdemont (in esilio in Belgio), l’ex vice presidente Oriol Junqueras (già in carcere), sette ex consellers del governo catalano (Joaquim Forn, Jordi Turull, Raül Romeva, Clara Ponsati – in esilio a Londra -, Josep Rull, Toni Comín – in esilio in Belgio – e Dolors Bassa), l’ex presidente del Parlament Carme Forcadell, l’ex presidente dell’Anc Jordi Sànchez (già in carcere), quello di Òmnium cultural Jordi Cuixart (anche lui già in carcere da mesi) e la segretaria generale di Esquerra Republicana Marta Rovira che però non si è presentata all’udienza del Tribunale Supremo.
Altri cinque ex membri dell’ex governo catalano sono stati rinviati a giudizio per disobbedienza e malversazione di fondi pubblici insieme a cinque componenti dell’ufficio di presidenza del Parlament. Come detto, tra i rinviati a giudizio, venticinque in tutto, ci sono anche Anna Gabriel, ex deputata regionale e portavoce della Cup, e l’altra ex deputata della Cup Mireia Boya. È stata archiviata invece la causa contro l’ex segretaria generale del PDeCat, Marta Pascal, e l’ex presidente catalano Artur Mas.
Paradossalmente – ma è la storia degli ultimi anni nei rapporti tra Madrid e Barcellona -la nuova pesante offensiva giudiziaria contro i partiti e le organizzazioni sovraniste catalane da parte della magistratura spagnola è scattata nonostante il consistente passo indietro dei partiti maggioritari dello schieramento catalanista.
Giovedì infatti la sinistra indipendentista non ha votato a favore dell’elezione di Jordi Turull a President, dopo le rinunce prima di Puigdemont e poi di Jordi Sanchez dovute non solo all’intransigenza di Madrid ma anche alle schermaglie e alla competizione tra PDeCAT ed ERC. La Cup, ha spiegato, non vuole sommare i suoi voti a quelli di una maggioranza che ha tradito lo spirito disobbediente e di rottura manifestato il 1 ottobre da milioni di persone e che ora pretenderebbe di governare all’insegna di un impossibile ritorno all’autonomismo. “Sovranità, unilateralità e disobbedienza sono l’unica maniera reale di fare Repubblica” ha detto il capogruppo della Cup, Carles Riera, annunciando il ritorno all’opposizione della sinistra anticapitalista. “Diamo per concluso il procés e le alleanze formate durante il procés. Passiamo all’opposizione nelle strade e nelle istituzioni, combattendo lo Stato e l’autonomismo” ha detto il dirigente indipendentista, che ha reclamato “un processo costituente dal basso, appoggiato dalle istituzioni, per costruire la Repubblica dalle piazze. La gente che ha partecipato al referendum del 1 ottobre non si merita i vostri passi indietro”. “E’ nelle piazze che bisogna radicare l’unità del sovranismo” ha concluso Riera, invitando PDeCAT ed ERC a mettere da parte “gli interessi di partito, le poltrone e gli uffici” per dedicarsi agli “interessi del paese e delle classi popolari”.
Nel suo intervento, il candidato President Jordi Turull aveva accuratamente evitato di nominare la Repubblica Catalana, di rivendicare il referendum del 1 ottobre e di annunciare l’inizio della pur prevista fase costituente che si sarebbe dovuta aprire in seguito alla rottura con lo Stato Spagnolo.
Per evitare il mantenimento da parte di Madrid del commissariamento delle istituzioni catalane, avevano spiegato PDeCAT ed ERC. Ma lo Stato Spagnolo non sembra essersi accorto del passo indietro dei sovranisti ed ha risposto con una nuova ondata di arresti.
Intanto il 20 marzo, la stragrande maggioranza dei deputati del Congresso di Madrid ha respinto la proposta di legge presentata da ERC – Sinistra Repubblicana della Catalogna – che mirava a rendere punibili i responsabili dei crimini commessi dai franchisti durante il regime, ai quali invece la Ley de Amnistia varata nel 1977 concede la totale immunità, rendendo impossibile per i parenti delle vittime della repressione fascista intentare causa contro aguzzini e torturatori, molti dei quali sono stati promossi nel frattempo ai massimi gradi della gerarchia militare o amministrativa.
Contro la modifica proposta dai repubblicani catalani non hanno votato compattamente solo il Partito Popolare e l’altro partito di destra Ciudadanos, ma anche i deputati del Partito Socialista Operaio Spagnolo di Pedro Sanchez.
A dimostrazione che il problema non è la ‘destra’ di Rajoy, ma un regime che comprende i tre pilastri politici di un paese che da quarant’anni preserva i privilegi di una oligarchia passata indenne dal cambio di regime.
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