Così come il clima, lo spirito era
uguale a quello dell'assemblea di prima delle elezioni, entusiasta,
con volontà di continuare, ecc.
Questi aspetti sono indubbi, anche se
il secondo si presentava un po' eccessivamente fuori luogo, come gli
entusiasti, caldi, commossi interventi della “capa politica”
Viola Carofalo, a pochi giorni dalla vittoria della Lega e del M5S e
quindi del fascio-populismo e delle sue pesanti conseguenze verso i
proletari e le masse popolari, gli immigrati. Questi aspetti
rivelavano un autocompiacimento illusorio e ottuso, a “prescindere”,
che non ha portato l'assemblea e non può portare neanche dopo, a
nessuna riflessione/bilancio serio – come è mancato d'altra parte
sull'appoggio di Jsp a De Magistris – ma ad un “avanti, avanti”,
nella linea della continuità.
La continuità, espressa in vari
interventi, è da un lato pervicacemente sulla linea elettorale:
prepararsi alle nuove elezioni all'orizzonte, da quella europee, ad
alcune provinciali.
Dall'altro anche chi ha messo più
l'accento sulla necessità di una estensione, approfondimento di una
attività sociale, di lotte, sui territori deve rispondere alla
domanda: “In funzione di cosa?”, di quale politica, di quale via,
di quale strategia?
Ma la risposta sta già nella linea del
“mutualismo” e “controllo popolare” che possono avere come
sbocco “naturale” la via elettorale.
Qualche compagna, compagno ha detto che
loro hanno utilizzato le elezioni per avere la possibilità di
parlare a tante persone, per avere una platea vasta, nazionale.
Questo ci può stare. Anche negli anni '70 liste organizzate da
comunisti rivoluzionari, partiti mlm – in una situazione però
differente, di evidente polarizzazione tra proletari, masse e
l'insieme dei partiti della borghesia – si presentarono alle
elezioni, per usare questa visibilità, spazi ma lo fecero per
parlare ancora di più della via rivoluzionaria, per denunciare,
smascherare l'illusione perdente della via elettorale, per
organizzare le masse in senso rivoluzionario. Tutto questo non è
avvenuto affatto nella campagna elettorale di Potere al popolo, né
avviene tuttora.
Quindi, anche chi ha detto
sinceramente, e ci mette tutto il suo impegno, che bisogna fare
attività sociale, sui territori, non può dirlo senza una
critica-autocritica. Nè dovrebbe essere accettabile per quei
compagni e compagne che si fanno “il mazzo”, che loro lavorano
per organizzare lotte e le “cape” di Jsp, di Potere al popolo le
usano per lo scopo elettorale.
Nello stesso tempo l'attività sociale
all'insegna del mutualismo e controllo sociale è da un lato
pienamente interna ad una politica neo riformista, di trasformazione
di questo sistema, eliminando (?) gli aspetti apertamente
antipopolari; dall'altra il “mutualismo”, con gli “sportelli”,
“laboratori”, “Camera del Lavoro”, ecc., è all'interno di
una logica di “servizio” verso gli “esclusi”, la “gente
povera”, che è altro dall'attivizzazione delle masse in funzione
della lotta rivoluzionaria.
Quindi, questa attività non è
alternativa alla linea elettorale, ma ne è la sua base sociale.
Per dirla con una battuta, il lavoro
dei compagni è per il “potere (questo) al popolo” non è per il
“popolo al potere”.
E' vero che questa decisione di
presentazione della lista e soprattutto le tante assemblee,
iniziative in varie città dal nord al sud che hanno caratterizzato
la campagna di Potere al popolo, ha attivato,
messo insieme – come
è stato detto nell'assemblea del 18 - centinaia di militanti,
compagni che altrimenti non si sarebbero impegnati, ha suscitato
volontà, impegni di continuare, di organizzare in loco Comitati di
Potere al popolo, ecc. ecc. Anche questo è indubbio. Ma il problema
è che una buona parte di queste forze riattivate lo sono state sul
fronte elettorale e qui vogliono tornare. L'ampiezza della presenza e
impegno delle forze è proporzionale a questa attività politica.
Quindi, se tanto mi da tanto, non è affatto vero che questo tipo di
attivismo resterebbe se cambiasse il campo principale di azione e di
sbocco del lavoro sociale.
Parecchie cose sono state dette negli
interventi a Roma, ma qui citiamo alcune che segnano la natura di
Potere al popolo.
Nell'assemblea del 18 marzo non si è
sentito parlare delle fabbriche, della situazione degli operai, delle
lotte che pur stanno facendo. Non esistenti, non pervenute!
Uno dei pochissimi interventi ha
cominciato parlando di “lavoro e salute” - illudendo che ci fosse
almeno qualcuno che parlasse delle fabbriche – ma ha poi continuato
citano solo le vertenze su salute, ambiente: da Tempa rossa, NoTap,
No trivelle, concludendo che il cuore è la questione ambientale...
Eppure in questi mesi gli attacchi ai
posti di lavoro, le fabbriche che vogliono chiudere, i licenziamenti
a volte di centinaia di operai e operaie, le resistenze, le lotte che
gli operai faticosamente fanno, ci stanno sempre di più. Anche la
situazione e le lotte degli operai della logistica – un tempo
esaltate da Jsp – non “sono in calendario”.
Potere al popolo fa, di fatto, la
stessa operazione dei mass media borghesi che mettono il silenzio
sugli operai. E, gratta, gratta, l'interesse solo per sé stessa
della piccola borghesia viene fuori: quando la piccola borghesia si
sente protagonista si pensa essa al centro del mondo e gli operai che
in alcune fasi aveva seguito, cercato (“Dove sono i nostri?”), si
dimenticano.
Ma qualche compagno ha dato una
spiegazione: gli operai sono nel popolo..., quindi parlare di popolo
è parlare di operai.
Marx, Lenin così sono belli e
dimenticati da coloro che un tempo si dicevano ed erano marxisti.
La classe operaia si può identificare
con il popolo? Gli operai sono i produttori del plusvalore, della
ricchezza sociale, e contemporaneamente sono i “becchini” del
capitalismo, la classe operaia è il combattente d'avanguardia, che
deve andare tra tutti gli strati della popolazione e dirigere il
popolo. La famosa “classe con catene radicali...” – vi
ricordate compagni? - “...che per i suoi patimenti universali
possieda un carattere universale e non rivendichi alcun diritto
particolare, poiché contro di essa viene esercitata non una
ingiustizia particolare bensì l'ingiustizia senz'altro... di una
sfera che non può emancipare sé stessa senza emancipare tutte le
rimanenti sfere della società...”.
Lo stesso popolo, poi viene da questi
compagni soprattutto identificato nella gente povera, negli
“esclusi”, a cui rispondere appunto col “mutualismo”, come è
stato nuovamente detto da alcuni interventi nell'assemblea del 18
marzo.
Su questa cancellazione degli operai
abbiamo purtroppo una diretta esperienza, per esempio a Taranto sulla
questione Ilva. Qui la piccola (ma anche strati della media)
borghesia ambientalista identifica gli operai con i cittadini, per,
alla fine, cancellare gli operai e dire che tutti sono “cittadini”.
Non cambia molto se al posto di “cittadini” mettiamo “popolo”.
A Napoli Jsp, e altri, dicono che ormai
gli operai non ci sono più e si “buttano” sui precari, sui
lavoratori a nero; mentre gli operai, che ci stanno, continuano ad
essere isolati e soli – ma ogni tanto appaiono... (vedi il 23 marzo
a Pomigliano) e sono, nonostante la difficile situazione oggettiva e
soggettiva, sempre determinati, forti, avanguardia.
Nell'assemblea del 18 la denuncia del
M5S più che una denuncia era una sorta di “sfida politica”. Non
parliamo delle parole imbarazzanti di Viola Carofalo dette subito
dopo gli esiti del voto: "Ora
è il turno dei Cinquestelle, la prossima volta sarà il nostro";
ma di quanto è stato detto in più di un intervento nell'assemblea:
vediamo cosa farete, abolirete la Fornero, abrogate il pareggio di
bilancio, ecc.? Se no, andate a casa!
Una “sfida” che qualsiasi
lavoratore cosciente considererebbe con un sorrisetto. In tutte le
elezioni, tutti i partiti, insieme ai programmi veri antipopolari che
attueranno una volta andati al governo, hanno fatto promesse
(Berlusconi, lo stesso Renzi docet), non è mica la prima volta.
Poi, come li “mandi a casa”? Col
referendum sul pareggio di bilancio, sulla Fornero? Ma c'è già
stato un referendum sulla riforma della Costituzione, molto più
importante e andato bene per i lavoratori e le masse popolari, ma
nessun partito se n'è andato a casa, e oggi ci troviamo peggio di
prima.
Ma torniamo sulla questione dell'andare
o tornare a lavorare nei territori, nelle periferie (dove Lega e M5S
hanno preso più voti). Qui, a parte quello che abbiamo detto prima:
ok, ma per quale fine?
ricordiamo che nei tempi iniziali non è
che i giovani, militanti di Rifondazione o delle altre forze di
sinistra riformiste che stanno in Potere al popolo, non andassero nei
“territori” e non organizzassero forze e anche alcune battaglie,
ma il fine principale era il peso elettorale. Quindi se si equivoca
sul fine, si imbroglia e si finisce sempre allo stesso punto.
C'è poi una chiarezza da fare sul
discorso “territori”, “periferie”. Non è che “si va nei
territori”. Nei territori proletari, popolari si sta, si è “di
casa”, si organizzano quotidianamente le lotte su tutti i bisogni.
Nei “territori”, nelle “periferie” ha peso, riconoscimento
chi ci sta costantemente, chi vive, conosce ed è conosciuto dalle
masse.
Ma in Potere al popolo finora non si è
sentita nessuna riflessione critica sul fatto che anche a Napoli le
percentuali maggiori di voto alla loro lista sono venute dai
quartieri come il Vomero, non dalle periferie che hanno invece votato
M5S.
Il tema che
dovrebbe giustificare tutto è quello che oggi la situazione
oggettiva e soggettiva delle masse è questa (nel senso di negativa,
anche in termini di coscienza) e quindi ad essa i compagni devono
rapportarsi.
Questo è un
argomento importante e va trattato seriamente.
Ci
aiuta una citazione di Mao: “Per
stabilire uno stretto contatto con le masse occorre conoscere le loro
esigenze ed i loro desideri. In ogni lavoro con le masse occorre
partire dalla conoscenza delle loro esigenze e non da moventi
puramente personali anche se lodevoli. Spesso avviene che nelle masse
l’esigenza di determinate trasformazioni esista già
oggettivamente, ma la consapevolezza soggettiva di questa necessità
non è ancora maturata in loro; esse non sono ancora decise, né
provano alcun desiderio di mettere in atto queste trasformazioni:
allora noi dobbiamo attendere pazientemente; e solo quando, come
risultato del nostro lavoro, le masse nella loro maggioranza avranno
piena coscienza della necessità di realizzare decisamente e
volontariamente determinate trasformazioni, solo allora bisognerà
attuarle, altrimenti si corre il rischio di allontanarsi dalle masse.
Ogni genere di lavoro in cui la partecipazione delle masse è
necessaria si trasformerà in una vuota formalità, e fallirà
totalmente, se le masse non saranno consapevoli della necessità di
questo lavoro e non avranno manifestato il desiderio di parteciparvi
volontariamente. … In questo caso agiscono due principi: il
principio delle esigenze reali delle masse e non di quelle
immaginarie, esistenti soltanto nelle nostre menti, ed il principio
della volontà delle masse, della decisione manifestata dalle masse
stesse, e non di quella che noi manifestiamo per loro”. - da
Il
fronte unico nel lavoro culturale” (30 ottobre 1944), Opere scelte
di Mao Tse-tung, vol. III.
Qui
si dice che i comunisti devono partire dalla conoscenza delle
esigenze delle masse, che i comunisti non devono attuare
trasformazioni per cui le masse non sono ancora decise né hanno
alcun desiderio, che i comunisti non devono quindi partire da loro,
da quello che sta nella loro testa, che essi ritengono giusto, ma
partire ed essere legati alle masse. Si dice che i comunisti devono
lavorare pazientemente e attuare le trasformazioni quando le masse
sono pronte.
Non
si dice qui che i comunisti devono adeguarsi alle masse, devono
essere codisti dello spirito delle masse, ma che devono lavorare
pazientemente, in stretto contatto con le masse, perchè le masse
siano consapevoli, vogliano attuare quella trasformazione.
E'
l'opposto, quindi, della giustificazione di Potere al popolo che
invece cristallizza la situazione delle masse per abbandonare i
compiti dei rivoluzionari.
Ma
anche questa visione delle masse è falsata. Si guardano le masse che
legittimerebbero la scelta di partecipazione alle elezioni, mentre
non si guardano le masse che non sono in sintonia con questa scelta.
Le masse nelle passate elezioni (e in parte anche in questa) hanno
espresso il “desiderio” di protestare contro l'inganno elettorale
attraverso una grossa astensione al voto. E allora queste masse non
contano?
*****
Infine, alle compagne, ai compagni di
Je so pazzo vogliamo invitare a rileggere l'ultimo capitolo de Il
Manifesto del Partito comunista (“Posizione dei Comunisti di fronte
ai diversi partiti di opposizione”) – che riportiamo
integralmente in calce, mentre qui sottolineato le parti che ci
sembra servano oggi più che mai:
- I comunisti
lottano per raggiungere i fini e gli interessi immediati della classe
operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari tempo
l'avvenire del movimento.... i comunisti si alleano... senza per
questo rinunciare al diritto d'un contegno critico verso le frasi e
le illusioni provenienti dalla tradizione rivoluzionaria..
- il partito
comunista non cessa nemmeno un istante di preparare e sviluppare fra
gli operai una coscienza quanto più chiara è possibile
dell'antagonismo ostile fra borghesia e proletariato.
- i comunisti
appoggiano dappertutto ogni movimento rivoluzionario diretto contro
le situazioni sociali e politiche attuali. Entro tutti questi
movimenti essi mettono in rilievo, come problema fondamentale del
movimento, il problema della proprietà, qualsiasi forma, più o meno
sviluppata, esso possa avere assunto.
- I comunisti
sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni.
Dichiarano apertamente che i loro fini possono esser raggiunti
soltanto col rovesciamento violento di tutto l'ordinamento sociale
finora esistente.
Questo è l'atteggiamento dei compagni di Je sò pazzo nell'alleanza
con le forze attuali del riformismo? E' evidente che no.
E' vero che i rivoluzionari hanno necessità di unire in un fronte
tutte le forze disponibili anche su battaglie parziali, ma quale
linea dirige? C'è chi all'interno del fronte ampio costruisce e
agisce come forza rivoluzionaria, che ha saldo e determinato il
rapporto tra tattica e strategia rivoluzionaria? Da quello che
sentiamo dai dirigenti di Je sò pazzo, non si tratta affatto di
questo. Per cui questa unità di forze, molte già con una storia
riformista, elettoralista alle spalle, sarebbe un adeguamento alla
realtà, considerata intrasformabile sul piano rivoluzionario, e in
cui la “direzione” del fronte non va per “dichiarare le proprie
intenzioni e i suoi fini”, per trasformare, elevare, distinguere,
ma per essere i “capi” di un nuovo riformismo “pieno di nuovo
entusiasmo”.
Lo dobbiamo fare noi comunisti nei confronti di Potere al popolo? E'
tutto da vedere. Se esso vuole essere, alimentare un “movimento
rivoluzionario diretto contro le situazioni sociali e politiche
attuali”, se sviluppa in questo un antagonismo con il potere della
borghesia; o viceversa se vuole essere ala di sinistra di questo
ordinamento borghese.
NOTA
Posizione dei Comunisti di fronte ai diversi partiti di opposizione - Da Il Manifesto del Partito comunista
Da quanto s'è detto nel secondo capitolo appare ovvio quale sia il rapporto dei comunisti coi partiti operai già costituiti, cioè il loro rapporto coi cartisti in Inghilterra e coi riformatori nell'America del Nord.I comunisti lottano per raggiungere i fini e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari tempo l'avvenire del movimento. In Francia i comunisti si alleano al partito socialista-democratico contro la borghesia conservatrice e radicale, senza per questo rinunciare al diritto d'un contegno critico verso le frasi e le illusioni provenienti dalla tradizione rivoluzionaria.
In Svizzera essi appoggiano i radicali, senza disconoscere che questo partito è costituito da elementi contraddittori, in parte da socialisti democratici in senso francese, in parte da borghesi radicali.
Fra i polacchi, i comunisti appoggiano il partito che fa d'una rivoluzione agraria la condizione della liberazione nazionale. Lo stesso partito che promosse l'insurrezione di Cracovia del 1846.
In Germania il partito comunista combatte insieme alla borghesia contro la monarchia assoluta, contro la proprietà fondiaria feudale e il piccolo borghesume, appena la borghesia prende una posizione rivoluzionaria.
Però il partito comunista non cessa nemmeno un istante di preparare e sviluppare fra gli operai una coscienza quanto più chiara è possibile dell'antagonismo ostile fra borghesia e proletariato, affinché i lavoratori tedeschi possano subito rivolgere, come altrettante armi contro la borghesia, le condizioni sociali e politiche che la borghesia deve creare con il suo dominio, affinché subito dopo la caduta delle classi reazionarie in Germania, cominci la lotta contro la borghesia stessa.
I comunisti rivolgono la loro attenzione soprattutto alla Germania, perché la Germania è alla vigilia d'una rivoluzione borghese, e perché essa compie questo rivolgimento in condizioni di civiltà generale europea più progredite, e con un proletariato molto più evoluto che non l'Inghilterra nel decimosettimo e la Francia nel decimottavo secolo; perché dunque la rivoluzione borghese tedesca può essere soltanto l'immediato preludio d'una rivoluzione proletaria.
In una parola: i comunisti appoggiano
dappertutto ogni movimento rivoluzionario diretto contro le
situazioni sociali e politiche attuali.
Entro tutti questi movimenti essi
mettono in rilievo, come problema fondamentale del movimento, il
problema della proprietà, qualsiasi forma, più o meno sviluppata,
esso possa avere assunto.
Infine, i comunisti lavorano dappertutto al collegamento e
all'intesa dei partiti democratici di tutti i paesi”.“I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Dichiarano apertamente che i loro fini possono esser raggiunti soltanto col rovesciamento violento di tutto l'ordinamento sociale finora esistente. Le classi dominanti tremino al pensiero d'una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi che le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare”.
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